Intervista a Nicola Ronchi




A tu per tu con l’autore

 

 

 

Disegni è un romanzo che sembra cambiare lungo le pagine, trasformandosi e evolvendosi fino ad un finale del tutto inaspettato. Una trama articolata. Da cosa prende spunto?

Eh sì, un’evoluzione che si fa via via sempre più ansiogena, come del resto accade in tutti i miei romanzi. Avevo in mente da tempo una storia che trattava l’argomento disabilità. E, leggendo “On writing” di Stephen King, nel punto in cui il maestro spiega come nascono i suoi romanzi, mi è venuta l’idea. King parte da una domanda: cosa succederebbe se… Per esempio: cosa succederebbe se uno scrittore di successo finisse in balia della sua più grande ammiratrice, nonché pazza scatenata? (Misery) Oppure: cosa succederebbe se una ragazzina introversa, ma con poteri paranormali, venisse presa in giro da tutti? (Carrie, lo sguardo di Satana) Ecco, io ho fatto altrettanto: cosa succederebbe se un’adolescente disabile si innamorasse del proprio, bellissimo, educatore? Da lì è partita la storia, fino all’epilogo. Stop. Non dico altro.

 

Questo non è sicuramente il suo primo romanzo di genere (thriller). Altri suoi precedenti lavori richiamano ad una trama con forti connotati psicologici. Perché questa scelta? Semplice passione per la psicologia o è frutto di studi specifici?

Nessuno studio specifico, ma una grande curiosità per la mente umana. Non apprezzo molto la fantascienza, il paranormale, tutte quelle cose insomma che non si possono spiegare. Le mie storie sono verosimili, anche se all’apparenza risultano paradossali. C’è una mia frase all’inizio di questo libro, un aforisma che racchiude il senso del romanzo psicologico: “tieni qualcuno in una costante condizione di paura e ne annullerai l’anima. Credetemi, è molto peggio della morte”. Ecco, il succo sta tutto lì.

 

 

Alessio, un personaggio che non definirei forte. Forte è l’ascesa che lui ha sugli altri, ma questo ragazzo si sente sempre imperfetto. Soprattutto nei confronti dell’affetto. Quando rispecchia questa refrattarietà del protagonista nei confronti dell’amore, i rapporti al giorno d’oggi?

La perfezione del corpo, l’estetica, la voglia di apparire… sembra che oggi i giovani cerchino soprattutto questo. Ma sotto il cofano, dietro la loro personalità, cosa si nasconde? Ho fatto parte della giuria in un concorso letterario riservato alle scuole di Firenze. Abbiamo valutato più di seicento manoscritti di ragazzi delle elementari, medie e superiori. E sapete quali sono stati i temi più ricorrenti? La solitudine e la noia. Ecco: dietro quella perfezione, quella voglia di apparire, c’è un vuoto, una debolezza tale da rendere ogni persona insicura. E sola. In “Disegni” questa condizione viene esaltata nel profilo del protagonista.

 

Leggo dalla sua biografia che è un appassionato di film, soprattutto horror. Quanto ha influito, questa sua passione, nella sua scrittura?

Ha influito parecchio, altroché. All’età di undici anni ho visto “Tenebre” di Dario Argento (mi ero infiltrato nel cinema nonostante il film fosse vietato ai minori di diciotto anni!) ed è stato subito amore. Amore per la tensione, per l’adrenalina, per la paura. Emozioni insomma, emozioni forti. Col tempo mi sono appassionato sempre di più al genere, prediligendo i thriller e gli horror italiani degli anni Settanta e Ottanta. Bava, Fulci, Deodato, Avati, lo stesso Argento. Poi “da grande” mi sono raffinato, sostituendo il sangue con il terrore psicologico. Mi piacerebbe, un giorno, che qualcuno parlasse di me dicendo: “Ronchi dimostra come non sia necessario scrivere di morti ammazzati per creare paura”. Un po’ come il maestro King diceva della sua scrittrice preferita, Shirley Jackson: “La Jackson scrive horror senza alzare la voce”. E così sia.

Nicola Ronchi

Sara Ferri


 

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