Intervista a Mauro Marcialis




A tu per tu con l’autore


 

Ciao Mauro! Innanzitutto ti ringrazio a nome di ThrillerNord per averci concesso quest’intervista. Ecco le nostre domande:

Sul frontespizio dedichi questa opera a Andrea G. Pinketts e Alan D. Altieri. Sotto quali aspetti sei stato influenzato da questi scrittori? Hai avuto altri modelli letterari che desideri citare?

Grazie dell’accoglienza. Pinketts e Altieri erano, e rimangono, dei maestri, la loro “voce” era unica, marchiata da un’autorialità inimitabile. Le loro forme di scrittura, pur essendo  molto diverse, hanno influenzato autori di almeno due generazioni, me compreso. In ambito noir, i modelli letterari di riferimento più rilevanti sono stati però due autori stranieri, James Ellroy e David Peace, il primo per l’andatura sincopata e adrenalinica, il secondo per i flussi di coscienza deliranti.

Il tuo noir ci mette di fronte a una visione del mondo pessimistica, in cui non c’è una demarcazione netta fra il bene e il male e non esiste una via d’uscita consolatoria. È anche un romanzo che non scende a compromessi con sottotrame romantiche. Come definisci il genere noir e credi che possa avere una funzione definita nel panorama letterario?

Il noir è l’occhiataccia che rivolgi ai corrotti, è l’indice puntato contro il malaffare. È l’urlo rabbioso verso certe ingiustizie. È, di fatto, l’inquadratura che zooma sulla parte meno edificante della società e dell’animo umano. Il noir ha quindi potenzialmente una valenza sociale e risvolti introspettivi in grado di mostrarci la parte meno nobile di noi stessi. È vero, non ci sono sottotrame romantiche, ma se dovessimo indagare sui veri motori delle azioni più aberranti e drammatiche del romanzo, scopriremmo che sono stati due sentimenti “alti” come l’amore e l’amicizia, almeno con riferimento al protagonista, Flavio Foglia, a sua moglie Annalisa e al suo mentore Gannico.

Ciò che mi ha colpito di quest’opera è la voce: il protagonista parla al lettore in prima persona, con un’efficacia che ce lo avvicina, ci fa quasi soffrire con lui. Come sei riuscito a ottenere questa voce? Te lo chiedo in particolare a nome degli aspiranti scrittori che ci leggono.

La narrazione in prima persona è una mia debolezza ed è figlia della curiosità di conoscere il protagonista strada facendo. Non predisponendo una scaletta, né sapendo cosa accadrà alla pagina successiva, incorro nello stupore e nella sorpresa di scoprire il mio personaggio, di solito una persona normale inserita in un contesto eccezionale. È una scelta che mi costringe a confrontarmi con le mie debolezze, le mie paure, le mie insicurezze, e in tal modo cerco, spesso senza successo, di esorcizzarle. È una scelta rischiosa, dal punto di vista editoriale, perché se i lettori non s’immedesimano negli stati emotivi del personaggio, se non provano empatia, ovviamente il loro percorso risulterà monco. Non è una letturaagevole, considerando la drammaticità degli accadimenti, ma credo che possa risultare un’esperienza intrigante.

Ho letto che la trama si ispira a un fatto reale di cronaca nera. In caso affermativo, vorresti parlarcene? Quanta ricerca è stata necessaria per inserire questo fatto nella struttura narrativa? Credi che la letteratura debba ispirarsi a fatti reali?

C’è un richiamo all’omicidio di una ragazza, avvenuto alcuni anni fa, proprio nel quartiere di San Lorenzo, ma la trama è sviluppata su altri presupposti. In Roma Calibro Zero ci sono dei depistaggi finalizzati a incolpare persone sacrificabili a beneficio di altre appartenenti a una cerchia di “intoccabili”. La ricerca è stata necessaria soprattutto in relazione alle dinamiche del famigerato “mondo di mezzo”, che ha caratterizzato le indagini di Mafia-Capitale, ovvero quel mondo dove si trovano a interagire gregari e boss della criminalità con l’élite della politica e della finanza e il contemporaneo coinvolgimento dei cosiddetti “colletti bianchi” e di persone appartenenti alle istituzioni. La letteratura non deve necessariamente ispirarsi a fatti reali, ma deve in qualche modo raccontare la “verità” e a volte, per testimoniare la decadenza di certi ambienti, di certi periodi e di alcune persone, occorre sporcarsi un po’ le mani.

Sei tornato in libreria dopo una lunga pausa successiva ai tuoi romanzi storici di grande successo. Perché hai deciso di abbandonare il genere storico? Oppure c’è un comune denominatore fra il romanzo storico e il noir, nel fatto stesso che entrambi i generi hanno come oggetto la rappresentazione del reale?

Scrivere romanzi storici è stata un’esperienza entusiasmante, soprattutto nello scovare le analogie con il presente. Al di là degli aspetti umani (la nostra natura è ovviamente immutabile) c’è da considerare che le strategie di governo volte al mantenimento del potere con il contestuale addomesticamento della popolazione, sono pressoché identiche a distanza di millenni. Senza scomodare Chomsky e le sue dieci regole, mi limito a sottolineare l’attualità di un paio di espressioni dell’antica Roma: panem et circenses e divide et impera. I denominatori comuni tra i due generi sono svariati e senz’altro uno di questi può essere la ricerca di una rappresentazione realistica (anche se, a tal proposito, è doveroso sottolineare che la “storia” è stata sempre scritta dai vincitori, e questo fatto qualche piccolo dubbio, sulla determinazione del “reale”, ce lo pone). Nessun addio perentorio al romanzo storico, ma credo che il noir al momento sia il genere che meglio si adatta alla mia “voce”.

Stai lavorando a un nuovo romanzo, magari un sequel con protagonista Flavio Fiore? In caso affermativo, saremmo lieti di avere qualche anticipazione.

C’è senza dubbio l’intenzione di farmi accompagnare ancora da Flavio Fiore in una nuova esperienza (ora lo conosco meglio, ma è un personaggio ancora in costruzione e soprattutto con alcune questioni in sospeso). Nel caso, posso solo dire che, in qualche modo, Gannico gli sarà ancora vicino.

Mauro Marcialis 

A cura di Patrizia Vigiani 

 

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