Intervista a Marvin Menini




A tu per tu con l’autore

 

 

 

Innanzitutto, mi congratulo per questa tua nuova avventura letteraria e poi ci tengo a dirti anche in questa sede che la prima cosa ad avermi colpita del tuo libro è stata la tua introduzione. In poche pagine sei riuscito a condensare un mondo di informazioni ed emozioni che ti arrivano non appena ne inizi la lettura. In queste righe ti arriva potente e prepotente la passione e l’amore che hai per la scrittura e il legame forte che avverti nei confronti dei tuoi personaggi. Sulla base di quanto scritto, cosa significa ripartire da capo, cominciare un nuovo viaggio a occhi chiusi che non sai ancora dove ti porterà?

Mi fa piacere che tu mi ponga questa domanda! Perchè mi permette di parlare non solo delle mie storie ma anche del mio carattere. Sono una persona che vive di stimoli, di sfide. Che non si ferma mai ed ha sempre bisogno di rinnovarsi e cambiare. Crescere, insomma. Cambiare protagonisti fa proprio parte di questo mio modo di essere. La scrittura mi permette di trasferire su carta il mio mondo interiore. Fatto di passioni, nostalgia e malinconia a volte. Ma anche amore, amicizia. Venerazione per la mia città, Genova, con cui ho un legame viscerale. E mi fa piacere quando tutto questo arriva al lettore.

 

Io non conosco ancora, e me ne scuso, Matteo De Foresta, ma ti garantisco che con Pinna mi hai conquistata. È sicuramente un personaggio dal pesante bagaglio, un fardello ingombrante che lo insegue quotidianamente e non gli dà respiro. Ma è anche un qualcosa che lui ha deciso di portarsi addosso per non dimenticare, per autoinfliggersi una sorta di punizione verso i sensi di colpa che non lo lasciano né di giorno né tantomeno di notte, quando il tempo si dilata e tutto appare più lento e doloroso. Nella tua prefazione, riferendoti al primo incontro con Alessandro Pinna, tu dici che gli hai semplicemente chiesto chi fosse e che è stato proprio lui ad avviare poi una sorta di monologo legato ai suoi vissuti. Puoi dirci quali sono state le sue prime parole e, soprattutto, in che modo è riuscito a colpirti al punto da decidere di voler raccontare la sua storia?

La prima immagine di Pinna è stata muta. Lui, che piangeva, steso nel letto di sua figlia stringendo un cuscino. Mi ha incuriosito come ho scritto proprio nella prefazione, perché era un qualcosa distante anni luce da Matteo De Foresta e dal suo mondo. Ho avvertito empatia per lui. Una condivisione del suo dolore che mi ha toccato. Sono partito da lì. Il carattere duro, cupo, brusco sono arrivati descrivendolo e scoprendo come parlava e come agiva.

 

 

 

 

Considerando la musica classica, la letteratura, la storia, il nuoto e i gatti che per il tuo nuovo personaggio sono fondamentali, quanto Alessandro Pinna ha attinto da te e quanto invece, ti è arrivato mano a mano che scrivevi questa storia, per voce diretta del tuo protagonista?

Io ho giocato più di vent’anni a Pallanuoto. Ma della mia esperienza porto in lui solo il silenzio e la pace che nuotare ti porta. Ho pensato a questo uomo pieno di cicatrici interiori; e che solo il nuoto avrebbe potuto donargli quel momento di silenzio e serenità che lui va cercando in modo così disperato. Per quanto riguarda la musica io sono “onnivoro”. Mi piace la classica e la ascolto, in particolare Mozart. Ma in realtà sono di fondo un rockettaro come Matteo De Foresta. Diciamo che le scelte musicali di Pinna sono studiate un po’ a tavolino. Non volevo creare un clone di Matteo. Con la storia e il latino ho sempre avuto un rapporto di odio amore. Ho fatto il classico e non ho amato la storia “in toto”. Diciamo che a me piace di più quella contemporanea, ad Alessandro il periodo classico e il milleottocento. Il latino mi è invece sempre piaciuto. Per quanto riguarda i gatti, decidi tu. Io e mia moglie ne abbiamo due neri che si chiamano Nana’ e Yoda.

 

Senza rischiare di raccontare troppo, in questo libro comunque si tocca un tema importante, ovvero quello dell’uso e l’abuso di sostanze stupefacenti nei giovani e quello dello spaccio stesso. Un tema abbastanza scottante e spesso purtroppo, dagli esiti tragici come tu racconti nel romanzo. Cosa spinge, a tuo avviso, sempre di più i giovani ad avvicinarsi e a ricercare questo tipo di divertimenti “alternativi”?

La noia. L’incapacità di divertirsi con la fantasia e le cose semplici. E per certi versi, come nella storia, i troppi soldi a disposizione. Sono fortunato ad avere due genitori che mi hanno sempre insegnato il “valore” del denaro. Non inteso come “bene prezioso” ma nel senso che si fatica per guadagnarlo. I soldi facili portano sempre a guai o problemi.

 

Sappi che il finale di questo libro mi ha colpita e affondata perché dopo tante briciole sparse fra le pagine, proprio nell’ultimo capitolo tutto si svela e noi rimaniamo impotenti. Non c’è una cosa più giusta dell’altra, una possibilità migliore di una peggiore, ciò che rimane è la realtà. Quanto ti è costato, emotivamente, mettere il tuo nuovo personaggio da subito in una situazione del genere?

Tanto. E ti confesso che scrivendo il finale mi è venuta la pelle d’oca e ho pianto. Io ho sempre avuto in testa la conclusione fin dall’inizio, a livello germinale. Ma metterla su carta mi ha colpito. E se ci penso anche adesso riprovo la stessa emozione forte. Felice che arrivi, davvero. Perché forse è la parte più importante del romanzo. Ciò che chiude il cerchio e ti fa capire tante cose di lui.

 

Sentiremo parlare ancora di Pinna e della sua vita tormentata? Se sì, riuscirà a trovare un minimo di serenità o continuerà semplicemente a sopravvivere arrancando alla giornata?

Che piaccia o meno, scriverò ancora di Pinna. E come potrei farne a meno? Io per primo voglio scoprire che cosa gli succederà! Le idee per le prossime indagini le ho chiare, molto meno quelle che saranno le sue dinamiche personali e di vita. Di sicuro inizierà anche “L’indagine” (chi ha letto il romanzo mi capirà) e scopriremo anche gli eventi che hanno portato a tutto.

 

Il tuo ruolo di medico chirurgo richiede sicuramente un impegno totale e immagino che il tempo a tua disposizione per scrivere non sia così scontato. È vero anche che quando una passione vive dentro di noi l’attimo si trova sempre e lo dico con cognizione di causa pensando a me, gran lettrice, che praticamente mi muovo con un libro in mano ovunque io vada, come se ci fosse sempre con me un caro amico. Quanto tempo riesci a dedicare alla scrittura e quali sono i momenti nei quali riesci a lavorare maggiormente? Sei un istintivo oppure scrivi e cancelli più volte ciò che hai costruito?

La risposta giusta ad entrambi i quesiti è : dipende. Ci sono periodi in cui scrivo poco su carta ma penso molto alle storie. Sono le fasi gestazionali in cui cerco di dipanare i dubbi e le domande che la trama mi sottopone. Tanto per farti un esempio, in uno dei romanzi di Matteo De Foresta uno dei protagonisti dice una parola. Sono rimasto fermo senza scrivere quasi due mesi cercando il significato di quel termine. Quando l’ho compreso, ho tirato giù quanto mi mancava in pochi giorni. In generale cerco di scrivere un pochino ogni giorno : è come fare uno sport. Più ti alleni e con regolarità, meglio ti riesce. Poi ci sono giornate libere in cui scrivo tre o quattro ore di seguito, altri in cui mi limito al “compitino” o faccio solo editing. A tale proposito, non cancello mai nulla. Piuttosto lo rivedo, lo correggo, lo amplio o lo stringo. Ma cancellare, mai. Perderebbe di spontaneità che è la linfa della mia scrittura.

 

Nella tua prefazione che vuol essere una riflessione ed un’introduzione al nuovo personaggio da te creato, affermi che le generazioni del passato è stata attraversata da guerre, carestie e ha combattuto per la libertà mentre per noi fino ad ora, si è rivelato tutto sostanzialmente semplice e proprio per questo, hai deciso di smarcarti, anche se solo temporaneamente, da Matteo De Foresta per dare vita ad un nuovo protagonista più maturo e consapevole. Come scrivi tu, abbiamo in qualche modo vissuto di rendita. È altresì vero però che fino a prima che tu portassi a termine questo nuovo libro, nessuno avrebbe mai pensato che ci saremmo trovati nella situazione incredibile in cui invece stiamo vivendo ora. Lo scotto in vite umane perse è pesantissimo e ancora adesso non possiamo dirci tranquilli. Ora, veramente noi tutti siamo stati insigniti di una grande responsabilità, perché il superamento di tutto ciò dipenderà proprio dal nostro modo di ritornare gradualmente ad una nuova normalità seguendo determinate regole. Sulla base di questo, potresti raccontarci come ha vissuto Marvin Menini, prima di tutto in veste di medico e poi da scrittore questa pandemia?

Potrei, con una battuta, dicendo che ho portato male con la mia prefazione. Del SARS\COV2 non ce n’era traccia quando l’ho scritta. E invece la mia generazione si trova proprio a dover combattere questa nuova, strana guerra. Contro un nemico invisibile e forse per questo meno percettibile di un soldato. Ma, ti garantisco, girare per gli ospedali in questi mesi ha segnato tutti. Io come ortopedico diciamo che mi sono trovato in una situazione particolare. Un mix di frustrazione per la mia parziale inutilità nei reparti più caldi e di apprensione per tutti gli amici, medici e infermieri, in prima linea. Vedevo i loro volti stanchi, preoccupati. Ascoltavo i loro racconti e i frammenti di vita dei pazienti che hanno raccolto con tante storie intrise di dolore. Mia moglie, infine, che è infermiera di rianimazione, si è ammalata seppur in forma lieve anche se è stata poco bene per quasi quaranta giorni. Meno male che è andata bene! Io stesso me lo sono preso ma grazie al cielo me la sono cavata con quindici giorni di raffreddore e mal di gola allucinante. E poi, la cosa che non scorderò mai : l’odore di disinfettante e candeggina, ovunque. Il silenzio dei corridoi, i reparti vuoti. Sono cose che segnano. Come scrittore, ti dico la sincera verità. Non ho tirato giù più di cinque pagine. Non mi sono sentito né dell’umore né stimolato a farlo. Un po’ come un limbo, dove la preoccupazione ha soverchiato tutto. Ma credo che questo sia accaduto a tutti.

 

Siamo giunti alla domanda di rito per gli autori che passano da Thrillernord. Intanto ti chiedo se sei un gran lettore e se sì, quali sono i tuoi autori preferiti? Ne hai qualcuno di riferimento anche fra quelli nordici?

Chiunque scrive non può che essere un lettore accanito. Scrivere senza leggere è come pretendere di cantare senza aver ascoltato musica. Autori ne ho tanti, in generi differenti. Nick Hornby, Tolkien, Asimov. Ma soprattutto King, Fred Vargas, John Irving. Tra gli italiani impazzisco per Manzini e Ammaniti e mi piace Lucarelli. Se dovessi scegliere chi essere tra gli scrittori, ti direi senza dubbio e senza indugio la mia icona : Joe Lansdale. Quando l’ho letto ho pensato “Ecco, io vorrei scrivere esattamente così.” Tra i nordici non me la sento di dire che ho un autore di riferimento, mentirei. Però adoro Stieg Larsson, ovviamente, non mi dispiace Nesbo e, anche se l’ho già nominata, ripeto la Vargas. In fondo le sue storie sono tutte ambientate al Nord, no? E sempre per rimanere in Francia mi piace e lo trovo abbastanza “nordico” anche Jean Christophe Grangé.

 

A nome mio e di Thrillernord ringrazio Marvin Menini per la disponibilità dimostrata.

Eh no, grazie a te ed a tutti i voi per i complimenti che mi avete fatto e per questa stimolante chiacchierata.


A cura di Loredana Cescutti

 

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