Intervista a Fabrizio Carcano




A tu per tu con l’autore

 

 

Vorrei iniziare l’intervista facendole i complimenti per questa nuova inchiesta del vicequestore Ardigò, l’ho amata particolarmente, mi ha appassionato ed entusiasmato l’idea di voler trattare un tema così delicato come quello degli anni di piombo italiani. Il tema delle Brigate Rosse e degli attentati terroristici verificatisi negli anni ’70 – ‘80 in Italia sono temi sempre bollenti dei quali si parla sempre poco o poco volentieri, secondo lei per quale motivo?

Intanto sono passati più di 35 anni dalla fine dell’incubo brigatista, che possiamo datare nel 1982, anche se poi c’è stata una coda isolata di cani sciolti a metà anni ’80 e poi il duplice delitto di D’Antona e Biagi nel 1999 e nel 2002, un colpo di coda dei germogli brigatisti, in un momento storico e politico in cui quell’emergenza eversiva sembrava morta e sepolta. Credo che come ogni ferita mai del tutto cicatrizzata sia più facile ignorare l’argomento, fingendo quasi che non si è mai accaduto, anche se per tre anni l’Italia è stata realmente in guerra, una guerra civile, tra il 1978 e il 1981. Ho scelto di mettere nella copertina del libro le scritte apparse nell’estate del 2018 su muri e cartelli delle periferie milanesi, scritte che inneggiavano al ritorno della lotta armata, alla terrorista Lioce (ritenuta dai tribunali la mente responsabile dei delitti Biagi e D’Antona) e gli inviti a sparare ai giudici e ai poliziotti, ovvero ai rappresentanti dello Stato, proprio per ricordare che stiamo parlando di una ferita ancora aperta. E di fatti realmente accaduti, che possono ancora accadere.

 

In questa nuova indagine del vicequestore Ardigò c’è un continuo riferimento all’arresto e l’espatrio di Cesare Battisti in Italia dopo tanti anni di latitanza. Quanto ha influenzato questa vicenda nella stesura del lavoro?

Bella domanda… sicuramente mi ha influenzato, perché sono un giallista esoterico/religioso e se per la prima volta mi sono cimentato nella scrittura di un noir di taglio politico lo devo anche al martellamento mediatico sulla vicenda di Battisti, che in realtà negli anni di Piombo era un signor nessuno, ma vorrei ricordare che lo scorso anno cadeva il quarantennale del rapimento Moro, con annessa overdose mediatica di interviste a ex brigatisti, e il conseguente quarantennale anniversario del duplice omicidio irrisolto, a Milano, dei due 18enni leoncavallini Fausto e Iaio, trucidati pochi giorno dopo la strage di via Fani, con un’evidente connessione tra questi due fatti di sangue. Tutto questo mi ha influenzato, anche se, lo ripeto, la scintilla iniziale è arrivata dalle scritte sui muri di Milano.

 

 

Ha deciso di scrivere il libro dopo l’arresto di Battisti o prima? Se non fosse avvenuto l’arresto di quest’ultimo probabilmente avremmo letto una storia diversa o una indagine diversa?

No il libro è stato ideato, scritto e terminato prima di Natale, mentre Battisti è stato arrestato a gennaio. E sinceramente più che a Battisti mi sono ispirato, nel tratteggiare i due personaggi intorno ai quali ruota l’indagine, ai vecchi capi delle BR ancora latitanti, in particolare Casimirri, che oggi vive libero e alla luce del sole in Nicaragua, e a Pietrostefani, latitante a Parigi. Ma mi ha colpito molto il bergamasco Manenti, pure lui latitante a Parigi, che chiede un’amnistia dopo aver ucciso un carabiniere davanti al figlioletto… Ecco ho preso qualcosa di ognuno di questi personaggi e delle loro storie assassine. Ma durante il quarantennale della strage di via Fani mi ha colpito anche l’indifferenza con cui uno del commando spiegava che avevano pianificato il colpo di grazia alla testa per gli uomini della scorta. Ricordo che parliamo di padri di famiglia, di mariti, genitori, figli…

 

Ha deciso di parlare di un argomento così delicato tenendo conto del momento politico che sta passando l’Italia dove si continua ad alimentare odio? Pensa che questa instabilità politica possa portare le persone ad abbracciare movimenti politici estremisti? Quanto può essere pericolosa una cosa del genere?

Io ho raccontato una storia che ha delle radici nella cronaca, vorrei ricordare che un anno fa un giovane artificiere a Firenze ha perso una mano e un occhio mentre disinnescava una bomba in pieno centro. Un uomo rimasto mutilato in un attacco terroristico. Io noto che sotto la cenere dei decenni covano delle piccole fiammelle e il rischio arrivi qualcuno con un fiammifero non mi pare così remoto. Ricordo che alcuni ex terroristi nell’ultimo anno hanno invitato a sparare e ad uccidere un noto politico, anche lui padre di famiglia… sapevo di trattare un argomento scomodo e mi sono anche preso critiche, soprattutto da chi il libro non l’ha letto, ma fa parte del gioco. Ripeto quanto più volte ho spiegato nelle presentazioni: il libro non contiene alcuna declinazione politica o revisione storica, sfido chiunque a dimostrarmi il contrario. Vorrei però fare notare che quando un anno fa ho scritto ‘In nome del Male’, noir che raccontava il satanismo, quello vero, sotto gli occhi di tutti, sono stato criticato e accusato per l’argomento trattato, perché accendevo un faro sui satanisti… ripeto io racconto dei fenomeni, delle derive, delle situazioni, senza dare giudizi o trarre conclusioni. Tocca al lettore farlo, ma dopo l’ultima pagina, non basandosi sui titoli come fanno alcuni recensori…

 

Ho amato particolarmente il personaggio principale, il vicequestore Ardigò, così intelligente e perspicace ma allo stesso tempo molto solo e in continuo conflitto con i suoi malesseri interiori. Come e quando ha iniziato a pensare di dare un connotato così malinconico al personaggio?

Bruno Ardigò è arrivato alla nona indagine e a novembre uscirà la decima, con il mio nuovo noir ‘Nemesi nera’. Nel mio primo romanzo, Gli Angeli di Lucifero, aveva 35 anni, in Milano Assassina ne ha 45. Dieci anni e dieci romanzi, per farlo crescere, anche se non è maturato, da ragazzo inquieto a uomo disilluso e insoddisfatto. Ardigò racconta una generazione di sconfitti dalla vita, i 40enni che non hanno messo su famiglia e coniugano la loro esistenza alla prima persona singolare, tra egoismi, solitudine e una punta di depressione, vivendo il lavoro e la carriera come un’ossessione, una droga.  In questi anni tramite Ardigò ho raccontato un malessere metropolitano generazionale, soprattutto della mia generazione, e una deriva che vivono in tanti purtroppo. Io incluso. Forse questo ha colpito sia chi si ritrova in questo personaggio sia chi invece ha una vita diversa e migliore, con più luce e calore e meno ombre. Poi l’investigatore che riveste l’uomo è un cannibale assetato di adrenalina, infatti negli ultimi libri Ardigò è diventato il Cacciatore di Assassini.

 

Questo malessere nei confronti di una società egoista che non si cura dei sentimenti del prossimo penso siano i punti forti che legano il lettore al personaggio principale, creando con lui una sorta di silenziosa alleanza. Lei cosa ne pensa?

Certamente. In Milano Assassina inoltre racconto anche la freddezza e l’indifferenza di una Milano con la testa solo al Natale – essendo il libro ambientato nel dicembre 2018 – che non si accorge della povertà e del degrado di alcune periferie. Nel libro racconto di due clochard morti nell’indifferenza, sotto i portici delle via dello shopping, storie realmente accadute negli anni precedenti. E racconto di come il centro, sempre più bello e verticale, sia troppo lanciato verso il domani per fermarsi e guardare indietro, a chi arranca, alle periferie delle case popolari, dove germoglia il seme del malcontento che rischia di trasformarsi in odio se qualche cattivo maestro riesce ad intercettarlo…

 

La mia ultima domanda verte sul suo essere lettore. Penso sia interessante conoscere i gusti degli scrittori in quanto, a volte, amano leggere generi completamente diversi da quelli che scrivono. Quali sono i generi che predilige come lettore? Cosa ne pensa del thriller nordico?

Sinceramente? Non amo i thriller scandinavi e neppure anglosassoni… ecco l’ho detto. Per ‘allenamento’ divoro i gialli nostrani, anche se ogni tanto mi concedo qualche divagazione francese: adoro Jean Christophe Grangè e non nascondo che mi ispiro a lui, molto più che a Dan Brown a cui invece vengo accostato da dieci anni, portandomi addosso l’etichetta ingombrante di Dan Brown di Milano, che forse mi ha aiutato con il mio primo noir, Gli Angeli di Lucifero, ma ha poi pesato nel seguito della mia carriera di scrittore. Mi piacciono molto poi i romanzi storici, quelli italiani di Manfredi, Frediani, Cervo, Forte e Buticchi e quelli di Simon Scarrow. Tra i giallisti nostrani invece divoro Donato Carrisi e Massimo Carlotto, oltre a Maurizio De Giovanni.

Fabrizio Carcano

Costantino Giordano


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