Intervista a Giorgia Tribuiani




A tu per tu con l’autore

A cura di Francesca Marchesani 


 

 


Blu nasce come romanzo di formazione, con protagonista una neo diciottenne, secondo lei, nel target di lettura possono essere aggiunti anche i ragazzi?

Sì, sicuramente, e la ringrazio della domanda perché è una cosa a cui tengo tantissimo. Dall’uscita del romanzo ho fatto diversi incontri con i ragazzi dei licei ed è stato davvero bello potermi confrontare con loro riguardo ai temi di Blu: l’ansia di accontentare sempre le persone care (di sentirsi addirittura responsabili della loro felicità), il desiderio di essere perfetti (figli perfetti, amici perfetti, partner perfetti), la paura di essere etichettati, il rifugio nelle passioni che spesso “gli adulti” tendono a vedere come semplici hobby e, su tutto, il bisogno di essere ascoltati e guardati.

Molte di queste riflessioni derivano dalla mia adolescenza – Blu non è un romanzo autobiografico, ma più volte ho usato eventi autobiografici come materia prima da modellare e trasfigurare – e per me è stato importante confrontarla con le adolescenze di oggi: ha anche confermato che i tempi cambiano ma le paure e le speranze restano sempre le stesse.

 

Bologna è parecchio presente in queste pagine, io ci vivo e mi sono ritrovata nelle strade e nei paesaggi. Un’altra città dove le piacerebbe ambientare un romanzo?

Bologna, oltre a essere una città che si prestava particolarmente per la storia di Blu (non capita ovunque di imbattersi in spazi dove avvengono azioni di performance art), è una delle tre città dove ho vissuto, e penso che per ambientare una storia in un luogo sia, se non imprescindibile, almeno utile conoscere bene quel luogo: le sue strade, certo, ma anche i modi di trascorrere il tempo, di vestire, di incontrarsi, di spostarsi (Blu si muove con l’autobus numero 13 da Borgo Panigale a Bologna Centro e impiega quindici-venti minuti: un tempo che sarebbe impensabile, per esempio, per una Blu della periferia romana diretta a Piazza del Popolo; di certo prenderebbe lo scooter!).

Le mie tre città sono quindi: Bologna, dove ho vissuto gli ultimi sei anni e ho portato Blu; Roma, dove mi sono trasferita per studiare e ho ambientato Guasti, il mio romanzo di esordio; Alba Adriatica, la mia città natale, che è poi – e qui rispondo alla sua domanda – il posto dove si svolgeranno le vicende del mio prossimo romanzo.

 

Ovviamente quando si scrive si fa sempre della ricerca, quanta ce n’è voluta per parlare di un personaggio particolare come Blu?

La maggior parte del lavoro di ricerca ha riguardato il mondo della performance art. Conoscevo quel mondo “da fruitrice” e ne ero particolarmente attratta, ma per poterne scrivere – per riuscire a immaginare per Blu un percorso, o quantomeno il suo inizio – avevo bisogno di sbirciare dietro le quinte, di capire cosa muovesse un artista a occuparsi di performance art, quali fossero i percorsi di studio, in che modo un performance artist concepisse le proprie opere e come trascorresse la quotidianità.

Prima di iniziare a scrivere il romanzo, quindi, ho dedicato più di quattro mesi allo studio di alcuni testi (tra questi tengo a menzionare Attraversare i muri, autobiografia di Marina Abramovic, e Io sono un’opera d’arte, ottimo saggio della scrittrice Ilaria Palomba) e alle interviste ad alcuni performance artist che si sono dimostrati davvero generosi (come Flavio Sciolè, Kyrahm, Tiziana Cera Rosco, Elisa Mattera, Francesca Leoni).

Molto di quanto imparato è confluito poi nei dialoghi – il concetto di “ferita feritoia”, per esempio –, nelle immaginazioni di Blu e, soprattutto, nella progettazione delle scene del workshop.

 

Il suo stile di scrittura è inconfondibile e davvero unico. È stato difficile riuscire a sfondare e a farsi amare nonostante il suo modo non convenzionale di scrivere? Si è ispirata a qualche autore in particolare?

Per l’uso della seconda persona (che mi permetteva di “far parlare l’ossessione”, ovvero di far sì che il narratore di Blu fosse il disturbo ossessivo-compulsivo della protagonista) ho avuto come modelli Le mille luci di New York di Jay McInerney, Diario d’inverno di Paul Auster e Un uomo che dorme di Georges Perec: dalle loro scritture mi sono poi distaccata per lavorare su un ritmo più sincopato, intermittente, e sui passaggi tra indicativo e imperativo senza soluzione di continuità.

Questo, non lo nascondo, ha reso molto più difficile pubblicare il mio romanzo. Conservo le email di diversi agenti letterari che mi hanno chiesto, come condizione per prenderlo in rappresentanza, di riscriverlo in terza persona e con una struttura più lineare (senza, cioè, i balzi temporali che lo caratterizzano): una cosa che mi ha riempita di tristezza, perché avrebbe “normalizzato” uno stile ragionato, funzionale alla storia, in nome di una maggiore fruibilità nella quale non credo poi molto. Penso, anzi, che il pubblico troppo spesso sia sottovalutato: me l’ha dimostrato anche la calda accoglienza che ha riservato finora a Blu.

Per fortuna Rita Vivian, la mia agente, e Alice Di Stefano, direttrice editoriale di Fazi, hanno fatto tutt’altra scommessa.

 

Questo è il suo secondo romanzo. Ce ne sono altri in cantiere?

Ho terminato da poco di lavorare al terzo romanzo, incentrato sul tema dell’incomunicabilità: non quella di chi non è disposto ad ascoltare o a raccontarsi, ma quella fisiologica e dolorosa che ci impedisce di provare le stesse cose di chi ha avuto esperienze diverse dalle nostre; che non ci rende mai perfettamente conoscibili e non ci permette di penetrare nel mistero dell’altro.

Giorgia Tribuiani

 

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