A tu per tu con l’autore
A cura di Marianna Di Felice
Il commissario Veneruso è uno di quelle persone che vivendo in un’Italia frazionata e composta da regni, ducati o granducati non accetta l’unità perché è un nostalgico o perché in questo modo sa che questa non preserverà le lingue tipiche dei popoli e forse nemmeno gli usi e costumi?
Veneruso vive a Napoli nel 1883, circa 20 anni dopo l’Unita d’Italia, in una Italia ormai consolidata. Però egli è affettivamente legato al vecchio regno dei Borbone, come credo lo fossero in tanti in quegli anni quando la città, da capitale, si trasformò in una semplice provincia. Per la lingua napoletana, che è il tema dell’ultimo romanzo “Tutti si muore soli”, Veneruso non ha grande interesse né attenzione: la dà per scontata e la considera la lingua più bella del mondo. Lui è così: un po’ ignorante e un po’ ottuso…
Lei ha scritto precedentemente altri libri con i casi del commissario Veneruso che sono tutti posteriori rispetto quest’ultimo. Come mai questa scelta a ritroso?
Perché mi divertiva indagare sulla vita del commissario Veneruso prima del colera a Napoli del 1884, tema principale del primo romanzo, “La collera di Napoli”. Dopo l’epidemia cambiarono molte cose a Napoli, perciò mi faceva bisogno fare un passo indietro e tornare alla Napoli della Belle Époque non ancora contaminata dal dolore.
Il commissario è ironico e anche malinconico, quasi sempre adirato con i suoi anche se cambia spesso pensiero. Come ha ideato questo commissario diverso dai tanti, dall’humor nero che riesce ad introdurre casi raccapriccianti con ironia?
Come ho già scritto, Veneruso – commissario capo della polizia del Regno con ufficio in piazza Dante di Napoli, nel 1884 – si è presentato un pomeriggio sulla prima pagina di un racconto, esattamente così com’è oggi: grassoccio, pesante, stanco, sudicio, invidioso, triste, maleducato, di cattivo umore, ma assai sensibile e quasi buono. Non sono riuscito a capire subito le ragioni di questa apparizione, non avendo io nulla in comune con lui (anche se qualcuno la pensa in maniera diversa). Forse Veneruso è sempre stato nascosto nella memoria assieme alle antiche storie che mi raccontavano in casa quando ero bambino. Storie che ogni tanto ritornano a galla, meravigliando prima di tutti me. Uno dei motivi per cui scrivo, probabilmente, è proprio il desiderio di liberare i vecchi racconti e fare luce sulle paure infantili che per anni avevo dimenticato.
Avevo sentito recentemente l’opinione di una professoressa di sintassi e variazione linguistica dire che il dialetto abruzzese è una lingua a sé, come anche il napoletano e molti altri dialetti che derivano da vari idiomi appartenenti a conquistatori che hanno occupato i territori in questione. Come si fa a preservare queste lingue, sconosciute ai più, se parole come erto, alacremente, idillio (e molte altre) son considerate ormai come desuete? Come si fa a far comprendere ai più l’importanza della propria lingua e del dialetto che è precedente?
Il napoletano è una lingua con una propria struttura, una storia, una grammatica, una poetica e un ricco repertorio di poemi, canzoni, poesie, romanzi e opere teatrali, parlata ancora da milioni di persone. Ciononostante – al contrario di quel che fanno i catalani con la loro lingua, il catalano, che non considerano un dialetto del castigliano, ma una vera e propria lingua indipendente – sono stesso i napoletani a relegarla a dialetto “sporco” da utilizzare non in occasioni importanti. A Napoli esistono due parlate: quella pulita, l’italiano, che usa la gente “colta”, e quella sporca, il napoletano, che usano gli altri…
Nel caso qualcuno entri in confusione alla fine del libro c’è un glossario con la traduzione delle parole usate. Lei crede che qualcuno possa trovare la storia troppo piena di parole tipiche napoletane? A mio giudizio alcune di esse si capiscono se si entra nel vivo della storia.
Il tema del libro sono le parole, dunque era necessario usare parole tipiche napoletane: il lettore capirà.
Ci farà ancora compagnia?
Sì, certo. Sono già in preparazione altre storie… Grazie!
Diego Lama
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