Intervista a Antonio Manzini




A tu per tu con l’autore

 

Antonio, ti ho ascoltato dire che, al netto di tutto, si recita per essere qualcun’ altro, altro da noi stessi. Si scrive per lo stesso motivo? Oppure la scrittura è un viatico per ritrovare o far emergere se stessi, le proprie idee, suggestioni, sguardo su ciò che circonda o che ci piace immaginare? E’ cambiata in questo senso, o in altri, la tua scrittura dagli esordi ad oggi, se si come, e soprattutto, secondo te, perché?

Si scrive per tanti motivi. Per raccontare una storia, per parlare di qualcosa o qualcuno che ti sta a cuore ma soprattutto perché non se ne può fare a meno. La scrittura cambia con la vecchiaia, si cresce e si migliora o peggiora con l’andare del tempo. Poi dipende dal racconto. Io credo in una scrittura mimetica che si adatta alla storia che racconta e cerca il linguaggio e la voce migliore per narrarla.

 

Da “Pista nera” in avanti, uno dei nodi di Rocco Schiavone che più mi sono “arrivati” attraverso le tue righe è il concetto di verità. Come negazione, come ricerca e come dubbio timore gli sia detta. In questo senso l’ultimo tuo ad oggi, “ Fate il vostro gioco”, è emblematico per l’urgenza di verità che traspare. Ritroviamo Schiavone a chiedere ai suoi sottoposti, uno in particolare, così come ai sospettati di dirgli la verità. Insiste, dubita, teme omissioni e bugie. Quasi un mettere alla prova se stesso, un memento a prestare attenzione, a capire chi e se mente e nasconde. E’ corretta la mia sensazione? E nel caso ciò è dovuto ad una propria debolezza che il vice questore avverte a causa della parabola di Caterina Rispoli, o ad un bisogno di affrontarla in prima persona, la verità?

Le ricerca della verità per Schiavone è parte integrante del suo essere e del suo lavoro. Particolarmente in questo libro dove il gioco, l’azzardo e il bluff tendono a mischiare le carte. Chiunque per mestiere cerchi la verità è assillato dalle stesse domande che spesso non trovano risposta. Nella vita stessa cerchiamo la verità, risolutiva o dolorosa, abituati come siamo a convivere con bugie e omissioni. Sta a noi decidere se andare fino in fondo o fermarci a metà, alla nostra sensibilità , alle nostre paure o alla sete di risposte. Un personaggio che ha come compito trovare un colpevole la cercherà a maggior ragione anche perché nella sua vita la verità non riesce a trovarla.

 

Il tema centrale del romanzo, attorno al quale ruota la parte noir, ma anche la parte privata ed individuale dei personaggi è il gioco. Il mondo del gioco d’azzardo, le sue conseguenze ed incidenze sulle vite delle persone. Ludopatia, è il nome di questa sindrome, di questa malattia. E’ la piega sbagliata che ha preso l’anima di una persona, hai detto. E’ un ossessione che si insinua attraverso le debolezze, si nutre di povertà senza sanarla mai. Perché non si vince, a questo tipo di gioco. Ma forse si può smettere di perdere. Perché Rocco Schiavone è immune da questo demone e Italo Pierron no? Che idea ti sei fatto, durante le tue ricerche, di quale possa essere la causa scatenante, ed incatenante, di questa malattia?

Anche qui le cause scatenanti sono tante. Si può giocare per noia, per disperazione, per paura e schifo della propria esistenza. La scommessa, il salto nel vuoto, credo sia una specie di vertigine. Provarla poi deve essere spaventoso. Non è distante da altre dipendenze, siano alcol droghe sesso o lavoro. Italo ha cominciato per noia e disperazione, non ha niente nella vita, famiglia, amore, un lavoro che gli piace. Credo ci sia caduto proprio per il piattume dei suoi giorni. Rocco ha altre dipendenze…

 

“Il mio lavoro non mi piace. (…) Non mi piace gettarmi in mezzo al fango, assaggiare i liquami delle fogne, nuotare in mezzo a tutto questo schifo. (…) Devo entrare nella testa malata di uno psicopatico, di uno stronzo per capire come ha agito. E tutta questa sporcizia mi si attacca alla pelle e non va più via.” . E’ davvero così, come recita in questo sfogo Schiavone, oppure, quasi paradossalmente, è merito della sua professione se è ancora vivo, in ogni senso?

Rocco è un depresso che fa il suo lavoro per inerzia. Forse come dici tu è proprio quello a tenerlo in vita o forse nel profondo nasconde una speranza, una svolta esistenziale, qualcosa che lo spinga a trascinarsi fuori dall’imbuto per ricominciare a vivere.

 

Si può dire che Rocco Schiavone, in questo romanzo, non si chiuda delle porte alla spalle, non del tutto almeno, ma al contempo invece ne apre altre. Che rilievo ha il fatto che i due rapporti che più si consolidano nella sua vita siano quello semi paterno con Gabriele e quello simbiotico, con un cane, quella Lupa che ha Roma nel nome e il senso del materno nell’iconografia capitolina?

Sono appunto i primi tentativi di ricostruzione. Da qualche parte dovrà pur cominciare…

 

Quando un autore, una penna maiuscola come la tua, raggiunge un livello di scrittura talmente alto che non può migliorarsi oltre, si fanno ancora più importanti le storie, la loro struttura. E anche in questo sei maestro, perché la trama investigativa avvince ed è inattaccabile, al contempo stimola domande e riflessioni. Emozioni. Che non sono solo materia di poeti, ma anche di alcuni narratori. Cosa ti emoziona Antonio e come trasferisci questa emozione, celata, rinnegata ma ostinatamente presente, che è propria di Schiavone e che innamora?

Quello che vedo. Le persone, le loro debolezze. la disperazione, l’aiuto richiesto e spesso negato. Mi emozionano gli animali, la loro semplicità, la loro dolcezza. i ragazzi che devono sbattersi per trovare lavoro, i vecchi cui nessuno lo vuole più dare. Un abbraccio, la natura.

 

Se il thriller nordico di Jo Nesbo sta all’hard boiled americano di Raymond Chandler (è notizia recente che lo scrittore norvegese sarà insignito del premio Raymond Chandler award 2018), può per certi versi, fatte salve peculiarità e percorsi autonomi e originali di ciascuno, Harry Hole, protagonista del romanzi del norvegese, essere affine a Rocco Schiavone, magari nell’abitare un tipo di noir, che si vuole disilluso, ma che non da’ il colpo di grazia alla speranza? E che soprattutto è una condizione dell’animo, non geografica o culturale?

Ahimè, non conosco così bene Nesbo da poterne parlare. Il noir è un luogo dell’anima, è il disegno di un’anima, le sue peculiarità e le sue debolezze. Spade, Marlowe sono i padri di questi racconti. Vite fatte di solitudine e disperazione, cinismo, difficoltà esistenziali. La speranza è più del narratore o del lettore, il personaggio speranze non ne ha. Vive la sua vita con l’assoluta certezza di non uscire mai dalle sue inquietudini.

Antonio Manzini

 

Dal cuore, ringrazio profondamente Antonio Manzini, per la squisita disponibilità, per l’attenzione, per il talento profondo , sensibile e intelligente, per la generosità con cui si spende. E per “Orfani bianchi”, sempre.

Sabrina De Bastiani

 

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