A tu per tu con l’autore
A cura di
Sabrina De Bastiani
Deborah, mi verrebbe da chiederti quando e come hai iniziato a scrivere e a pensarti scrittrice, ma ho l’impressione che in un certo senso la scrittura, il raccontare sia nato con te. Sei d’accordo con questa riflessione? Cosa è per te la scrittura?
Buongiorno Sabrina. Per prima cosa ringrazio te e la redazione di Thrillernord per aver scelto di ospitarmi qui. E’ un onore per me essere tra di voi. Credo di essere sempre stata proprio questa, in fondo. Una narratrice di storie. Parlate o scritte. Fin da bambina ho sempre adorato raccontare. Scrivevo ciò che vedevo succedere intorno a me su pezzetti di carta, tovagliolini o altro. Tornata a casa trascrivevo tutto su dei quaderni lasciando che la mia fantasia manipolasse ciò che avevo scritto inizialmente. In fondo credo che scrivere e raccontare significhi tutto per me e temo che continuerà ad essere così. Aldilà del fatto che mi si voglia leggere o ascoltare.
Il tuo primo romanzo compirà 10 anni il prossimo 05 Marzo. Sto parlando di “Nessuno mai potrà + udire la mia voce” che, a dispetto del titolo, si fa sentire forte e potente ancora oggi. Gli echi emotivi che ha scatenato e risvegliato questo libro sono infatti ben lontani dall’essere sopiti. L’argomento trattato, il femminicidio, è già di per sé di quelli lasciano solchi profondi, ma il tuo approccio, la tua scrittura e la tua empatia hanno davvero fatto la differenza rendendo questo romanzo imprescindibile e sconvolgente da quanto entra, e resta, nel cuore. Cosa ti ha mosso nello scrivere questa storia? Cosa ti ha lasciato la storia e Francesca, la tua protagonista.
Che bel complimento, Sabrina…GRAZIE. Francesca è letteralmente esplosa dentro di me. Al contrario di tutto ciò che ho scritto nella mia vita che è rimasto e, probabilmente rimarrà, chiuso nei cassetti per anni, la sua voce, come hai sottolineato tu a dispetto del titolo, aveva urgenza di farsi sentire. L’approccio di quel romanzo è stato azzardato ed inconsueto. Una modalità di scrittura che però è arrivata ed è piaciuta perché ancora oggi, nonostante siano passati dieci anni dalla prima edizione e quasi cinque dalla seconda, i lettori lo chiedono e ne parlano. La protagonista mi ha lasciato se stessa. Mi ha lasciato la sua vita interrotta troppo presto. La sua voglia di vivere quella vita che lei e tutte le nostre ragazze uccise da chi diceva di amarle non potranno più vivere. Una delle recensioni più belle di quel libro diceva: Francesca, uccisa ma non vittima. In quel romanzo la protagonista ha raccontato la sua morte senza mai chiedere pietà ma raccontando al lettore quanto amava vivere. Francesca mi ha lasciato la voglia di formare le nuove generazioni per far comprendere loro che l’amore non può essere sinonimo di possesso ma la libertà e la fiducia nell’altro sì. La voglia di far capire come accettare la fine di un rapporto. Mentre un tempo le vittime di violenza erano quasi esclusivamente vittime di violenza domestica e quindi sposate o conviventi negli ultimi anni ci troviamo davanti vittime giovanissime uccise dai fidanzatini conosciuti nei banchi di scuola. Ed è per questo che il libro era stato scelto da un liceo di Altamura ( Bari) per un progetto sulla legalità ed è stato il fulcro di un altro progetto pilota per cinque istituti superiori della Provincia di Genova e quattro istituti superiori della Provincia di Imperia.
Da “Nessuno mai potrà + udire la mia voce” hai tratto la sceneggiatura per uno spettacolo teatrale ad alto impatto emotivo che ha registrato il sold out in importantissimi teatri, uno su tutti il Carlo Felice di Genova. Cosa ricordi e cosa puoi dire di quell’esperienza?
Per me scrivere la sceneggiatura e portare in scena Nessuno mai potrà + udire la mia voce è stato il giusto finale del romanzo stesso. Amo il teatro e vedere i miei personaggi in carne ed ossa è stato bellissimo. Mi occupo anche della regia perciò ho potuto plasmare gli attori per far sì che diventassero una cosa unica con i personaggi da me creati. Francesca è interpretata da Ambra Giordano e chi ha visto lo spettacolo dopo aver letto il libro può testimoniare che pare uscita dalle pagine. Il SOLD_OUT al Carlo Felice non lo dimenticherò mai. Abbiamo ricevuto 3800 prenotazioni per 2000 posti disponibili e il risuonare dell’applauso finale di quelle 2000 persone in piedi lo sentirò nelle mie orecchie per sempre.
“Mille e più farfalle” è ad oggi il tuo ultimo libro e il riscontro che sta ottenendo è altissimo. Si tratta di una raccolta di quattro racconti che hanno per protagoniste altrettante bambine. Tre di loro non sono diventate grandi, per questo il sottotitolo è racconti di vita breve. Anche in questo caso affronti tematiche molto importanti, come la morte, la sindrome del sopravissuto, la malattia, la violenza assistita, senza sconti o scorciatoie, ma con il dono della tua scrittura potente ma delicata allo stesso tempo. Cosa rappresenta per te questo libro e cosa ti ha portato? Perché hai scelto di far seguire ad ogni racconto una postfazione di esperti quali Annalisa Cardone, Margherita Carlini, Roberta Manfredini e Bruno Morchio, qui appunto non nelle vesti dell’affermato autore che è, ma in quelle di psicologo?
Diciamo che come hai capito mi piace scrivere ciò che sento e conosco. Il dolore e la morte ne fanno parte. Mi occupo di volenza di genere e di elaborazione del lutto. La scelta di scrivere della morte di tre bambine è stata difficile, soprattutto, perché molte persone interpretano la lettura come un momento di svago e di certe questioni non ne vogliono sentire parlare, ma la vita è fatta anche di questo. Di sopravvivenza dopo la morte di qualcuno che ci è molto caro e, a parer mio, bisogna parlarne e leggerne perché è l’unico modo per sentirsi meno soli e più empatici in riferimento al dolore altrui. La scelta di chiedere a quattro psicologi, scelti accuratamente da me a seconda del tema trattato, è dovuta al fatto che i racconti sono abbastanza “duri” da metabolizzare e scoprono tante fragilità che molte persone non sanno neppure di avere. Diciamo che dove io ho aperto la ferita gli psicologi hanno posto un cerotto salvifico.
Solo una delle quattro bambine protagoniste dei racconti di “Mille e più farfalle”, Allegra, vive. Nel racconto è una vittima di violenza assistita che “salva” sua madre e se stessa, trovando con la sua inventiva e freschezza di bambina il modo di aiutare la mamma a trovare il coraggio necessario a chiudere la porta su una vita di violenza domestica e a ricominciare.
Allegra è l’unico dei quattro racconti che compongono “Mille e più farfalle” che ho scritto con un fine e una speranza. In Italia, dal 2000 ad oggi, sono state uccise 3100 donne. Tanti sono i loro figli. Tanti sono i bambini vittime di violenza assistita che hanno ancora la mamma ma che, quotidianamente, respirano violenza. Mi ritrovo spesso, quando le donne che si rivolgono al mio Centro mi raccontano la violenza subita, a domandare dove si trovavano i loro figli mentre accadeva il fatto. La loro risposta, o perché si raccontano una bugia o perché ci credono veramente, è sempre la stessa. “Stia tranquilla, il bambino non ha visto o sentito niente”. In realtà i bambini vedono e sentono tutto ma non mi è mai capitato di trovarmi davanti una bimba come Allegra e cioè una bimba che con i suoi giochi salva la sua mamma. Perché molti bambini vittime di violenza assistita diventano adulti problematici ma anche perché non è compito dei bambini salvare i genitori ma, piuttosto, essere accuditi dagli stessi e costringere un bambino a vivere all’interno di una casa senza amore e rispetto non è fare il suo bene. Il libro parla di bambine ma racconta di madri, di sorelle, di adulti. Nel caso specifico di questo racconto vuole dire alle donne che certe porte bisogna chiuderle. Per sempre.
Adios Paula, mujer, bienvenida Paula, espiritu. Sono parole di Isabel Allende, sono le parole finali del suo libro Paula, nel quale la Scrittrice affronta e racconta la morte della figlia. Che rapporto hai tu, Deborah, con la morte e con la vita oltre la vita?
Sabrina hai citato la mia autrice preferita. Isabel mi ha concesso di accettarmi e mi ha fatto sentire meno sola perché parla sempre di morte e di vita come se l’una fosse il prosieguo dell’altra e non come se una delle due prevaricasse sull’altra. Ovviamente è difficile comprendere l’ignoto ma, sicuramente, se imparassimo ad accettare la morte vivremmo con più intensità la vita e saremmo in grado di accettare meglio i lutti ai quali ci sottopone. Lascio a te e ai lettori una frase tratta proprio da uno dei suoi libri che descrive esattamente il mio rapporto con la morte. “Così, come quando si viene al mondo, morendo abbiamo paura dell’ignoto. Ma la paura è qualcosa d’interiore che non ha nulla a che fare con la realtà. Morire è come nascere, solo un cambiamento.”
Da lettrice, quali sono i libri che prediligi e cosa ne pensi del genere Thriller nordico?
Sono una lettrice abbastanza onnivora. Adoro gli scrittori latini e, come ho detto prima Allende, è la mia preferita parlando di romanzi. Mi piacciono i thriller e i noir, un po’ meno i gialli nel vero senso del termine. Adoro, ad esempio, Carrisi, De Giovanni e Bilotti. Come thriller nordico ho apprezzato molto L’Ipnotista dei Lars Kepler.
Ringrazio profondamente Deborah Riccelli per la passione, la generosità e la sensibilità nell’aprire porte spesso difficili, e perché lo fa usando sempre, senza risparmiarsi, la chiave più preziosa, il cuore. Il suo talento parte da qui, per farsi indimenticabile nelle sue pagine.
Sabrina De Bastiani