A tu per tu con l’autore
A cura di Salvatore Argiolas
Enrico Radeschi compare in libreria nel 2006 con “Blue Tango – Un noir metropolitano”. Com’è cambiata da allora Milano e soprattutto com’è cambiato il modo di raccontarla?
La città è cambiata moltissimo mentre il modo di raccontarla è rimasto lo stesso. A me piace visitare i luoghi che non conosco, respirali, viverli e poi inserirli nei romanzi. Ho sempre fatto così, oggi come 16 anni fa.
Il tuo personaggio ha un luogo dell’anima, Capo di Ponte Emilia, dov’è ambientata parte di “La mano sinistra del diavolo”. Come cambia la prospettiva narrativa di una piccola comunità rispetto a quella di una metropoli? Ci sono differenze dal punto di vista del racconto?
La prospettiva si ribalta completamente. A Milano, la grande città dove vivono milioni di persone che non si conoscono e si ignorano, può accadere di tutto; in provincia dove tutti gli abitanti si conoscono per nome le storie nere hanno un passo diverso e un serial killer, ad esempio, proprio non ce lo puoi mettere.
Casualmente Enrico Radeschi e Paolo Roversi hanno lo stesso anno di nascita e sono accomunati dallo stesso imprinting culturale. Ci sono altre fatali coincidenze che li legano?
Entrambi possediamo una vespa gialla del 1974 e siamo appassionati di tecnologia.
Il giornalista hacker è vicino al traguardo dei cinquant’anni. Ha finalmente deciso cosa fare da grande?
Radeschi è un eterno Peter Pan che si ostina a non voler crescere. Credo sia questo il suo punto di forza e anche il motivo per cui piaccia così tanto. Il giorno in cui metterà la testa a posto probabilmente smetterò di raccontare le sue avventure.
Recentemente c’è stato un interessante dibattito sulla funzione del noir italiano nella letteratura contemporanea e della sua mancata incisività nel rapporto con il potere.
Qual è la tua posizione da autore e soprattutto da ideatore e gestore di un sito punto di riferimento degli appassionati del genere?
La storia del giallo è fatta di alti e bassi, di amore e disamore. È fisiologico, tuttavia credo che il giallo sia ancora il miglior modo per raccontare la nostra società.
Il noir riesce ancora a scuotere le coscienze oppure è un semplice passatempo da vagone ferroviario come veniva definito negli anni Cinquanta?
Dipende cosa si intende per noir. Un termine che può significare molte cose. Per quel che mi riguarda i romanzi crime che leggo (e che quindi scelgo) non sono affatto da vagone ferroviario ma degli autentici treni in corsa.
Qual è, Enrico Radeschi a parte, il detective meneghino che ti piace di più e quali sono i noir che consiglieresti per una comprensione più profonda della città che “quando piange, piange davvero”?
Duca Lamberti di Giorgio Scerbanenco. Inarrivabile. Consiglio i quattro romanzi che lo vedono protagonista.
Hai mai pensato ad un team-up tra Radeschi e qualche altro investigatore sulla breccia, come per esempio Michele Ferraro, creato da Gianni Biondillo oppure con l’ex maresciallo Binda di Piero Colaprico?
L’idea non è male. Ci penserò.
Infine una domanda che nasce da una curiosità personale. Radeschi in “L’eleganza del killer”, vive in casa dell’amico Fuster. E’ un omaggio a Pepe Carvalho, che con Eric Fuster organizza memorabili nottate all’insegna della gastronomia filosofica o della filosofia gastronomica, a seconda dei punti di vista?
Ovvio. Tutti i personaggi del mondo di Radeschi sono presi a prestito da giallisti che ammiro. Il questore nei primi romanzi si chiamava Lamberto Duca (ricorda qualcosa?), poi c’è Mascaranti preso sempre da Scerbanenco, il dottor Ambrosio da Olivieri e così via.
Paolo Roversi
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