Intervista a Marcello Simoni




A tu per tu con l’autore

 

 

Cosa risponde Marcello Simoni a chi giudica il Medioevo come periodo di puro oscurantismo? Si può paragonare per certi versi anche al mondo di oggi dove certi comportamenti non sono affatto cambiati?

In realtà il discorso va ben oltre le epoche storiche. È l’uomo a non essere mai cambiato. Dall’età della pietra a oggi, le pulsioni che ci animano sono sempre le stesse, e altrettanto si potrebbe dire per gli interrogativi che ci tormentano. In questo senso, l’arco di circa mille anni che copre la durata del Medioevo è un bacino di osservazione privilegiato e allo stesso tempo uno stupefacente metro di paragone con la condizione umana attuale. Crisi economiche, epidemie, ignoranza del popolo bue e malgoverno sono tristi costanti che accomunano l’età di François Villon con la nostra.

 

François Villon un lestofante più volte incarcerato che ha l’anima poetica. Si può dire che tra tanti ladri resi romantici, Villon è un vero romantico dalla satira pronta?

Più che romantico, lui usava definirsi un martire d’amore. Amore per le donne, certo, ma anche per quel genere di poesia che pur sembrando, di primo acchito, sorella della satira, è venata di un’infinita sensibilità e tristezza. La tristezza di chi ha conosciuto a malapena il volto della madre, di chi ha convissuto con la consapevolezza di essere un genio e con la sofferenza del disagio economico, con l’emarginazione, con l’attrazione verso l’oscurità, il vizio e la perdizione. Villon era un capolavoro. Come Long John Silver.

 

 

 

 

Quanto è difficile scrivere una storia nella storia? Visto che molti personaggi sono realmente esistiti, come si riesce a dar voce a tali personalità? Quanto hai dovuto leggere per riuscire ad incastrare i pezzi della storia?

La difficoltà svanisce quando i personaggi di cui vuoi scrivere diventano vividi davanti ai tuoi occhi, insieme alle ambientazioni, agli odori e al vociare della strada. La ricerca storica è uno strumento imprescindibile per raggiungere questo stato. Ma serve anche la dote dell’immedesimazione, la capacità di creare una rappresentazione su una tela vergine, come dei semplici colori a disposizione. Questa capacità io la definisco il sapersi perdere dentro il racconto che ancora dobbiamo iniziare a scrivere.

 

Joséphine Flamant e Bastien Blaru sono messi in relazione a François Villon e Catherine de Bruyères che sono realmente esistiti come Zacosta e altri. Quanto è complicato affiancare dei personaggi inventati a quelli realmente esistiti per creare un legame tra gli stessi?

Bisogna soprattutto usare delicatezza: fare in modo, cioè, che le cose di cui si racconta non vadano in alcun modo a distorcere gli eventi e la verosimiglianza storica. In altre parole, io mi ritrovo a riempire gli spazi vuoti di un cruciverba scritto a metà; sguscio tra le sagome della Storia come se fossero pile di piatti di cristallo, stando sempre ben attento a non urtarle per paura che si rovescino. O se preferisci, mi nuovo come un ladro: entro ed esco da un’epoca storica senza lasciare traccia apparente del mio passaggio.

 

Il protagonista potrebbe essere il preferito dell’autore, ma oltre a Villon ti sei affezionato a qualche altro personaggio del romanzo? Quale e perché?

Adoro Cavolino. Per la sua purezza. Per il suo restare bambina in un mondo di orrori. E adoro Joséphine Flamant, perché sembra uscita da un romanzo di Stevenson.

 

Lo sguardo di Zacosta alla fine della storia, può far pensare a un seguito della storia, è così o questo pensiero rimane solo un desiderio di una lettrice? Sei già impegnato in un altro progetto letterario?

Mi piacerebbe molto tornare a scrivere di Villon. Del resto, anche quando è stampato, un romanzo continua a muoversi nella mia testa, a cercare nuovi sbocchi, nuove trame, come la radice di una pianta che continua a vivere. Al momento, però, non ho ancora alcun progetto preciso, se non il nuovo lavoro di imminentissima uscita: torna il Medioevo esoterico di Ignazio da Toledo!

Marcello Simoni

Marianna Di Felice

 

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