A tu per tu con l’autore
A cura di Claudia Cocuzza
Buongiorno, e grazie per il vostro interesse.
“La Casa de la Abeja” è un romanzo di narrativa contemporanea che lega un affresco famigliare alle vicende politiche che hanno portato il Guatemala alla guerra civile, dentro un conflitto che ha visto contrapporsi un governo di natura militare a gruppi di ribelli sostenuti dalle popolazioni di origine maya. Protagonista è Vitalba, figlia di un sindacalista ladino e di una ex ballerina canadese; nata e cresciuta sotto una campana di vetro, ha un amatissimo amico che abbraccerà la guerriglia per liberare il Paese dal regime militare. Pittrice dissidente, ragazza fragilissima, sposata con un generale dei Kaibiles –l’unità di controguerriglia accusata di violazione dei diritti umani verso i civili– Vitalba userà la sua arte per portare avanti la propria Resistenza. E, quando non potrà più farlo, i suoi dipinti andranno avanti da soli, senza che lei lo sappia. È un inno alla libertà di parola e di creazione, alla forza dell’Arte e al suo contributo per il recupero della memoria, privata e storica, singolare e collettiva. Il titolo si riferisce al luogo dove è ambientata la prima parte della storia. Si tratta di una casa coloniale piuttosto isolata, che prende il nome dalle sue caratteristiche modanature gialle e nere.
Una preparazione di oltre dieci anni perché inizialmente non è stato facile reperire documenti e fonti originali, in seguito alcuni verbali e atti sono stati resi pubblici ed è stato più facile averne accesso. Ho cercato di lavorare in modo da avere un sostrato autentico per un’opera di finzione.
Di sicuro, Maria Laura Caroniti non è l’attrice che calca il palcoscenico, ma il tecnico che alza e cala il sipario. Ho molto rispetto per le storie e cerco di stare sempre un passo indietro rispetto ai miei personaggi. Loro devono assumersi la responsabilità dei loro pensieri, discorsi, comportamenti e hanno diritto a vivere, in maniera indipendente da me. Discorso a parte per “Madre Medusa”, che ha una componente autobiografica importante.
(Rido). Sì, lo credo anch’io. È inevitabile quando si lascia casa presto e ci si trasferisce spesso. Dal 2011, vivo all’estero e questo mi ha permesso di conoscere le persone più disparate e culture lontane dalla mia. È una faticaccia, talvolta, ma è innegabile pensare che questo mi permette di vivere in una fucina di storie a ciclo continuo.
Da che ne ho memoria, ho sempre voluto raccontare storie. Poi, la vita si è messa tra i piedi e ho preso un’altra strada per una decina di anni; riprendere a scrivere è stato naturale e quasi liberatorio. Scrivere mi rende felice, creare un mondo mi rende felice, essere al servizio di una storia mi rende felice. Alla fine, se non cediamo alle nostre passioni più forti la vita rischia di diventare noiosa.
Per l’inizio, scelgo un nuovo quaderno. Deve essere quello “giusto”, considerato che scrivo a mano la bozza di ogni progetto; se non lo trovo, ritardo, ma non mi metto a scrivere se non percepisco una buona connessione con la carta che deve ospitare la storia. Per la fine, nulla di particolare da raccontare, anche perché considero un testo finito solo quando ho dato il visto si stampi, non prima; quindi si tratta solo della fine della prima stesura, poi della riscrittura, e così via…
Laura, grazie per il tempo che ci hai dedicato.
Grazie a voi!
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