Intervista a Luigi Guicciardi




A tu per tu con l’autore

A cura di Claudia Cocuzza  


 

 

 Salve professor Guicciardi, grazie per aver accettato il nostro invito.

A lei vanno i nostri auguri: è tra i cinque finalisti della XLII edizione del Premio Tedeschi.

 

Professore di Lettere al Liceo Scientifico “Alessandro Tassoni” di Modena e critico letterario, lei è il papà del commissario Cataldo, che ha all’attivo ben venti indagini. Tra l’altro, la sua prima inchiesta, La calda estate del Commissario Cataldo, è arrivata in finale al Premio Scerbanenco, come anche Filastrocca di sangue per il commissario Cataldo. Il commissario Cataldo è approdato al Giallo Mondadori o i suoi lettori avranno una sorpresa?

Il mio commissario non è mai approdato al Giallo Mondadori, dal momento che né lui né io con un mio romanzo siamo mai entrati in questa prestigiosa collana. E il mio giallo, che è in finale quest’anno per la prima volta, presenta un protagonista altrettanto inedito e  “neonato” ‒il commissario Torrisi, appunto – che non è mai apparso prima e che in questo senso è proprio una sorpresa.

 

Le indagini del commissario Cataldo sono ambientate a Modena, ma il protagonista è catanese. Perdoni la curiosità e la scarsa attinenza al tema della nostra conversazione, ma io sono siciliana, della costa orientale, come Cataldo: la nostalgia del suo personaggio è quella del professore Guicciardi per la terra che ha dato i natali ai suoi avi?

Il commissario Cataldo è un catanese che ha scelto il trasferimento a Modena per fare un po’ di carriera e per lasciar decidere alla vita su una storia d’amore in crisi, e gli è servito un po’ di tempo per inserirsi nell’ambiente modenese, mantenendo all’inizio molta nostalgia per i profumi, la cucina, il dialetto, la Playa della sua isola. Questo perché, dovendo il Giallo essere un romanzo realistico, ed essendo moltissimi i funzionari di polizia dell’Emilia-Romagna (e della mia Modena) d’origine meridionale, ho ideato di necessità un protagonista plausibile e verosimile che fosse legato in qualche modo alle mie stesse origini familiari. Mia madre infatti era di Modica, in provincia di Ragusa, e la Sicilia l’ho visitata molto spesso. In definitiva, quindi, più che la mia personale nostalgia, penso che abbia influito la convenienza realistica della scelta.

 

Cosa significa costruire un personaggio seriale? È vincolante o ti lascia comunque margine di movimento nella creazione di nuove storie?

Non è vincolante, a condizione che il personaggio si sviluppi e si evolva, di romanzo in romanzo, sia sul piano professionale, sia soprattutto su quello umano. Nel mio caso, Cataldo via via si innamora, si disamora, si sposa, diventa padre di due figli, poi la moglie lo abbandona per un altro uomo e si trasferisce in Calabria portando via con sé anche i figli. Cataldo quindi si ritrova al culmine della maturità professionale, ma è anche un uomo solo, che tiene a bada i rimpianti e i ricordi con il lavoro, in cui ora è meno dinamico ma molto più esperto e deduttivo. Poi ho dato al personaggio una metà di me (la curiosità, la pazienza, i gusti musicali o di lettore), ma l’ho reso anche – per l’altra metà – molto diverso, in modo da permettergli di fare cose nuove e molto differenti da quelle che io potrei permettermi di fare nella quotidianità.

 

Mi ricollego alla domanda precedente. Un personaggio seriale deve essere in grado di fare affezionare il lettore, altrimenti non farà molta strada: cos’ha di speciale il commissario Cataldo?

È speciale nella sua normalità, vale a dire nella sua umanità. È un investigatore che sa fare domande, ma soprattutto che sa ascoltare. E che non dimentica mai che ogni delitto è commesso per ragioni profondamente umane, che non vanno mai giustificate, ma sempre comprese. Poi, a differenza di qualche altro detective, è sempre onesto con se stesso, e quando si rende conto d’aver sbagliato, lo ammette, cambia pista e ricomincia. Infine, è un uomo consapevole della propria solitudine, conscio che – anche quando si risolve un mistero – la verità la si raggiunge quasi sempre dopo aver percorso una lunga strada solitaria.

 

Lei è un docente di Lettere. Quali sono stati i suoi autori di riferimento per il genere giallo?

Attualmente Jo Nesbø, il più grande, per la costanza della tensione drammatica e la pluralità spiazzante dei colpi di scena; Michael Connelly, per la perizia tecnica nel police procedural; Håkan Nesser, per la profondità psicologica dei personaggi, e Don Winslow, per la secchezza stilistica. Se invece penso al passato, pur ammirando da lettore tanti Grandi, dico senz’altro Agatha Christie per la costruzione narrativa delle trame, e Simenon per stile, psicologia e pitture d’ambiente.

 

Per concludere le chiedo: dia una speranza agli aspiranti scrittori che, come tutti i comuni mortali, hanno bisogno di lavorare per sopravvivere. La sua proficua carriera di scrittore è stata accompagnata dalla sua professione, l’insegnamento: è possibile conciliare scrittura, ad alti livelli, e lavoro e, nel frattempo, continuare a vivere senza diventare un eremita?

È possibile, a condizione, ovviamente, che si sia fortemente motivati e che si sappia organizzare il proprio tempo, a seconda del mestiere che si fa. Per me, per esempio, l’anno scolastico – fatto di lezioni da preparare, di compiti da correggere, di riunioni collegiali – permette solamente di abbozzare lo schema di un romanzo, che mi riservo poi di scrivere materialmente per intero, senza soluzione di continuità, durante i giorni liberi delle vacanze estive. Quindi si può – insieme – lavorare, scrivere e vivere una vita pienamente sociale, anche perché un giallista si nutre, sì, di tante letture solitarie, ma anche di frequentazioni umane, che in modi diversi non smettono mai di ispirarlo.

La ringraziamo per la sua disponibilità e le facciamo un grande in bocca al lupo!

Claudia Cocuzza