Intervista a Ezio Sinigaglia




A tu per tu con l’autore

 

 

Quest’anno è stato ripubblicato il suo romanzo Il pantarèi per Terrarossa Edizioni, molto apprezzato e osannato da lettori e addetti ai lavori. Come si spiega il successo di un libro nato negli anni Ottanta e concepito addirittura nella prima metà dei Settanta? Potrebbe ricondursi all’originalità dell’essere meta-romanzo e opera ibrida?

Fossi un inguaribile ottimista, tenderei a rispondere così alla sua domanda: Il pantarèi era in anticipo sui tempi. Quale spiegazione della sfortuna giovanile di uno scrittore potrebbe suonare più lusinghiera, e più promettente per la sua fama postuma? Purtroppo c’è una verità che salta subito agli occhi: dal 1980 a oggi non è che i tempi siano andati avanti, costruendo o almeno preparando “le magnifiche sorti e progressive” dell’umanità. Al contrario, tutto è andato regredendo con la sola eccezione della tecnologia elettronica. Lasciando da parte, per carità di patria, gli aspetti politico-sociali del fenomeno (battezzato “riflusso” proprio agli albori degli anni Ottanta e da allora mai più arrestatosi), e concentrandoci su quelli letterari, è facile rendersi conto di quanto i romanzi di cui si parla nel Pantarèi (la Recherche proustiana, l’Ulisse di Joyce, L’uomo senza qualità di Musil, per citare soltanto i primi tre) siano più “moderni”, più “all’avanguardia” di tanta letteratura odierna. E allora forse sta proprio qui la spiegazione. Il pantarèi, che ripercorre la storia di alcuni eccelsi capolavori narrativi del Novecento e tenta di costruire con gli stessi mattoni di quegli edifici un’opera nuova, così ambiziosa da suggerire una porta aperta sul futuro, è di una inattualità sconvolgente, che lascia intuire, specie ai lettori più giovani, a quale rivoluzionaria modernità abbiamo, forse irrimediabilmente, voltato le spalle.

 

 

Il protagonista del Pantarèi, Daniele Stern, viene incaricato da una casa editrice di scrivere un compendio-panoramica della letteratura del Novecento. Lei come e perché ha scelto gli autori citati?

L’incarico che riceve Stern è quello di scrivere una breve storia del romanzo del Novecento, con un approccio e un linguaggio molto divulgativi (il target è il pubblico di livello culturale medio-basso delle enciclopedie, tanto in voga negli anni Settanta). Questa “molla narrativa” è stata da me caricata appositamente per poter parlare degli autori di cui si parla nel Pantarèi, così da dimostrare in due modi (quello saggistico e quello narrativo, uno più beffardo dell’altro) che il romanzo non era affatto morto: anzi, i grandi romanzi del Novecento erano ancora così vitali che, nella loro ombra, anche la storia del derelitto Stern si faceva vitalissimo, palpitante romanzo. Quindi è chiaro che perlomeno i primi cinque autori (Proust, Joyce, Musil, Svevo e Kafka) li avevo scelti molto prima di inventare la trama del romanzo. Sono loro, questi cinque, i giganti di cui non si può tacere. Nell’insieme disegnano una linea molto nitida di innovazione e, allo stesso tempo, di decostruzione del romanzo. Dopo di loro, che cosa ne sarebbe stato del genere romanzo? La scelta degli altri tre autori (Céline, Faulkner, Robbe-Grillet) è molto meno necessaria di quella dei primi cinque. È una scelta piuttosto personale. Céline l’ho inserito nel mio canone per la sua straordinaria inventività linguistica, Faulkner per la sua geniale capacità di innestare le nuove tecniche della narrativa novecentesca sul tronco del romanzo tradizionale, Robbe-Grillet per il suo tentativo paradossale ed estremo di disumanizzare il romanzo. Bisogna anche tener conto del fatto che, da disciplinato esordiente, mi ero imposto limiti di lunghezza molto rigidi: 250 pagine mi sembravano già troppe (in effetti la prima edizione del Pantarèi occupava 248 pagine). Inoltre mi piace il numero 10: i capitoli del Pantarèi sono nove (gli otto autori che abbiamo detto più un’introduzione che cade fra Proust e Joyce) e diventano “circa 10” con il Prologo e il brevissimo Epilogo. Perciò gli autori dovevano essere otto, non uno di più. In seguito (con Eclissi e con il mio romanzo più ampio, ancora inedito) mi sono fissato sul 10 tondo, senza approssimazioni. Dieci capitoli, intendo, brevi o lunghi che siano. Una vera mania.

 

Quali sono i suoi libri sul comodino? Ad un lettore, se dovesse consigliare un libro per lei formativo, quale indicherebbe?

Leggo molti gialli, sia perché mi piacciono anche quando valgono poco (c’è sempre qualcosa che incuriosisce, in un giallo) sia per la ragione che dirò rispondendo alla domanda successiva. Il libro che ho sul comodino in questo momento è un giallo svedese, però pubblicato da Einaudi e non da Marsilio. Gli autori sono una coppia attualmente molto in voga, Hjorth & Rosenfeldt, al loro secondo romanzo. È una storia di serial-killer, il che la collocherebbe all’ultimo posto nella scala delle mie preferenze giallistiche, ma l’aspetto intrigante di questi romanzi della ditta H&R è dato dal fatto che il protagonista, tale Sebastian Bergman, il profiler, è un uomo eccezionalmente antipatico, che fa e dice quasi esclusivamente cose detestabili. Questo genera nel lettore effetti psicologici interessanti, fra l’insofferenza, il disorientamento (non sa in quale altro personaggio identificarsi: il capo della Omicidi è un brav’uomo banale e titubante, le sue due principali collaboratrici fanno costante sfoggio di sprezzante serietà professionale, il serial-killer va escluso per principio) e una segreta complicità. Sono casi, questi, che meriterebbero studi psicologici approfonditi. Qualcosa di simile mi era successo tempo fa con un paio di romanzi di Muriel Spark: i suoi personaggi agiscono, tutti, spinti da moventi così meschini che il lettore si trova sempre sul punto di affogare: ogni salvagente cui si aggrappa si dimostra subito disgustosamente viscido e va abbandonato con ribrezzo: non sembra esserci scampo. Si può soltanto cercare di identificarsi con l’autrice (e, finché era in vita, si poteva progettare di scriverle lettere gonfie d’ammirazione). Quanto ai libri che sono stati provvidenziali per la mia formazione di lettore e di scrittore e che suggerirei di leggere a un giovane appassionato di letteratura, devo scusarmi per l’insistenza: l’Ulisse di Joyce, la Recherche di Proust, La coscienza di Zeno. Potrei aggiungere quello che considero il capolavoro della critica letteraria di ogni tempo, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, di Erich Auerbach, un libro obbligatorio per chiunque aspiri ad essere un lettore intelligente.

 

Cosa bolle in pentola, quali sono i suoi prossimi progetti letterari?

Prima di tutto vorrei riuscire a pubblicare in vita almeno quattro dei miei inediti, con l’audace, e quindi congeniale, editore TerraRossa. Questo è un progetto adatto alla mia età: non comporta quasi nessuna fatica ed esige soltanto la mia sopravvivenza per altri quattro-cinque anni. Cominceremo l’anno prossimo (gennaio 2020) con una novella lunga davvero singolare e “scandalosa”, intitolata L’imitazion del vero, e proseguiremo nei due anni successivi (2021 e 2022) con un romanzo diviso in due metà, e intitolato di conseguenza Fifty-fifty. Ho anche un altro progetto cui terrei moltissimo: si tratta di quello che si potrebbe definire “un Pantarèi del giallo”, cioè di un romanzo giallo sul romanzo giallo: ha già un suo titolo di servizio, cui mi sono parecchio affezionato, La figura morale dell’orango, e non poche pagine già scritte. Ma è un grosso progetto e io sono uno scrittore all’antica: non riesco a scrivere in assenza della mia Musa: ho bisogno che venga a sedersi sulle mie ginocchia e ci resti almeno per un paio d’anni. Purtroppo la mia Musa è fedifraga e infingarda, e mi abbandona per lunghissimi periodi. Viaggia. Di sicuro ha altre storie meno serie ma di maggior soddisfazione, con scrittori esotici osannati in entrambi gli emisferi. La capisco, povera la mia Musa: con me il raccolto è stato davvero magro. Del resto, pur fedifraga com’è, mi è tuttavia fedele in senso lato: ritorna sempre, regalandomi emozioni indicibili: resta però da vedere se questa volta ce la farà a tornare in tempo. Altri progetti, meno condizionati dagli umori della mia Musa, li coltivo con Giuseppe Girimonti Greco che, oltre ad essere stato fin dall’inizio il mio grande supporter, è diventato col tempo – pur essendo più giovane di me di un quarto di secolo – la mia guida in fatto di scelte editoriali. In particolare abbiamo in programma – e anzi già in corso – l’ambiziosissima traduzione di un classico, sulla quale preferisco per ora, per ragioni di scaramanzia, non fare anticipazioni.

 Ezio Sinigaglia

Francesco Morra


 

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