Intervista a Olivier Norek




A tu per tu con l’autore


Olivier, diciamo fin da ora che  non entreremo nello specifico di cosa sia il Codice 93 a cui allude il titolo e che così tanta importanza ha nello snodo della trama del tuo noir, ma su un altro 93, quello del  Servizio dipartimentale di polizia giudiziaria della Seine-Saint-Denis. SDPJ 93,  vorrei invece soffermarmi un momento a partire dal tuo vissuto, dal tuo  concetto di squadra,  fino ad  arrivare alle tue pagine …

Bene, allora partiamo col dire che io non ero esattamente nello stesso reparto in cui lavora il mio protagonista, Victor Coste. Lui è all’anticrimine, io invece, pur avendo indagato su molti casi criminali e delittuosi, operavo nel reparto che si chiama “Sezione indagini e Ricerca”e, soprattutto, mi sono occupato di sequestri di persona con richiesta di riscatti, furti e scassi di casseforti e aggressioni sessuali.

La mia missione era appunto quella di cercare di capire che cosa succedeva in questi casi e ciò mi ha consentito proprio di scendere nel profondo dell’animo umano nella sua interezza, perché.da un lato, sono venuto a contatto con gli aspetti  più belli, più sublimi degli esseri umani, soprattutto quando mi trovavo di fronte alle vittime, oppure anche quando ero con la mia squadra, e, dall’altro mi ha consentito di scoprire le cose più tenebrose, più drammatiche dell’animo umano, ovvero quando ero di fronte agli assassini, agli omicidi e agli stupratori.

Tutta questa esperienza, dalla quale sono uscito molto arricchito perchè avrei materiale per scrivere altri 200, 300 libri,  mi ha consentito di avere o di poter avere, uno sguardo particolare e guardare il mondo in modo veramente molto specifico.

Il fatto è questo: quando uno trascorre tutta la sua vita nelle tenebre, vedere anche un solo bagliore di luce, può essere un qualcosa che abbaglia, perchè magari le persone che tutto il giorno sono davanti alla luce sono abituate e passano accanto ad alcune cose senza notarle, no? Ma se uno vive nel sottosuolo costantemente, oppure va a indagare nel profondo dell’animo umano, beh, appena vede uno spiraglio, un brillio di luce o anche di speranza, si rende conto di quanto sia bello. 

In “Codice 93”, primo di una trilogia, seguiamo il primo caso del Capitano Victor Coste. Un personaggio che cattura sin dalle prime battute e ci conquista per le sua determinazione, intelligenza, umanità nel senso più ampio del termine, ossia anche quello che comprende la fallibilità. Ci racconti il tuo rapporto col personaggio, la sua costruzione e la tua scelta di dargli come tallone di Achille l’Altro, maiuscolo. Come leggiamo in “Codice 93” infatti: La sua debolezza era l’Altro, lo sapeva. Sentirlo dire era diverso. Avendo letto tutto quanto di tuo è stato a oggi tradotto in Italia e avendo avuto il piacere di dialogare con te in due precedenti occasioni, ho potuto capire quanto anche per te l’Altro sia importante… un parallelismo possibile tra autore e personaggio?

E’ vero. Per quanto riguarda la costruzione di Coste, come hai giustamente detto tu e l’Altro il suo punto di debole, il suo tallone di Achille e questo perché mi assomiglia tantissimo.

Di fatto è il mio primo protagonista, e dell’eroe  ha tutti i punti di forza e le debolezze. È stato anche detto che l’inferno sono gli altri, no, eh? Mi riferisco a Sartre, per esempio.  E invece per me, appunto, il peso dello sguardo degli altri è molto importante. 

Mi rendo conto che se qualcuno ti dice sei bello, sei intelligente è appunto perché è lo sguardo dell’altro che si depone su di te e pensa che tu sia bello e intelligente, quindi l’altro diventa fonte di energia. Io vorrei poter vivere senza avvertire il peso dello sguardo degli altri, ma non ci riesco. Infatti, la mia vita professionale è iniziata col partire per operare in missioni umanitarie. Poi sono diventato poliziotto e adesso scrivo romanzi e, scrivendo dei romanzi, scelgo appunto delle tematiche sociali, politiche, anche fatti di cronaca che mi colpiscono nel cuore proprio perché riguardano e coinvolgono gli altri. 

Quindi sicuramente la debolezza di Coste è questa, è l’Altro, e per me è quasi un peso, una maledizione. In “Superficie”, la protagonista, Noémie,   ha il volto sfigurato, distrutto, perché le hanno  sparato addosso. Ora il volto è la prima cosa che si offre alla vista, ma è un aspetto superficiale, di apparenza.

Tanti e profondi i temi che sviluppi nel tuo noir, vendetta, menzogna, ricatto morale  e riscatto morale. Gli invisibili e i potenti. La tua scrittura, forte di un’incisività davvero notevole ed efficace, e capace al contempo di sensibilità altrettanto profonde e squarcianti di luce, è perfetta per questa storia che non lascia scampo e per esplorare tutti queste facce di una medaglia insanguinata. Cosa maggiormente ha ispirato in te “Codice 93”? Quanto care ti sono queste tematiche?

Quando essere se stessi significa essere molto sensibili e anche molto empatici, poi si diventa una sorta di ricettacolo di tutti i dolori, di tutti gli abbandoni, dell’ invisibilità dell’altro. Quindi,  quando si è così,  si è penetrati, appunto, da tutte queste tematiche di cui stiamo parlando, oppure se ne viene  direttamente colpiti. Io ho una grande fortuna, e se continuo a reggere, a star ben dritto e ad andare avanti, è perché attorno a me ci sono i miei familiari, ci sono degli amici, ci sono persone importanti che impediscono di andare verso il tracollo,  perché io sono molto sensibile nei confronti della violenza nel mondo e grazie a queste persone riesco a fare delle professioni che vanno a impattare in  questa mia sensibilità. 

Al principio, infatti, ho lavorato come operatore umanitario, dopodiché sono diventato poliziotto e questo appunto è un pò come se chi soffre di vertigini andasse a fare il paracadutista, no? Però anche se può sembrare quasi ridicolo o assurdo, è la cosa che mi dà tanta energia. Non credo di essere un caso a parte, un caso speciale, perché la fragilità è qualcosa che è insita nell’artista.

Non penso che Bukowski o Van Gogh fossero persone particolarmente felici, quindi questo sta a significare che essere un Autore  significa non essere felici, che per essere un Artista non bisogna essere felici? Non lo so. Però so effettivamente che non bisogna essere totalmente, beatamente felici, perché questo non aiuta sicuramente la creatività. 

Notevoli sono anche i personaggi femminili, personalmente ho trovato  il medico legale Lea Marquant davvero strepitosa per caratura e carattere, ma vanno citate anche Johanna, la Comandante Damiani, la giovane Alice, e una figura da mattatrice quale quella della matriarca Soultier. Ci riveli  un qualcosa per ciascuna?

Io sono stato allevato da mia madre fondamentalmente, quindi questa parte di femminismo, questo interesse  per le donne, per i personaggi femminili per me è una cosa ovvia, una cosa naturale, non ci sto nemmeno a pensare. E non è un caso anche che in Francia,  il 30%  dei poliziotti siano delle poliziotte, quindi per me è naturale avere dei personaggi femminili nei miei romanzi, ma spesso a questi personaggi do il ruolo del cattivo  quasi per amore. 

Quando parlo con degli attori mi dicono che mettersi nei panni di un eroe non è così tanto appassionante, mentre  mettersi nei panni di uno stronzo o anche di una matriarca, come appunto quella che abbiamo nel romanzo, è qualcosa che li appassiona molto di più, perché ci sono molti più colori, molte sfumature, molte personalità sulle quali si può giocare. 

Quando inizio un romanzo non mi dico Olivier, attenzione, devi assolutamente inserire una figura femminile,  perché mi viene  naturale e quindi quando ho creato Noemie e le altre,  mi è venuto del tutto naturale, anche perché c’è una parte in me di femminile che non rifiuto assolutamente, di cui io sono anche orgoglioso.

Quindi questi personaggi vengono a me in modo del tutto spontaneo. Se consideri i miei personaggi maschili e femminili, vedi appunto che la forza, il coraggio e l’ostinazione sono proprie dei personaggi femminili, mentre le debolezze e le cadute appartengono a quelli maschili. Però io non ci faccio caso, mi viene naturale, molto probabilmente anche  perché considero mia madre la donna più forte del mondo … soprattutto perché ha cresciuto me.

Uno dei personaggi maschili , il giornalista Farel afferma di non sentirsi mai così vicino alla realtà come quando si trova di fronte alla menzogna destinata a occultarla. Ho trovato questa considerazione davvero interessante, soprattutto perchè la metti in bocca a un giornalista, e così  spesso ci si interroga su temi come  le fake news… cosa ne pensi?

Il legame tra poliziotto e giornalista è diretto e immediato, perché entrambi fanno più o meno la stessa cosa, cioè indagano, investigano e quindi cercano di avvicinarsi alla verità. Però c’è una differenza tra il poliziotto e il giornalista: il poliziotto ha tutto il tempo davanti a sé per poter svolgere la sua indagine che può andare da un mese, a un anno, a  più anni, mentre il giornalista deve fornire delle informazioni nelle ventiquattrore. 

Soprattutto, più si va avanti e più le informazioni devono essere date subito, nel momento, nell’immediato, e quindi si hanno degli spezzoni di informazione che a volte non corrispondono totalmente alla verità. E quindi le fake news secondo me non sono tutte volontarie, ma dovute al fatto che non è stata fatta un’accurata verifica.

Quindi la differenza tra il poliziotto e  il giornalista è che il poliziotto può andare avanti, fare delle supposizioni, avvicinarsi alla verità, capire dov’è la menzogna, e poi ottenere anche delle prove, degli elementi che gli consentono di arrivare a una conclusione dopo aver verificato  tutte le  informazioni; il giornalista, al contrario, è costantemente chiamato dalla redazione che gli chiede notizie e se dice  devo ancora fare delle verifiche eccetera, dall’altra parte si sente dire no l’informazione me lo devi dare subito, adesso. 

Quindi sono mezze informazioni, sono cattive informazioni ed è questo che porta appunto alle fake news. Secondo me bisognerebbe lasciare più tempo ai giornalisti, un pò come accadeva ai grandi giornalisti di una volta, che avevano anche un anno, sei mesi per poter svolgere le loro indagini, mentre oggi appunto, si chiede a tutti di fare tutto e subito.

Io ti leggo e ti apprezzo e le due cose sono assolutamente indissociabili, ma aldilà di questo,  in un dialogo tra Farel e Coste tu scrivi «Lei ascolta, oppure giudica?» 

«Le due cose sono indissociabili.», una frase che mi ha fatto molto riflettere, che su due piedi non mi ha trovato d’accordo, e che invece ho poi compreso abbia un contenuto di verità altissimo. Non ci piace forse ammettere di essere giudicanti, ma di fatto in qualche modo, più o meno inconsciamente, volenti o nolenti lo facciamo molto spesso. Era una provocazione la tua o pensi realmente che in qualche misura il giudizio sia insito nella natura umana?

Se vogliamo essere onesti, bisogna dire che noi dedichiamo tantissimo tempo a giudicare gli altri Quando si incontra qualcuno per la prima volta,  vengono in mente un sacco di domande. tutte molto particolari.

Ci si chiede se questa persona sia  pulita o meno, si nota  come è vestita, se si  ha voglia  di baciarla,  di andarci a letto, qual è la sua classe sociale d’appartenenza, se sia ricca, povera .. Insomma, un sacco di domande vengono  in mente, perché quando si incontra una persona la si giudica un pò come fa un animale quando incontra un altro animale. La si fa passare attraverso uno scanner per una scansione completa, attraverso queste domande, o simili,  completamente stupide che ci vengono in mente. Sinceramente però  questa analisi la facciamo ed è abbastanza strano perché è quella scansione che poi determina se una persona ci piace  o non ci piace. Si dice che questa prima emozione, questa prima sensazione,  sia quella giusta, però è il frutto di un’analisi che dura un quarto di secondo.

E’ il nostro subconscio che lavora, perché consciamente non ci rendiamo mica conto di quello che stiamo facendo che ci porta a incasellare una persona in una determinata cornice e casella. Dopo il giudizio iniziale cominciamo a scrostare la superficie per andare a indagare più in profondità e per capire se questa emozione venga  convalidata o meno. Però la prima emozione è sicuramente quella più forte. 

Quindi, effettivamente, trascorriamo tantissimo del  nostro tempo giudicando gli altri, cosa fai tu, quando vai per la prima volta a casa di qualcuno? Guardi la sua biblioteca per capire cosa legge, che musica ascolta, se ci sono briciole sul tavolo, se la lettiera del gatto sia pulita. E così ci si fa un’opinione della persona.

“Codice 93” è il primo di una trilogia per la quale i lettori italiani già attendono la pubblicazione (tipi di Rizzoli pendiamo dalle vostre labbra!) , oltre questo nel salutarti e nel darti appuntamento a prestissimo ci puoi dire qualcosa dei tuoi progetti prossimi e delle novità che ti riguardano?

Per quanto riguarda  i tre libri che  sono stati pubblicati in Italia ci sono tre progetti: Di “Tra due mondi” si stanno disegnando i cartoni animati, perché penso che la forma del cartone animato sia quella più appropriata per poter raggiungere  il pubblico più ampio possibile con la tematica trattata. Poi per quanto riguarda “Superficie”, a breve, tra neanche un mese,  inizieranno le riprese  nel paesino dove vivono i miei genitori, quindi il mio paese di origine. 
E poi per quanto riguarda “Il pesatore di anime” è in scrittura  la sceneggiatura dei sei episodi delle avventure di Coste, in quest’ isola sperduta tra la bruma e la  nebbia. 

Ti confesso che attendo con eccitazione e tanta curiosità  il momento in cui mi diranno chi sarà l’attore che interpreterà Coste!  Non vedo l’ora!  

E  anche  noi non vediamo l’ora di saperlo e di leggerti ancora … à très bientôt! 

A cura di Sabrina De Bastiani 

Interprete Anna Maria Arduini

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