Intervista a Fabiano Massimi




A tu per tu con l’autore

A cura di Salvatore Argiolas 


 

 


Prima di parlare del “Club Montecristo” vorrei accennare al tuo grande successo “L’angelo di Monaco”. Ho visto che è stato pubblicato in diverse nazioni. Come è stato accolto e quali sono state le reazioni più particolari a questo straordinario thriller storico? 

L’Angelo ha avuto e continua ad avere una fortuna impensabile quando iniziai a scriverlo. Quello che speravo era di dar voce a Geli Raubal e trovare un buon editore in Italia. Mai avrei pensato di pubblicare per Longanesi, l’eccellenza del thriller nel nostro Paese, né di vedere le mie parole tradotte in dieci lingue… Le reazioni sono state le più varie, ma sempre affettuose, e sempre compartecipate. Proprio ieri parlavo al telefono con una giornalista canadese che ha colto tutto quello che desideravo, riso in tutti i punti in cui speravo di farvi ridere, e adottato i miei personaggi come succede solo nei sogni più inauditi di ogni scrittore.

 

Ho letto diversi libri su Hitler e sul nazismo venendo anche a conoscenza del suicidio della nipote del Fuhrer ma l’avevo completamente dimenticato mentre tu da questa notizia hai sviluppato un ottimo romanzo completamente coerente con le documentazioni storiche. Quali sono state, se ci sono state, le difficoltà di integrare una trama gialla in un’intelaiatura storica ormai codificata? 

Per mia fortuna non credo all’esistenza di regole e codici – o meglio, ci credo, ma solo come strumenti effimeri e d’uso, la famosa scala di Wittgenstein, che una volta adoperata si può anche buttare (la citava Umberto Eco alla fine del Nome della rosa, ricordi?) Per me la sfida più grande è stata far parlare personaggi così famosi da essere ormai fagocitati dal loro cliché: Hitler, Himmler, Goebbels, Goering… Come renderli in scena senza che sembrassero da un lato personaggi di cartone e dall’altro falsi storici clamorosi? Ho girato a lungo intorno a questo dilemma, e poi ho trovato la mia soluzione: fargli fare e dire solo cose che hanno fatto e detto nella realtà, prima o poi. Certo, qualche dettaglio è inventato (o meglio: aggiustato), ma state certi che quando Hitler dice che Geli Raubal era l’unica donna che abbia mai amato, lo dice perché questa frase sconvolgente è riportata nelle fonti. 

 

So che ci sarà un seguito dell’”Angelo di Monaco”. Ce ne puoi parlare? 

Ci sarà un seguito, in uscita a maggio per Longanesi. La storia di Geli Raubal si conclude nell’Angelo, ma alla fine del romanzo ho scoperto che molti anni più tardi, in un paese diverso, accadde un episodio che riaprì e richiuse definitivamente quella triste vicenda. Per arrivare a raccontarlo mi serviranno alcuni passaggi, e questo mi consentirà di raccontare altre avventure di Sauer e soci, che dopo Monaco ne vedranno delle belle. Prima fermata: la capitale della Repubblica di Weimar a inizio 1933, ne I demoni di Berlino.

 

 

 

“Il Club Montecristo” è stato il tuo primo giallo pubblicato e devo dire che mi ha convinto pienamente per la riuscita unione di trama classica con l’innovazione dei detective che non sono proprio istituzionali. Come mai hai deciso di rendere protagonisti due outsider come Lans e Arno? 

Volevo scrivere un giallo – un desiderio profondo, inspiegabile anche a me stesso – e a lungo ho cercato una buona trama, un buon contesto, personaggi interessanti, stracciando mille ipotesi che non finivano di convincermi. Io credo che prima di introdurre in libreria un nuovo romanzo occorra leggerne centinaia e centinaia, e che vista la quantità sconfinata di ottimi libri pubblicati sia un peccato d’orgoglio voler imporre il proprio. Almeno l’autore deve sentire che c’è qualcosa di speciale, in quello che scrive, e io a lungo ho pensato che quanto scrivevo, per quanto magari gradevole, non avesse quel necessario quid. Poi per il mio mestiere (sono un bibliotecario pubblico a Modena) ho iniziato a frequentare il carcere con il compito di leggere e raccontare storie ai detenuti. Lì mi si è aperto un mondo insospettabile, che ha iniziato a ossessionarmi fino a quando non ho deciso di scriverne. Ma siccome io sono un outsider sia rispetto al carcere sia rispetto alla polizia che normalmente indaga sui crimini violenti, ho creato due personaggi complementari che non rientrano in nessuna delle due categorie: un uomo libero che ha tutto ma si sente in gabbia, e il suo miglior amico che in gabbia c’è stato per anni e ora che è uscito non sa più cosa farsene della libertà. A loro ho affidato l’indagine su un terribile omicidio che rimette al centro un quesito per me fondamentale: esiste la possibilità del riscatto per i condannati?

 

Nel tuo giallo ci sono poliziotti scellerati e incapaci come Cassini/Cazzini ma anche capaci e intraprendenti come l’ispettrice Lana. Hai voluto così rendere la varietà dell’istituzione poliziesca che invece nei gialli classici è quasi sempre connotata in modo molto manicheo o si è trattato di un riuscito espediente narrativo? 

In tutte le organizzazioni, in tutti gli ambienti di lavoro, in tutti i contesti sociali esistono i capaci e gli incapaci, o meglio i determinati e i pigri. La polizia in Italia fa un lavoro egregio (siamo uno dei paesi con il più basso tasso di criminalità al mondo, nonostante le piaghe sociali che conosciamo) ma sappiamo che mele marce si annidano anche al suo interno, e naturalmente per un narratore non è la regola il pane quotidiano, ma l’eccezione. L’ingiusto Cassini, che si rifiuta di indagare il caso Ferrante perché ha già un suo comodo capro espiatorio, è lo spiraglio in cui si infila il lavoro di Arno, Lans e degli Ammutinati, che devono e possono indagare per ottenere una verità altrimenti negletta. Per fortuna c’è l’ispettrice Lana a dar loro una mano dall’interno, e no, non è un espediente narrativo: è un personaggio, o meglio una persona, che è sorta di sua volontà dalla pagina, e che porterà molto lontano il lettore (e uno dei miei protagonisti, purtroppo per lui). 

 

I tuoi Ammutinati sono un gruppo di personaggi che colpiscono per la ventata di novità e capacità di indagine. A chi sei più affezionato? 

Gli Ammutinati sono ex detenuti che una volta usciti dal carcere hanno deciso di rigare dritto per non tornare mai più dentro. Lo fanno aiutandosi tra loro in una sorta di società di mutuo soccorso legata anche da affetto e senso dell’umorismo, due requisiti fondamentali per sopravvivere in questa nostra società. (Ora che ci penso: siamo un po’ tutti Ammutinati, dopo il lockdown. Non è buffo per un romanzo scritto anni fa essere ancora attuale e in questo modo così inatteso?) Impossibile dire a quale di questi personaggi io sia più affezionato: per ora li amo tutti allo stesso modo, come dovrebbe fare un buon padre. Ma vedremo nei prossimi romanzi cosa combineranno, e alcuni di loro prenderanno il largo più di altri. Diciamo che le battute migliori, fin qui, le ha Zero Zero – e c’è un motivo per questo, che scoprirete prima o poi. 

 

Qual è stata l’idea di partenza che ti ha fatto partire con il progetto “Club Montecristo”? 

Sul progetto in generale ho risposto prima. Sul romanzo in sé… Avevo una bella trama gialla. Originale, spiazzante. Un colpo di scena (anzi due) che non credevo si fossero mai visti. Su quelli ho costruito il meccanismo, e nel meccanismo ho infilato il carcere, gli Ammutinati, ma anche Arno con le sue disavventure sentimentali, e Lans con la sua crisi artistica e di identità. Tutte queste linee convergono nel finale, dove, se ho fatto bene il mio mestiere, si fonderanno per il lettore in un’unica sensazione diffusa: la soddisfazione di aver regalato qualche ora a un perfetto sconosciuto che non ha approfittato troppo del suo tempo. Intanto, e in ogni caso, grazie a tutti quelli che prenderanno in mano Il club Montecristo. Grazie di cuore per la fiducia.

 

Ci sarà una seconda avventura di Arno e Lans? 

Ci sarà. È già scritta e consegnata, e Mondadori la pubblicherà credo a inizio 2022 nella stessa collana del Club. Sto in effetti scrivendo il terzo capitolo della serie, che nelle mie intenzioni è lunga (ho dieci trame già dettagliate), ma naturalmente dipenderà dal favore dei lettori. Posso solo dire che i primi tre romanzi, per quanto autoconclusivi sotto l’aspetto giallo, compongono un trittico unitario che risponde a due domande fondamentali: che cosa ha fatto Lans per finire sette anni in carcere? E Arno riuscirà a rinsaldare il suo rapporto con la moglie Elsie o finirà per cedere alle lusinghe di una certa ispettrice? 

 

Quali sono i tuoi autori gialli di riferimento? 

Io leggo tantissimo, è la mia passione oltreché il mio mestiere, e il giallo è da anni al centro del mio immaginario, per cui farò torto a parecchi miei idoli limitandomi a tre nomi, però eccoli: Umberto Eco, alfa e omega con il suo Nome della rosa (ma anche con i saggi, e con i diari minimi); Stieg Larsson, il cui Uomini che odiano le donne è per me un manuale di scrittura gialla fatto e finito; e Michael Connelly, di cui sto leggendo tutto perché ha quella qualità così rara nella narrativa: la trasparenza. Ma forse dovrei citare almeno un collega italiano, e allora aggiungo Carlo Lucarelli. Almost Blue era già un libro perfetto, ma lui continua ad alzare l’asticella libro dopo libro. I maestri sono così.  

Grazie per le belle domande!

Fabiano Massimi

 

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