A tu per tu con l’autore
A tu per tu torna oggi ad incontrare una grandissima scrittrice, che è anche un’amica di Thrillernord. Abbiamo imparato a conoscerla soprattutto grazie al personaggio che ha creato, Aurora Scalviati, ma Barbara Baraldi è un’artista completa, e per noi è stato un immenso piacere poterla intervistare di nuovo, poco dopo l’uscita del suo “Osservatore oscuro”.
Barbara, lasciando solo per un attimo da parte la qualità e lo stile della tua scrittura, volevo soffermarmi su quanto sta a monte, e cioè la tua capacità e forza immaginativa, in grado di delineare mondi e situazioni con una potenza visiva che sbalordisce ed incanta. A mio avviso definirti “solo” scrittrice è in un certo senso limitante, perché sei prima ancora un’artista. Storie per bambini, gialli, sceneggiature di sapore gotico per fumetti, il mondo di Dylan Dog, saghe young adults, per arrivare al thriller puro, hanno un denominatore comune: la tua mente. Da cosa, da dove nasce il tuo “immaginario”, quali elementi sono stati e sono per te ispirazione e stimolo?
Quando ero ragazzina ero convinta di essere nata “sbagliata”. Ero quella che guardava il mondo in disparte, convinta che gestire i rapporti sociali fosse un gioco troppo complicato per partecipare. Parlavo poco, ma ascoltavo molto. E poi ero assetata di storie. La sera, piuttosto che uscire di casa, preferivo chiudermi in casa a leggere un libro o perfino ascoltare i racconti del tempo di guerra di mia nonna, che erano più spaventosi di un film horror. Questo bagaglio di storie raccontate, insieme alla mia passione per la letteratura Ottocentesca, per i poeti maledetti e lo Sturm und drang, sono alla base della mia formazione di narratrice. Per indole, ho sempre avuto una fascinazione per i misteri, dei quali ero costantemente alla ricerca di una soluzione. Da bambina, per esempio, una volta mi sono messa a scavare nel giardino della nonna per trovare l’inferno e vedere se era veramente come lo descrivevano!
La prima cosa che colpisce leggendo i tuoi libri è la forza evocativa che sei riuscita a dare al contesto. Mi spiego meglio,“La Bambola dagli occhi di cristallo” è ambientato a Bologna,“Scarlett”, che per di più è un fantasy, a Siena, Aurora a Sparvara. Siamo in Italia, nazione di luoghi iconograficamente molto caratterizzati e poco “gotici”, al punto che la maggior parte degli autori,che si muovono nel genere che privilegi anche tu, ambientano all’estero, ”fuori”. Tu sei riuscita invece a rendere perfettamente plausibile la location delle tue storie, mantenendo un respiro “internazionale” e molto contemporaneo, pur restando in Italia. In origine avevi pensato di ambientare all’estero? Nel caso, cosa ti ha fatto cambiare idea? Ma soprattutto quanto sono importanti i luoghi per le tue storie?
Credo che l’Italia abbia un potenziale straordinario inespresso per la narrativa “di genere”. Non a caso c’è una grande quantità di autori stranieri che vengono a cercare ispirazione proprio tra le nostre terre. Il nostro è una sorta di capitale inespresso, persino negletto. Un bagaglio artistico e culturale straordinario che ammanta di mistero ogni scorcio, ogni anfratto, ogni angolo delle nostre città. Un’unicità che meriterebbe di essere esplorata di più.
La scelta dei nomi dei protagonisti dei romanzi mi ha sempre affascinato e trovo che chiamare Aurora la tua protagonista sia stato assolutamente perfetto. Aurora evoca l’apparizione della luce poco prima del sorgere del sole e, nomen omen, non potevi fare scelta più centrata. Con una parola hai connotato e reso il suo tratto fondamentale, la luce che è lei, in lei e che si contrappone al buio dentro, ai suoi demoni. Un nome che è presagio di vittoria, perché la luce sconfigge le tenebre, di forza, di speranza, anche se la “lotta” sarà durissima e dolorosa. Avevi già delineato il tuo personaggio quando le hai dato un nome o sei partita dal nome? Nel 2014 eri uscita con una rivisitazione della fiaba La bella addormentata nel bosco, ossia “Aurora -Sleeping beauty”, illustrato da Lucio Parrillo, questa Aurora è stata per te in qualche modo fonte di ispirazione per la sua omonima Scalviati?
L’Aurora di “Sleeping beauty” deve il nome alla protagonista della fiaba della Bella Addormentata, a cui il racconto è (liberamente) ispirato. Ti sembrerà incredibile, ma quando ho immaginato Aurora Scalviati, inizialmente non mi sono resa conto dell’omonimia. Credo sia dovuto al fatto che i personaggi sono in grado di prendere forza autonomamente, emergendo dalla pagina come animati di vita propria. In questo senso, non ho mai “deciso” qualcosa al posto di Aurora, ma scrivendo cerco di seguire il flusso dei suoi pensieri. La sua personalità è arrivata prima del nome: sapevo che era una poliziotta con un disturbo bipolare poche ore prima che si delineassero nome e cognome nella mia mente. È stato come se fosse stata lei a venirmi a cercare, a mostrarmi la sua carta di identità prima che cominciassi a scrivere.
Nello specifico, quando e come è nata Aurora Scalviati? Si percepisce l’amore e il forte legame che hai con il tuo personaggio, in cosa le assomigli? In cosa vorresti assomigliarle?
Aurora è nata durante una delle notti più buie della mia vita, quando il mio paese è stato colpito dal terremoto dell’Emilia, nel 2012. Abito a pochi chilometri dall’epicentro ed è in momenti come quello che ti rendi conto che tutto ciò che hai lo puoi perdere in un istante. Ed è estremamente difficile, poi, trovare la forza per rimettere insieme i pezzi. Per Aurora è stato proprio così. Era la migliore, con straordinarie prospettive di carriera davanti a sé. Ma poi ha perso tutto, e si è trovata a dover ricominciare da capo, solo per rendersi conto che non era più la stessa. In un certo senso, è stata lei a sollevarmi delle mie inquietudini, mentre la aiutavo a fare i conti con le sue. Io e Aurora abbiamo caratteri molto diversi, ma ci accomuna senz’altro la caparbietà e l’ossessione per il nostro mestiere.
Un tuo tratto specifico è l’emozione, l’affetto che riesci a veicolare e ad infondere nelle tue storie, nei tuoi personaggi. La specificità sta a maggior ragione nel fatto che la tua scrittura è stilisticamente perfetta, impeccabile, priva di sbavature, ma, nonostante ciò, mai fredda o priva di empatia. I tuoi libri pulsano vita, calore, generano partecipazione emotiva e mentale nel lettore. Sembra che tu lasci scorrere la penna sui fogli come un pattinatore scivola sul ghiaccio e allo stesso tempo si percepisce la cura e l’attenzione per le parole, per i dettagli. Come hai raggiunto questo equilibrio stilistico così peculiare?
Grazie per queste parole, di cuore. È bello sapere che hai provato per Aurora lo stesso trasporto che ho provato io. Posso dirti che vivo una moltitudine di emozioni mentre scrivo, e che sono immensamente felice nel sentire che ti sono “arrivate”. Mi è capitato di dovermi fermare perché non vedevo più lo schermo, solo per rendermi conto che gli occhi mi si erano riempiti di lacrime. Certe scene di “Aurora nel buio” hanno infestato i miei incubi per diverse notti, anche perché andavano a scavare tra le mie stesse paure. E poi cerco sempre di sorprendermi: non riesco a pianificare un romanzo se non a grandi linee, non posso provare la rassicurante sensazione di avere tutto sotto controllo. Mentre scrivo ho bisogno di un brivido. Ho bisogno che i personaggi prendano vita, facciano le loro scelte. Io stessa devo aver paura di voltare pagina, al momento della scrittura, perché non sono sicura di quello che troverò. Ed è una cosa curiosa, perché sono un’autentica maniaca del controllo! Forse il risultato finale è dovuto proprio alla lotta costante di queste due parti di me.
“Aurora nel buio”ha ricevuto moltissimi consensi ed altrettanti riconoscimenti, “Osservatore oscuro” si sta già avviando, a pochissimo dall’uscita, a superare il suo predecessore. Cresce la fidelizzazione dei lettori alle tue storie, cresce la fame di leggerti ancora. Un altro tuo tratto molto bello è, appunto, il profondo rispetto che hai per chi ti legge, nel chiudere i cerchi dei sospesi senza trascinare le situazioni, nei colpi di scena privi di forzature, pur se assolutamente originali e inaspettati. Spiazzi i lettori, ma non li “inganni” mai, apri catapultando immediatamente il pubblico nella storia, senza preamboli o introduzioni, chiudi con finali che sono anche un nuovo inizio, riuscendo lo stesso a lasciare pienamente soddisfatto il lettore. Come costruisci lo schema delle tue storie? E quanto spesso ti capita, nell’economia di un romanzo, di discostarti dalle tue idee di partenza?
Da lettrice voracissima, mi è capitato un’infinità di volte di rimanere delusa anche di fronte a un romanzo con una meravigliosa idea di fondo. Sono molto esigente come lettrice, e altrettanto severa con me stessa come autrice. Scrivo le storie che vorrei leggere, a costo di dedicare ogni ritaglio di tempo per la revisione. Qualcuno ha detto che «scrivere significa riscrivere» e per me è una specie di mantra.
Con “Osservatore oscuro”, in assoluto uno di più bei thriller degli ultimi anni, hai ulteriormente alzato l’asticella, in termini di qualità, di potenza della storia. Mi parleresti della genesi di questa seconda avventura di Aurora? Mentre la scrivevi avevi sentore di quanto funzionasse e dell’impatto che avrebbe avuto?
Le fasi di lavoro di “Osservatore oscuro” sono state molto più concitate di quelle di “Aurora nel buio”. Il primo volume ha richiesto anni di ricerche per costruire il mondo di Sparvara, fare conoscenza con i personaggi, ricostruire la Bologna del Medioevo. Per il secondo incontro con Aurora ho potuto fare affidamento su quanto già fatto, su fondamenta solide e voci ormai conosciute. Aurora, Bruno, Silvia, Tom e gli altri erano ormai parte di me. Conoscevo le loro motivazioni, le loro paure più grandi e i loro desideri. Avevo inoltre già ben chiara nella mente la prima scena del romanzo, con il ritrovamento del cadavere al cimitero monumentale della Certosa. Mi è arrivata a una settimana circa dalla consegna del primo volume. Vivida, potente come un incubo che ti sveglia nel cuore della notte. Mi è bastato trovare il coraggio di tuffarmi nuovamente nel buio. Ho lavorato senza sosta, a un ritmo vertiginoso e alla fine, lo confesso, mi sentivo frastornata, piena di insicurezze. L’abbraccio dei lettori, molti dei quali stanno addirittura preferendo questa seconda indagine alla prima, mi sta restituendo le forze dopo questa corsa perdifiato.
L’ Osservatore oscuro è un’entità, che si presta a molte suggestioni ed interpretazioni. La più immediata è quella di una figura più o meno vagamente minacciosa, che ci osserva, ci scruta nel buio o scruta il nostro buio, può essere esterna a noi o anche dentro di noi. Leggendo il tuo libro mi sono però trovata a percepirne un’accezione in un certo qual modo positiva, come se osservare potesse essere sostituito da vigilare, vegliare, proteggere anziché minacciare, ed è (sarà..) interessante capire quanto distorto possa essere questo modo di osservare. E’ una sensazione anche tua? Cosa è per te un osservatore oscuro?
C’è un libro di psicologia che mi è stato regalato quasi provvidenzialmente da una cara amica: si intitola “Mindsight” ed è stato importantissimo per scrivere questa seconda indagine di Aurora Scalviati. Illuminante per molti versi, mette in luce alcune caratteristiche del cervello umano tenendo conto delle sovrapposizioni dovute all’evoluzione, spiegando alcuni meccanismi alla base della sopravvivenza di tutte le specie viventi. In questo senso, l’osservatore oscuro è quella parte di noi che vigila sull’ambiente circostante e ci permette di riconoscere un pericolo, mettendo in moto quel meccanismo che viene chiamato “combatti o fuggi”. Un’entità affascinante, “oscura” perché agisce al di sotto della razionalità, della coscienza. Allo stesso tempo, per tutta la durata dell’indagine Aurora si sente osservata da una presenza inafferrabile che vigila su ogni sua mossa, anticipando le sue reazioni. Ma di chi si tratti in realtà è lasciato all’interpretazione del lettore. Chi è il vero antagonista di Aurora? Il suo passato, il serial killer, o la parte più profonda di se stessa che raccoglie insicurezze e paure e le usa contro di lei? Sono convinta che un romanzo debba essere in grado di suscitare domande, piuttosto che fornire risposte. E alla fine della stesura io stessa mi sono trovata a riflettere sul significato del titolo, avvolta nell’abbraccio del mio osservatore oscuro.
Barbara Baraldi
Tengo a ringraziare dal profondo del cuore Barbara Baraldi per la splendida disponibilità a raccontarsi e a raccontare, in particolare, personalmente, per la sua capacità di emozionare e riempire il cuore con il suo essere e per il suo grande, possente talento, che ti porta, finito un suo libro, a desiderare già il momento in cui si poseranno gli occhi sul prossimo…
Sabrina De Bastiani
E io ci tengo a ringraziare pubblicamente te, Sabrina. Per la grande competenza e l’immensa sensibilità con cui ti sei approcciata al mio lavoro. Te ne sono grata.
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