Intervista a Roberto Carboni




A tu per tu con l’autore


Sono felice di essere qui per voi cari lettori di Thrillernord.it per presentarvi questa chiacchierata con uno degli autori che negli ultimi due anni ho apprezzato maggiormente nel panorama del giallo thriller in Italia, Roberto Carboni. 

Salve Roberto e grazie per aver accettato di essere torturato da Elia Moros… ops, credo di aver calcato un po’ la mano…
Dopo aver rotto il ghiaccio ti chiedo subito dei tuoi personaggi, come nascono, da cosa prendi ispirazione e se tra un Elia de Il Segreto dell’Antiquario e il Gabriele Moretti de La Collina dei Delitti hai scelto qualche modello o li ha plasmati seguendo i tuoi incubi e creatività.

La scrittura è una battaglia che conduciamo contro la noia del lettore. Non riesco a scrivere romanzi con un plot prestabilito (e quindi, ritrito), mi annoierei a morte. Mi piace invece la sorpresa, prendere il lettore per mano e condurlo nel mio mondo imprevedibile e tempestoso. Mi piace far sognare il lettore, regalargli emozioni, e anche un po’ turbarlo. Il romanzo è un’esperienza collettiva che si completa con la lettura. Le mie storie sgorgano dai protagonisti (e antagonisti). Con le loro singolarità, i conflitti cognitivo-comportamentali. La creazione di un personaggio, anche secondario, richiede tempo e pazienza. All’inizio è solo un’ombra, il granello di sabbia dentro la conchiglia che diventerà perla. A volte una perla nera, come Elia, appunto.

Ho trovato la lettura di questo ultimo libro particolarmente ispirata, l’ambientazione negli anni ‘80 – che ricordo molto bene – sembra essere talmente presente, viva che la immagini fuori dalla porta di casa. Cosa è cambiato realmente secondo te dalla lettura e presentazione di un thriller in quegli anni versus farlo ai giorni nostri? Ma soprattutto i dettagli sembrano respirare, prendere vita e questo libro ne è pieno. Come ti approcci alla scrittura?

Mi approccio alla stesura di un romanzo per immersione, per contaminazione. Permetto al mio inconscio di suggerirmi strade inaspettate. Vivo la sorpresa e le angosce come fossero le mie. Gli ’80 sono stati anni isterici (ricordi la moda, le pettinature e i programmi televisivi?). Eppure la letteratura era più riflessiva, gli scrittori si prendevano spesso lo spazio per descrivere in profondità. La scommessa, ai nostri giorni, è scrivere un romanzo dal ritmo incalzante ma che faccia anche riflettere, che contamini il lettore, che lo costringa a confrontarsi con la propria Ombra. Volenti o nolenti, l’abisso è in agguato e là in fondo, nel buio, si trovano le mie storie. 

Ho sempre apprezzato la vera protagonista dei tuoi libri, la splendida quanto carismatica Bologna, fin da Bologna Destinazione Notte, passando Dalla Morte in Poi, fino al saggio sui misteri e curiosità della città. Quanto sei legato a Bologna sul piano culturale/creativo e cosa davvero ti lega in maniera indissolubile alla città?

Nel giallo, la città è il contenitore della trama. Diciamo infatti che la città fa da sfondo. Nel noir invece è la città stessa a generare il proprio tessuto urbano degenerato. Nel giallo, il criminale è la mela guasta da estirpare, per salvare il resto: il giallo classico postula ingenuamente che la società sia sana. Per il noir invece l’intera società è malata, e ogni città è malata a modo proprio. Per questo il noir non è un genere, ma un contenitore, e sfugge alle regole. Non segue una struttura, non è inscritto in una gabbia; rincorre piuttosto la degenerazione della storia, dei personaggi, l’eccesso, le pulsioni, le ossessioni. Insomma, tutti quegli aspetti squisitamente umani dei quali normalmente ci vergogniamo. Lo scrittore di talento non si lascia affascinare dall’affondare il pedale del gas (i lettori si abituano in fretta alle esagerazioni. E si annoiano), piuttosto si lascia andare abbassando il freno a mano. La libertà di esposizione è genuinità, il vero traguardo.

Questa è una domanda un po’ retorica che mi piace fare agli scrittori che stimo ed è: quali artisti musicali, film e libri ti piacciono di più e quali hanno influenzato il tuo modo di scrivere storie?

Quelli trasgressivi, che hanno saputo spingersi un po’ oltre e hanno ridisegnato i confini del lecito. Elio Vittorini diceva: ci sono scrittori che ti fanno dire “È proprio così”. Ma ce ne sono altri che ti fanno esclamare “Non ci avevo pensato”. Amo chi è riuscito nelle imprese ritenute impossibili, in tutti i campi. Sono affascinato dalla tenacia, dall’ossessione, dalla grinta. Dal desiderio di esprimere ciò che ribolle dentro di noi. Esistono decine di migliaia di persone che vorrei conoscere. Per entrare un po’ nella loro vita, e comprenderne la natura stessa. Un po’ come Elia, insomma: “Sono la foglia che si stacca dal ramo per conoscere l’erba. Sono la nebbia che abbraccia la panchina. E anche se sto fra le persone, nessuno, mai, riesce a vedermi”.

Ti ringrazio per questo botta e risposta e per i libri con cui ci delizi, e mi congedo chiedendoti quanto è importante per te il rapporto con il pubblico e le presentazioni in giro per lItalia.

È fondamentale, per capirmi. Quando un mio romanzo viene stampato, io non lo conosco ancora. È troppo intimo. Poi, incontrando i lettori, ascoltando i loro pensieri e le loro considerazioni, scopro aspetti della storia che mi erano sfuggiti. Questo avviene perché lo scrittore non deve trasmettere immagini (fotogrammi predefiniti), ma suggestionare il lettore a creare immagini proprie, una propria storia (viva e sentita). Ogni lettore è parte di un’esperienza personale e collettiva allo stesso tempo, le sue considerazioni mi arricchiscono e mi fanno riflettere. Un grande regalo, insomma.

A cura di Roberto Forconi

 

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