Intervista a Gianni Solla




A tu per tu con l’autore

A cura di Sara Zanferrari 


 

 


Tempesta madre”: un titolo forte che fa intendere immediatamente al lettore che si appresta a leggere una storia che probabilmente lo toccherà da vicino. Perché tutti abbiamo una madre e tutti prima o poi siamo stati sottoposti a qualche tempesta nel nostro rapporto con chi ci ha dato la vita. 

Tu racconti la storia di Jacopo e di sua madre, la “segretaria”. Cominciamo da qui, perché non le dai un nome proprio?

Jacopo la chiama “segretaria” o “madre” come se si rivolgesse a due donne differenti. Provengono da un quartiere borghese e si sono trasferiti nelle case popolari di Napoli Est. Jacopo e sua madre, “la segretaria”, sono a pezzi, ma non se ne accorgono. Allora Jacopo usa una volta un nome una volta l’altro per accusarla o dimostrarle compassione. Dipende da quanta colpa vuole addossarle. Accusare i propri genitori significa accusare sé stessi ma senza assumersene le responsabilità. I genitori sono il principio, l’inizio della nostra vita, accusarli è l’atteggiamento vittimistico più facile da intraprendere. Jacopo la chiama “la segretaria” intrappolandola nel ruolo che aveva da giovane come se fosse rimasta per sempre una ragazza, un’incompiuta legata a un lavoretto da poco. È stato il momento migliore della sua vita, e questo dà anche la misura del suo fallimento perché non ha più avuto occasioni. Il nome verrà svelato quando i ruoli crollano e si avrà piena coscienza di sé.

 

Racconti la storia di un rapporto madre – figlio, prima quando Jacopo è bambino, e poi quando è adulto. In questo rapporto chi è il protagonista, la personalità più forte e perché? 

Da bambino, il rapporto tra loro due è orizzontale. Agiscono sullo stesso livello in un’ipotetica scala gerarchica della loro relazione. Se sua madre ha la personalità più forte, ma anche perché ha più potere d’azione, Jacopo possiede lo sguardo più tagliente ed è attraverso questo che emerge la capacità di cogliere le situazioni divertenti nonostante il dramma nel quale vivono. Da adulti continuano a essere sulla stessa linea gerarchica ma le forze in gioco questa volta riguardano la memoria, il fallimento. Tutti e due continuano a rappresentare un duo tragico e comico allo stesso tempo.

 

È un rapporto totalizzante il loro, che si rifletterà inevitabilmente nelle future relazioni amorose di Jacopo, in una sorta di non agito: Jacopo rimorchia donne da scaricare quasi subito, donne per altro non particolarmente interessanti, in senso lato, che non si impegnano nemmeno loro perché le relazioni vadano avanti e muoiano piuttosto di morte naturale. Da uomo non ti fa un certo che tratteggiare una figura di maschio così inerte, poco attraente?

Detesto l’atteggiamento predatorio in ambito sentimentale, ma anche in altri campi. Preferisco le incertezze, le fragilità, i dubbi, le debolezze, l’ammissione della propria imperfezione. Solo attraverso questi atteggiamenti riesco a vedere un personaggio e a scriverne. I sicuri e i vincenti non mi interessano. Jacopo ha quasi tutte le caratteristiche del perdente, lo trovo divertente e tramite queste leve riesce però anche ad andare in profondità misurandosi con aspetti giganteschi della vita senza timore. Si sfida continuamente per conquistare una nuova donna, ha paura, ma lo fa, gli sanguina il naso, ma lo fa, e finirà in questo limbo di donne danneggiate che continueranno a tenerlo lontano da ogni possibile relazione. Le cose cambieranno quando incontrerà Veronica.

 

 

C’è qualcosa di te o di tuo in questo romanzo o sei uno di quelli che si addentrano piuttosto in mondi nuovi, sconosciuti?

I fatti non sono veri, ma le forze in gioco invece sì. Mi pongo un problema di verosimiglianza, di possibile, piuttosto che di reale. Le mie vicende personali sono troppo ordinarie per essere raccontate, preferisco quelle epiche di questi grandi falliti.

 

Hai qualche lettura che ti ha ispirato in particolare o che ti ha portato un po’ alla volta a “partorire” questi personaggi e questa storia?

No, non direttamente. Gli scrittori che ho amato mi hanno dato tantissimo e ancora la precisione delle loro frasi continua a mostrarmi quello che voglio dalla scrittura. Tempesta madre è nato in maniera naturale, era solo forse il tempo di affrontare alcune questioni. Se dovessi nominare un libro, direi La dismissione, Ermanno Rea. La purezza e la potenza delle sue frasi sono un modello che darebbe forza a qualsiasi narrazione. Poi, con quell’energia, ognuno mette in moto la storia che desidera.

 

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