Intervista a Ludovico Paganelli




A tu per tu con l’autore

 

 

 

Ludovico, colpisce leggendo il tuo romanzo, oltre alla qualità della tua scrittura ed il preciso ed ottimamente strutturato meccanismo della storia, anche una certa dose di coraggio, particolarmente se si pensa che questo è il tuo primo libro. Mi riferisco al fatto di aver immaginato una protagonista, le cui caratteristiche , di primo acchito, potrebbero restituirla ai lettori come figura verso la quale si prova difficoltà ad empatizzare. Il Commissario Margot Blanchard, di origini francesi, è donna prima di tutto ambigua, poi di una bellezza sconvolgente, intelligente, potente, leader, ambiziosa, con un fascino schiacciante del quale non esita ad (ab)usare, marito innamorato e figlia meravigliosa. Perché questa scelta “in salita”?

Ammetto che calarsi nei panni di una donna e raccontarne la storia non è stato facile, soprattutto per i temi che vengono trattati nel romanzo e per il profilo caratteriale che ho voluto attribuirle. Ho rischiato, forse, ma devo dire che l’esperimento è riuscito. Mi piace infatti ricordare che quando la bozza del libro è arrivata in Mondadori, la persona che l’ha letta per prima era convinta che ad averla scritta fosse stata una donna. E questo è il più bel complimento che io abbia mai ricevuto per “Il seme della violenza”.

 

Di fatto, la tua abilità nel tracciare il personaggio fa sì che si compia contro ogni premessa ipotetica l’inverso. Dopo poche pagine il lettore si sente in sintonia con la donna che percepisce, grazie al tuo centellinare elementi, essere dietro la maschera. Si intuiscono dinamiche molto profonde ed altrettante voragini di fragilità e colpisce la forza e la determinazione nel volerle superare nascondendole, mentendo anche a se stessi e comunque sicuramente a chi circonda. Ecco quindi che l’esibizione e l’uso del proprio fascino non siano vanità, ma piuttosto valvola di sfogo dai pesi interiori e forse, maggiormente, modo per affermare la propria persona. Se trovi fondatezza nelle mie riflessioni, potresti approfondire questi aspetti e raccontarci come sei riuscito ad individuare, catturare e rendere tutte queste sfumature?

Margot è diventata la donna che è proprio per le esperienze che le hanno segnato la vita. Certo, al di là di tutto, sussiste sempre alla base una componente caratteriale. Per utilizzare un aggettivo francese che restituisce molto bene l’immagine del suo profilo, lei è “allumeuse”: una seduttrice, che stuzzica e provoca ma senza troppo concedere. Accende le sensibilità maschili e femminili e non fa nulla per spegnerle. Margot si è così costruita attorno a sé, anno dopo anno, una corazza con cui difendersi dagli spettri di un passato terribile di quando era studentessa. Una corazza, però, che la spinge a raccontare e a raccontarsi una realtà diversa, a costruire menzogne. In talune situazioni delicate, ognuno reagisce in modo differente. Margot ha scelto di tenere la verità nascosta al marito, ma la vita prima o poi presenta il conto a tutti. E per lei la resa dei conti arriva proprio nel momento in cui inizia a indagare sull’omicidio e ad avvicinarsi al movente.

 

 

Ho letto che hai scritto gran parte del tuo romanzo in treno, nel tragitto verso il tuo posto di lavoro. Oltre a scriverlo, hai anche avuto l’idea della storia durante questi viaggi? Ti è capitato di guardarti attorno e vedere negli altri viaggiatori quelli che poi sarebbero diventati tuoi personaggi?

Sì, il libro è stato in gran parte scritto in treno durante i miei viaggi da pendolare “per amore” tra Milano e Santa Margherita Ligure. Ma la storia e i personaggi non hanno nulla a che fare con le centinaia e centinaia di viaggiatori che incontravo tutti i giorni. Io avevo ben in mente una trama e così l’ho resa nero su bianco. Talvolta avevo quasi la sensazione di essere da solo nel vagone, tanto ero concentrato sul mio lavoro.

 

Trovo “Il seme della violenza” un noir di classe, molto elegante e raffinato, nonostante tu non faccia “sconti” negli eventi e nei moventi descritti, sia in quelli criminosi che in quelli più specificatamente intimi. La capacità di descrivere i fatti in maniera molto diretta senza risultare disturbante, mi sono immaginata possa derivarti anche dall’essere un appassionato di enogastronomia. Trovo che chi è stimolato a percepire il bello in un cibo, un vino, un locale riesca a rendere la realtà per come è , pur filtrandola attraverso una sensibilità diversa. Ti riconosci in questa descrizione , la senti come una tua caratteristica peculiare oppure non ne trovi il legame con la scrittura?

Ti ringrazio. Perché descrivere certe scene non è stato affatto facile e più volte mi sono chiesto se fosse o meno il caso di proporle ai lettori. Ma alla fine mi davo sempre la medesima risposta: sono essenziali per comprendere appieno il personaggio di Margot. E sono d’accordo con quanto dici. Di sicuro la passione per l’enogastronomia aiuta molto a descrivere in modo elegante talune ambientazioni. Ci vuole forse un pizzico di sensibilità in più, una sensibilità che ho di certo sviluppato nel cercare nel gusto le emozioni.

 

Hai messo in campo una varietà di protagonisti molto diversi tra loro, lasciando emergere i lati peggiori e le debolezze di ognuno piuttosto che i punti di forza, ad eccezione possiamo dire dei famigliari stretti di Margot, e ancora più specificamente dell’agente Leonardo Mantovani, personaggio davvero riuscito e positivo. I personaggi femminili mentono e nascondono, ma ciò che salva , quando è possibile e ravvisabile una redenzione, è il motivo per cui lo fanno. I personaggi maschili, nelle loro negatività hanno motivazioni meno o per nulla sgravanti, con una sola eccezione che non menzioniamo per lasciare il piacere di scoprirlo leggendo. Pur senza ravvisare alcuna sterile scelta di campo, ritieni di essere stato in un certo senso più indulgente verso le donne del romanzo rispetto agli uomini, oppure si è trattato solo di logiche legate alla storia che hai voluto raccontare?

Nel romanzo ho cercato di rendere i personaggi quanto più reali e aderenti nelle proprie reazioni a quella che può essere la quotidianità. Ognuno con i suoi punti di forza e di debolezza.
Le donne, purtroppo, sono spesso vittime e questo è uno dei temi de “Il seme della violenza”. Non credo di essere stato indulgente nei loro confronti, ma in qualche modo ho voluto cercare la chiave per rendere loro giustizia.

 

Il seme della violenza” è un romanzo conclusivo per quanto riguarda la parte crime della storia, ma, pur rivelando ogni tassello anche delle vicende personali, rimane aperto verso un prosieguo. Visto l’indubbio e meritato riscontro che stai ricevendo per questo libro, possiamo aspettarci un progetto seriale? Hai già una nuova storia in cantiere?

In effetti alcuni temi restano aperti. La mia intenzione è quindi di proseguire con la storia. Al momento sto già infatti lavorando a quello che sarà il seguito de “Il seme della violenza” e chi l’ha già letto, non vede l’ora di sapere come va avanti la vicenda familiare.

 

Che lettore sei Ludovico? Tra i tuoi generi, Autori e letture preferite che posto ha, se ne ha, il Thriller nordico?

Leggo di tutto: dai classici ai saggi, sino ai gialli naturalmente. La lista è lunghissima, ma Il Conte di Montecristo resta di gran lunga la mia opera preferita. Tra gli autori dei Thriller Nordici, invece, ho amato moltissimo tutti i libri di Camilla Lackberg.

Ludovico Paganelli

 

Ringrazio di cuore Ludovico Paganelli per la squisita disponibilità e la voglia di indagare moventi ed aspetti della sua bella scrittura

Sabrina De Bastiani

 

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