Intervista a Dario Galimberti




A tu per tu con l’autore

A cura di Claudia Cocuzza 


 

 

 

Innanzitutto ringrazio il prof. Galimberti per aver accettato per la seconda volta il nostro invito. Infatti è già stato nostro ospite nel 2019 e in quell’occasione ha parlato alla nostra Patrizia Argenziano di un giallo che stava accingendosi a scrivere e che sarebbe partito dal Capodanno 1931. Sembra proprio che avesse già in mente la genesi di “La ruggine del tempo. Un’ indagine del delegato di polizia Ezechiele Beretta”. 

 

Con questa indagine del delegato Beretta ritorniamo a Lugano, ancora anni ’30 del secolo scorso, ma facciamo un salto indietro di tre anni rispetto a “Un’ombra sul lago”. Non solo, la vicenda qui si complica anche sul piano temporale, con ben due filoni d’indagine da seguire, separati da uno sbalzo di cinquant’anni. Quanto l’ha impegnata il lavoro di ricerca storica nell’economia della costruzione del romanzo?

Scrivere fuori dal proprio tempo è complicato, un po’ come scrivere fuori dal proprio spazio. Nella misura in cui è possibile inserirsi nei fatti della storia e camminare con essi diventa però affascinante. Questo significa – per essere credibili – documentarsi nel miglior modo possibile, non tanto per non cadere in errori grossolani ma per poter rivivere, e di conseguenza proporre al lettore, l’atmosfera del momento narrato. Con La ruggine del tempo mi sono confrontato con due momenti storici per l’appunto distanti tra loro di cinquant’anni, il che ha significato aggiungere alla già complicata raccolta di documentazione degli anni Trenta, quella della seconda metà dell’Ottocento. Acquisiti i dati essenziali per la definizione della struttura iniziale, la ricerca è poi continuata parallela alla stesura della storia, ampliandosi e diramandosi in funzione della narrazione. Per dare una tempistica, ho iniziato a scrivere La ruggine del tempo alla fine del mese di dicembre del 2018 e il tutto si è concluso con il visto si stampi nella primavera del 2021.

 

Cosa la affascina di questo periodo ˗primi decenni del ‘900˗ tanto da averla spinta a sceglierlo come ambientazione per i casi di Ezechiele Beretta?

Ho come l’impressione che in quegli anni il tempo fosse più lento, la quotidianità meno frenetica e tutto si potesse affrontare con maggiore attenzione e riflessione. Dal punto di vista della struttura del romanzo avevo invece una certa garanzia di non emulare le tecnologie delle indagini contemporanee, già viste più volte al cinema, alla televisione, ecc. così da costringermi a inventare delle soluzioni artigianali.

 

 

Sono rimasta folgorata dalla descrizione del Castello di Trevano e allibita dal fatto che sia stato demolito. Leggendo le note, ho percepito il suo disappunto per la vicenda, sia come uomo che come architetto. La scelta dell’ambientazione può essere vista come un tentativo di riesumazione su carta di meraviglie del passato la cui memoria andrebbe altrimenti perduta?

L’interesse da parte mia per il Castello di Trevano fu sempre vago, come vaghi sono certi ricordi, finché la casualità non mi fece imbattere in una serie di fotografie che mi lasciarono di stucco. Ancor oggi non riesco a capacitarmi come fosse stato possibile demolire un’opera di così rara bellezza. 

Per meglio comprendere la struttura e la forma, utilizzando un rilievo approssimativo e alcune fotografie, mi sono avventurato in un lavoro folle: ho ridisegnato con attenzione e in maniera filologica l’intero edificio. Avrei voluto fare di più, una mostra, un modello, delle rappresentazioni virtuali o una simulazione in realtà aumentata, ma la pandemia ha annullato tutto. Sono rimasti i rammarichi, i nuovi disegni in formato digitale e un po’ di parole per descrivere le atmosfere, precisare le forme, narrarne le disavventure e in qualche modo, come dice, riesumarlo per una seconda chance.

 

Ricollegandomi alla domanda precedente, le chiedo se ha già in mente un prossimo “luogo del cuore” da salvare dall’oblio rendendolo scenario di un nuovo caso per il delegato Beretta.

Il nuovo romanzo – in stesura – si svolge sulla punta Sud del monte Arbostora, nell’area compresa tra: il villaggio di Morcote prospicente il lago di Lugano; il santuario nel bosco della Madonna D’Ongero, luogo che fece dire a Hermann Hesse “Ci sono molte bellezze sulla terra, ma nessuna eguaglia questa visione.”; la Chiesa del XII secolo di Santa Maria Assunta di Torello. Dunque ancora architettura da ricordare e rivedere attraverso la scrittura. Questa volta il Beretta è alle prese con un triplice e inspiegabile omicidio, mentre parallelamente è costretto a scavare nel passato di Sterlina perché è in pericolo di vita…

 

“La ruggine del tempo” è un giallo con tutti gli elementi caratteristici del genere, ma ciò che mi ha colpita positivamente è qualcosa che invece manca rispetto a gran parte delle uscite degli ultimi anni: l’aggressività. Io l’ho definita una “lettura gentile”, perché scorre pacata, senza urlare, ma non per questo è meno avvincente. Non dubito del fatto che molto dipenda dal suo modo di essere, ma le chiedo se ha un modello a cui fa riferimento.

Mi sono chiesto spesso se non fosse anacronistico non addentrarsi in raccapriccianti particolari di ogni genere, la questione però non mi ha mai interessato. Mi interessa di più raccontare storie che generino suspense, colpi di scena e magari altri fatti accattivanti, riferendomi maggiormente a una traccia più classica. Ad esempio, le indagini degli investigatori di Dürrenmatt: il commissario Matthäi del romanzo “La promessa” o l’ispettore della polizia bernese Hans Bärlach del romanzo “Il sospetto”. Personaggi ostinati, geniali e con la giusta dose di irrazionalità. Oppure le incredibili indagini di Auguste Dupin, il genio della logica deduttiva uscito dalla penna di Poe, in grado di scoprire il colpevole senza neppure muoversi dalla poltrona di casa. Non da ultimo il giudice istruttore Porfirij Petrovič di Delitto e castigo, talento della diversione e maestro di maieutica, ideato da Dostoevskij e ispiratore della caratterizzazione del tenente Colombo. 

In attesa di leggere ancora del delegato Beretta, la ringrazio per il tempo che ci ha dedicato.

Claudia Cocuzza

 

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