Intervista a Mirco Giulietti




A tu per tu con l’autore


 

Si moriva dal caldo”, romanzo d’esordio, la domanda sorge spontanea, tra tutti, perché la scelta è caduta proprio sul genere giallo?

Trovo che il giallo sia un genere che molto si presta alle contaminazioni. Si moriva dal caldo è un po’ anche romanzo di formazione, e la vicenda del delitto, in fondo, sostiene la parte della scoperta del mondo, dell’esperienza di vita, che si trova di solito nei romanzi di formazione, quella che fa maturare il piccolo protagonista.

 

 

Tra le tante peculiarità di questo romanzo, perché, diciamolo, non è il classico giallo, ho apprezzato moltissimo la collocazione spazio-temporale, un paese di periferia e gli anni settanta, da dove nasce questa scelta? Ha anticipato la dinamica del delitto o ne è stata una conseguenza?

Per la collocazione esistono certamente suggestioni autobiografiche, quello è un po’ il tempo e il luogo della mia infanzia, ma fondamentalmente la “location” è anche un’invenzione meditata. Abbastanza piccola da ricreare un microcosmo pettegolo e autoreferenziale, ma nel contempo abbastanza vicina a realtà cittadine per essere popolata di personaggi che vivessero consapevolmente il loro tempo. E il tempo sono i primi anni 70, anni di grandi cambiamenti: un po’ la coda degli anni sessanta, con le sue novità e lo spirito hippie, un po’ l’inizio di una stagione nuova, di crisi: economica, politica, di rappresentanza. Direi proprio che sono nate insieme.

 

Altra peculiarità del giallo, tutta la vicenda viene narrata, in prima persona, da un ragazzino di dieci anni, come mai? E soprattutto chi è veramente questo ragazzino?

Di detectives dilettanti ce ne sono stati di tutti i tipi. Perché non un ragazzino, che arriva alla soluzione del delitto grazie all’intuito, ma anche a fortunate coincidenze, attraverso un gioco di indizi che sono anche il pretesto per parlare d’altro? Riguardo all’identità, beh, chi mi conosce non farà fatica a riconoscere qualcosa di me nel protagonista.

 

Il nostro protagonista ha delle sane passioni: i fumetti, lo sport, la musica e, mi è sembrato, sin dalle prime pagine, molto diverso dai ragazzini di oggi, per caso voleva trasmettere un messaggio particolare tra le righe?

Direi di no. Il protagonista è un ragazzo curioso, intraprendente e insieme ritroso, non molto diverso da mio figlio che ha quasi la stessa età. Il fatto che a differenza di lui, mio figlio passi la maggior parte del tempo davanti alle consoles televisive, non faccia attività fisica spontanea, se non inquadrato dentro orari e società sportive, non ami i fumetti, non giri per “bande” in campagna, dando vita a giochi di “ruolo” fantasiosi e creativi, come mi capitava alla sua età, è un piccolo dispiacere per me e, ne sono certo, una piccola perdita per lui, ma aldilà della retorica sulla nostalgia, che spesso non è altro che rimpianto per la propria infanzia, devo convenire con lui che il grado di realismo e perfezione di un videogioco è decisamente fuori portata per qualsiasi fumetto dei miei tempi.

 

Per quanto mi riguarda io la trovo un valore aggiunto ma non pensa che la descrizione dettagliata di alcuni eventi, esempio le partite di calcio, possa rendere in qualche modo meno fluida la lettura, soprattutto se non si è appassionati sportivi?

Questa è una perplessità che posso condividere. Anche se ritengo che il calcio e l’epica di quella edizione dei mondiali siano un elemento essenziale, quasi fondante di questo romanzo, non avrei avuto difficoltà ad asciugare un paio di paginette, se me lo avessero chiesto. Nel contemperare le varie esigenze dei lettori, però, l’editor (intendendo con ciò naturalmente la pluralità di persone che hanno letto e fornito un parere) ha evidentemente stabilito che prevalesse quello che lei chiama il valore aggiunto. E in effetti ne ho avuto la riprova con svariati conoscenti appassionati di sport e di fumetti. Per gli altri c’è la possibilità di saltare un paio di paragrafi, senza perdersi nulla.

 

In cantiere c’è l’idea di far rivivere ancora i personaggi, tra l’altro piacevolissimi, di questo romanzo? Sicuramente hanno ancora molto da raccontare.

A far rivivere quei personaggi, in effetti, non avevo pensato, ma può essere un’idea, magari a qualche anno di distanza da quel 1974, in un’Italia leggermente diversa.

 

Domanda per Giulietti lettore, l’ultimo libro letto? E cosa pensa del genere nordico? 

In realtà al momento, da lettore disordinato quale sono, sto rileggendo Anna Karenina contemporaneamente ad un testo divulgativo di Chimica e a uno su Augusto, e sono ben lontano dalla fine. L’ultimo libro finito è stato “Salvare le ossa” di Jesmyn Ward, un romanzo forte e profondo, degno del migliore McCarthy, e, per restare in tema, gli ultimi gialli letti sono stati quelli di Lemaitre, che ho conosciuto e apprezzato con altri generi, ma che quando si è cimentato col thriller ha saputo tessere trame veramente innovative e spiazzanti. Sui nordici, premettendo che il giallo è un genere che leggo volentieri quando capita, ma di cui non sono esperto, né particolarmente competente, confesso volentieri di essere stato a suo tempo lettore dei romanzi di Peter Hoeg , quindi tra quelli che hanno tenuto un po’ a battesimo il genere, prima che esplodesse in tutto il mondo. Di quegli autori adoro lo stretto legame con l’attualità, il minimalismo direi quasi famigliare dei rapporti umani e istituzionali e naturalmente le atmosfere e i paesaggi così diversi dai nostri. Ma soprattutto, direi, il lato introspettivo e psicologico. Anche se, ripeto, posso parlare con cognizione di causa quasi solo della Holt (sia nella versione detective Hanne Wilhelmsen che in quella della criminologa Johanne Vik, che fra l’altro preferisco ) e di Mankell. Degli altri ho letto troppo poco per esprimere un parere.

Mirco Giulietti

Patrizia Argenziano

 

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