Intervista a Flavio Santi




A tu per tu con l’autore


 

 

Da cosa nasce la decisione di abbandonare il friulano nelle tue poesie e di dedicarti al romanzo giallo? Ritroveremo Drago in qualche altra avventura?

Ormai sono più di dieci anni che non scrivo in friulano. La spiegazione si trova negli ultimi versi dell’ultima raccolta in friulano, Asêt, Aceto (2003), dove dico che come poeta ho fallito perché non sono riuscito a cambiare il mondo e dunque dico addio al friulano. Scelta drastica, certo, che non rinnego. La poesia è molto esigente. Certo, continuo ad amare la poesia, la leggo e mi piace “tenere a battesimo” giovani poeti. Inoltre, la poesia è molto “gialla”: contiene ritmo, suspense, dettagli, sorprese continue. Poi io ho sempre fatto una poesia piuttosto narrativa, per cui il passaggio è stato naturale. Diciamo che mi sono spostato dal come (la lingua) al cosa, ma continuo a raccontare il Friuli. In fondo parlare del Friuli è sempre stato quello che ho fatto, fin dal mio primo e folle romanzo, Diario di bordo della rosa del 1999 (l’altro secolo, mamma mia). Quanto a Drago Furlan è un buon amico che ogni giorno, con la scusa di offrimi da bere un “tajut”, mi si avvicina e vuole essere raccontato: sì, è in cantiere la seconda avventura.

 

Tiepolo, i maestri del colore…quanto è importante la pittura nella tua vita, nella tua poesia, nei tuoi romanzi?

Per me l’aspetto visivo è fondamentale, è quello che invidio ai pittori e ai registi, il lavorare con le immagini. Con la parola è più complicato dar vita a delle immagini, ma è quello che cerco di fare: fare in modo che il mio lettore leggendo veda. Del resto, da ragazzo volevo fare il disegnatore di fumetti. Amo la pittura, tutta. I miei pittori preferiti? Oltre a Tiepolo, in ordine sparso: Lucian Freud, Francis Bacon, Raffaello, i fiamminghi… E Karel Thole, l’incredibile pittore delle copertine di “Urania”.

 

Cercando informazioni su di te in giro per la rete ho trovato questa affermazione dello scrittore Davide Brullo: “Che tristezza, da un talento come Santi ci si attendeva il romanzo che mandasse in cantina le decine di incapaci romanzieri italiani odierni. Invece niente. Più che levitare, Santi si è allineato. Ma forse era già tutto previsto, fin dal giorno in cui, ridendo, Santi mi firmò una dedica alla traduzione del suo unico Wilbur Smith, “se ce l’ha fatta uno come lui…”. Come rispondi, se pensi che ne valga la pena? Pensi di esserti allineato o di essere stato te stesso, in questo libro? Hai deluso le tue aspettative?

Il brano che avete citato è stato per me una pugnalata al cuore, perché venuta da una persona che credevo amica. Nessun compromesso né allineamento, niente di tutto ciò. Io arrivo al giallo dopo aver pubblicato quindici libri, tra poesia, saggistica, romanzi, racconti, dopo aver tradotto oltre trenta libri, insomma dopo aver scritto e macinato migliaia di pagine! Per me non è stata dunque una prima scelta, ma un’evoluzione, lenta e meditata. Amo da sempre il giallo, lo leggo e lo frequento, è un genere narrativo di grande forza ed efficacia, la Bibbia stessa contiene parti gialle, o – per non citare il solito Edipo re di Sofocle – pensate alle tragedie latine di Seneca, ai poemi cavallereschi, per come la vedo io ogni racconto in fondo è un’indagine, una ricerca, una detection, una quête, chiamatela un po’ come volete.

 

Flavio Santi

Dicci la verità: quanto di te c’è nell’ispettore Furlan? Anche tu ti senti più a tuo agio con i pranzi luculliani di Vendramina che con la cucina molecolare?

Furlan borbotta. Come me. Tifa Udinese. Come me. Fa l’orto. Come me. Ama la polenta. Come me. Adora la sua terra. Come me. Ma in Furlan c’è anche tanto di mio padre – fisicamente e moralmente.

 

Il movente di questo romanzo si nasconde nel passato: l’eccidio di Avasinis è una pagina tragica della nostra storia che in molti hanno dimenticato. Come mai hai voluto ispirarti a questi fatti?

Uno dei motivi profondi che mi ha spinto a scrivere La primavera tarda ad arrivare è stato quello di dar voce a questo eccidio pochissimo noto, ma tragicamente emblematico perché avvenuto a guerra finita – il 2 maggio del ’45 – quasi fosse l’ultimo e definitivo suggello della follia e della ferocia umane.

 

Hai mai letto un autore di thriller del Nord Europa?

Certo, tutto Stieg Larsson – letto, riletto e appuntato. La Läckberg, Mankell, Nesbø, e di recente ho scoperto Nesser. Un autore nordico poco noto ma molto bravo è il finlandese Mika Waltari, Chi ha ucciso la signora Skrof? Amo molto anche l’islandese Indridason. Spesso mi capita di pensare che ci siano affinità tra il Friuli e l’Islanda: più o meno la stessa popolazione, terre di confine, misteriose…

 

Sono curiosa: che libro hai sul comodino?

Vediamo. Vado un momento in camera da letto. Allora, ne ho diversi. A che punto è la notte? (in realtà ai piedi del letto) della coppia Fruttero-Lucentini, i veri inventori del giallo all’italiana che poi Camilleri ha portato alla ribalta. Il volume n. 4 della raccolta dei Maigret di Adelphi; Pista nera di Antonio Manzini; Notte inquieta di Albrecht Goes; La linea d’ombra di Joseph Conrad e infine una storia dell’impero ottomano, Osman’s Dream di Caroline Finkel.
Flavio Santi

 

Intervista a cura di Maria Sole Bramanti

 

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