A tu per tu con l’autore
A cura di Marina Morassut
Nella prefazione al suo ultimo romanzo tradotto in Italia, L’uomo senza ombra. Il diario sessuale di Gerard Sorme (Carbonio 2020, traduzione di Nicola Manuppelli)/ Man Without a Shadow, Colin Wilson provoca i lettori affermando che “i romanzi non portano da nessuna parte”. A riprova di ciò, soprattutto per quelli che si sono sviluppati in Gran Bretagna, ribadisce che questi stessi sono inutili, in un certo senso, perché appena letti li si dimentica, salvo poche eccezioni. E ciò dipende, secondo Wilson, dal fatto che il romanziere è limitato dalla vicenda che racconta. Da qui il suo enunciato: un romanzo ha la sua ragione d’essere se ti offre una vacanza da te stesso. Di fatto la lettura dei romanzi non ci porta a nessun risultato significativo, ci fa sostanzialmente fare un giro per poi riportarci al punto di partenza. Discorso diverso è se leggiamo un saggio filosofico, ma a questo punto non parliamo più di romanzi. Come soluzione Wilson si propone la scrittura della “nana bianca” dei libri, un testo così denso di significati da doverlo e volerlo rileggere molte volte, ciascuna delle quali dischiude al lettore interpretazioni diverse. Un libro di idee e che tratta della vita così come siamo costretti a viverla. Ci può spiegare meglio questo concetto, che al contempo è anche uno dei massimi desideri di Wilson, ci sembra di capire?
NT: È vero che ne L’uomo senza ombra Wilson rischia di fare leva su un gusto degradato per l’eccitazione, ma se lo fa è perché vuole sfruttare il potere del desiderio sessuale per coinvolgere i lettori ‒ almeno, quelli maschi eterosessuali ‒ a ogni livello. Wilson considerava il sesso come un importante punto di partenza nella ricerca di una coscienza più profonda, ma non come un fine di per sé, e lo riteneva qualcosa che gli esseri umani che hanno raggiunto uno stadio di evoluzione sufficientemente avanzato possono trascendere.

“Il vecchio romanzo del XIX secolo era interessato solo allo stile, non ai problemi dei suoi lettori”. Era questo il pensiero di Wilson, il quale, diversamente, si proponeva come un romanziere nuovo che trattava di realismo esistenziale. Wilson però non esplicita ciò che vorrebbe avvenisse effettivamente nel lettore. Si ha la sensazione che questa attenzione tutta nuova che gli accorda risulti come un atto dovuto da parte sua, da un lato, sulla spinta delle letture fatte, dall’altro perché Wilson è comunque figlio del suo tempo, riferendoci nello specifico al tempo in cui è stato in auge come scrittore – ovvero dalla seconda metà degli anni Cinquanta fino agli anni Settanta del secolo scorso –, che coincide con un’epoca particolarmente movimentata per il Regno Unito e più che mai per Londra, in balìa di una sorta di rivoluzione sociale permanente. Pensa che questa combinazione di fattori (la sua formazione culturale e l’epoca in cui Wilson scrive di più) possa essere una spiegazione del suo essere egli stesso un outsider?
NT: Wilson pensava che la narrativa e la filosofia del XX secolo si fossero arenate in un vicolo cieco, e voleva una narrativa e una filosofia che teorizzassero un futuro positivo. Questo solo fatto bastava a farlo sentire un outsider in una cultura che reputava inutilmente negativa e pessimistica. La sua condizione sociale d’origine contribuì ad alimentare la sensazione di essere un outsider. Era figlio della working-class provinciale, con un limitato accesso alla cultura; non frequentò l’Università, venne congedato in anticipo dalla Royal Air Force in circostanze piuttosto scandalose e non riuscì ad adattarsi a un lavoro regolare; arrivò a Londra negli anni Cinquanta del Novecento, in un’epoca in cui la vita in Inghilterra appariva grigia e conformista, sebbene fossero già accese le braci di una rivolta che sarebbe divampata nel corso del decennio successivo. Wilson pensava che l’unica via d’uscita dalle circostanze opprimenti della sua esistenza fosse raggiungere il successo come scrittore, cosa che gli riuscì, contro ogni previsione, in un periodo in cui in Gran Bretagna imperversava una fame culturale per nuove idee e nuove voci. Fu identificato come un membro degli Angry Young Men, che si imposero sulla scena culturale britannica nel 1956, ma rifiutò l’etichetta e dimostrò ancora una volta di non essere incasellabile nella cultura ufficiale. Continuò a scrivere anche quando si trasferì in Cornovaglia, nel 1957, malgrado la costante ostilità della critica e malgrado la difficoltà a pubblicare, intensificatesi soprattutto negli ultimi anni della sua vita.
Restando su L’uomo senza ombra, ci viene presentato nuovamente Gerard Sorme, che di fatto si trova in una situazione privilegiata. Grazie ad una piccola rendita mensile, può vivere senza essere costretto a lavorare – e già questo riduce drasticamente la percentuale di lettori che si possono riconoscere in lui, invalidando il desiderio di un realismo esistenziale, a parere di molti dei nostri lettori. Ma – anche tralasciando tale dettaglio e insistendo sul discorso del realismo –, la domanda che ha diviso e fatto discutere i nostri lettori è: il diario è uno scritto interpretabile dalla prospettiva di un uomo che non fa nulla di costruttivo nella sua vita e che perciò è alla ricerca di un significato che la renda degna di essere vissuta, se non che la giustifichi, in un certo senso? Oppure è vero proprio il contrario? Nel senso che è proprio grazie alla possibilità di disporre del tempo necessario a elucubrare (possibilità negata ai più), che Gerard si pone il problema di un di più per l’uomo, di quel momento della comprensione del tutto che trascende la normale coscienza, e che cerca di prolungare perché la peak experience al momento è troppo breve e non consente quel salto che ci consentirebbe di elevarci al livello di Dio?
NT: Secondo Wilson una persona che, come Sorme, si focalizza su questioni di senso, essenza e scopo è impegnata nell’attività più costruttiva per antonomasia, trattando dei problemi filosofici fondamentali che stanno alla base dell’esistenza umana e che possono, se non vengono affrontati, minare l’attività propositiva. Inoltre, ne L’uomo senza ombra, Sorme sta lavorando a un libro che si intitola Metodi e tecniche di autoinganno, che ha buone possibilità di essere pubblicato e di lanciare la sua carriera di scrittore, proprio come L’Outsider ha lanciato quella di Wilson. Quindi, anche se non ha un lavoro regolare, non è inattivo.

Nei romanzi fino ad ora tradotti in Italia, la figura femminile è sempre vista come un’entità passiva, anche oggetto di desiderio, ma mai soggetto. Lei che conosce l’intero corpus dell’opera di Wilson, sa dirci se in uno dei suoi romanzi la figura femminile si evolve, distaccandosi da questo refrain di personaggio inerte?
NT: Ammetto che non ci sono personaggi femminili centrali o positivi nella narrativa di Wilson. Benché abbia negato di essere un maschilista, nei suoi romanzi concede soltanto ruoli di secondo piano alle donne, e la ricerca maschile è fondamentale. Seppure nella la sua produzione narrativa ‒ per esempio ne La pietra filosofale ‒ a volte riconosca che le donne possono, come gli uomini, raggiungere un livello di evoluzione più elevato, non si focalizza mai in modo esteso su una figura femminile forte o complessa. Nonostante l’autobiografia di Wilson descriva sua madre come una donna molto intelligente che, nonostante la sua relativa mancanza di un’educazione, lo incoraggiava a leggere i classici della letteratura e a discuterne con lei, nella sua opera non compare mai un personaggio con tali caratteristiche.
NT: Ho scoperto Riti notturni e il saggio filosofico L’Outsider da adolescente, trovandoli ammalianti; mi hanno introdotto a tutta una serie di esperienze e idee che non avevo mai incontrato prima. Ho continuato a leggere gli altri suoi libri ogni volta che riuscivo a procurarmeli (era più difficile nell’epoca pre-Internet) e ho scritto una tesi sulla sua opera per il mio Baccalaureato in Belle Arti. In seguito ne ho tratto un libro (Novels to Some Purpose: the Fiction of Colin Wilson, ndr), che ho rivisto e ampliato per una seconda edizione, e poi per una terza. La tenacia di Wilson mi ha aiutato nel mio percorso di scrittore e mi ha spronato a non mollare nei periodi difficili che a volte capitano nella carriera letteraria. Non l’ho mai conosciuto personalmente ma ci siamo scritti prima dell’avvento di Internet e il nostro carteggio è custodito nell’“archivio Colin Wilson”, ospitato dall’Università di Nottingham.
Che lei sappia, ci sono altre sue opere ancora da scoprire e pubblicare?
La maggior parte degli inediti di Wilson adesso fa parte dell’“archivio Colin Wilson”, creato dal suo bibliografo Colin Stanley. L’archivio costituisce un tesoro per i ricercatori ed è probabile che a un certo punto una selezione del suo contenuto ‒ per esempio degli estratti dai diari e dalle lettere ‒ verrà pubblicata. C’è anche un romanzo molto lungo che si chiama Le metamorfosi del vampiro, che è stato pubblicato nella traduzione in russo nel 1996-’97, ma che ancora deve essere pubblicato integralmente in inglese.
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