A tu per tu con l’autore
Stefano Di Marino non ha bisogno di presentazioni: traduttore, autore e sceneggiatore di fumetti, ha scritto decine di romanzi, racconti, saggi, articoli, oltre a curare moltissime traduzioni. Il suo personaggio più famoso è Chance Renard, “il Professionista”, una delle colonne portanti di Segretissimo. Dbooks.it ha pubblicato da poco “L’uomo della Nebbia”, un mistery “tra le mille sfumature del pulp”.
Buongiorno, Stefano, e benvenuto su Thrillernord. Abbiamo parlato poche settimane fa de “L’uomo della Nebbia”, un mistery… Potremmo definirlo un genere “di confine”, diverso da gran parte della tua produzione: cosa ti ha spinto a scriverlo?
Buon giorno a voi. L’UOMO DELLA NEBBIA è un romanzo che parzialmente esce dai mei canoni abituali in quanto lascia uno spazio considerevole al fantastico. Non è la prima volta ma forse è la storia più lunga che ho scritto in questo genere. Che poi riecheggia il Pulp degli anni d’oro della produzione americana. Ovviamente tutto mangiato e rimasticato secondo il mio modo di raccontare. È una storia ambientata a metà degli anni 20 in un’America che è…e non è quella che conosciamo. Un paese dove si muovono personaggi a metà tra la pura letteratura pulp e il fumetto, direi che Fogman è un omaggio sia a Will Eisner che alla serie Shadow che a Remo Williams di Warren Murphy. Visto come io lo vedevo. Un poliziotto creduto morto, legato a un mondo magico che pervade il nostro e che ha origine nelle leggende sulla magia dell’Anello di Salomone, in Lovecraft, nelle fiabe russe e in tutto quel folclore gotico che mi spaventava e affascinava da bambino. Al di là del mistero degli omicidi avvenuti alla Arkhamhouse University ci sono rimando a un’infinità di storie e suggestioni fantastiche. Però c’è sempre un lato realistico, razionale, d’azione. E poi il personaggio di Abby mi piace molto perché è razionale e fantastico al tempo stesso. La prima donna dell’FBI tutta dovere e distintivo ma con una sua storia personale e magica alle spalle.
L’agente dell’FBI Abigail Russell e l’affascinante Fogman sono due personaggi dal carattere “forte”, anti-eroi con un passato oscuro, svelato solo in parte nel romanzo: “L’uomo della Nebbia” è autoconclusivo, ma avremo la possibilità, in futuro, di leggere altre avventure di questa coppia di agenti?
Chi lo sa? In effetti avevo scritto il libro perché restasse un one shot. I dilemmi dei due protagonisti si svelano nel finale. Fogman riacquista la sua umanità però… insomma quel mondo mi piace. Magari potrebbero uscirne dei racconti più brevi, in puro stile Black Mask.
Lei è uno scrittore professionista da quasi trent’anni: cosa le ha fatto capire che questo sarebbe stato il lavoro “giusto” per lei?
Da ragazzino. Sono sempre stato affascinato dal racconto. Ho cominciato a scrivere regolarmente a 13 anni e non ho mai smesso. Narrare, la cultura popolare in genere è il mio lavoro ma anche la mia passione e riempie tutti gli spazi della mia vita, in direzioni a volte impensate.
Scrittore, traduttore, ma anche esperto di cinema e maestro di thai boxe, kickboxing, savate e taiji: come vedi l’“evoluzione” delle arti marziali nella letteratura, ma soprattutto nei film e nelle serie televisive? Ultimamente sono proposte coreografie molto elaborate, che forse appaiono ridicole a un vero esperto: pensa che siamo davanti a un “imbarbarimento” delle arti marziali, storpiate e spettacolarizzate per essere “più adatte” al grande pubblico, o magari, al contrario, un maestro come lei nota la (ri)nascita di un interesse più genuino da parte dei media?
Purtroppo no. Ormai le arti marziali e il loro mondo sono diventate uno spettacolo, una tecnica da videogame. A me piacciono ancora moltissimo, per la cultura che hanno alle spalle, un mondo fantastico e affascinante he ho conosciuto da ragazzo e che è andato pari passo con la mia vita…e il mio lavoro.
Da “Raid a Kourou” a oggi, ha pubblicato un centinaio di opere, tra romanzi e racconti, dedicati al Professionista: a cosa è dovuto, secondo lei, il suo straordinario successo?
Non so se si possa veramente parlare di ‘straordinario’, però è innegabile che un certo riscontro c’è e ne sono orgogliossissimo. Un successo popolare, è vero, ma duraturo. Un po’ è dovuto alla continuità di scrittura, magari in una formula indovinata e portata avanti con passione. Poi sicuramente la presenza costante ha fidelizzato il lettore.
Lo spionaggio: lei è riconosciuto come un maestro del genere letterario, è un esperto di armi e, come abbiamo ricordato prima, un maestro di arti marziali…ha mai pensato di diventare davvero un agente segreto? È una domanda semiseria, ma tutti noi fan di James Bond ci abbiamo pensato almeno una volta e d’altronde lo stesso Fleming era un militare, oltre che giornalista e scrittore…
No, per la verità. Lo spionaggio avventuroso e anche quello più serio alla Le Carré che mi piace ugualmente anche se ho scelto una strada diversa, è una via per l’avventura. C’è realismo e documentazione nelle mie storie. E forse un pizzico d’identificazione tra me e il Professionista nel senso che entrambi eravamo ragazzi che sognavano l’avventura. È andata meglio a me che ogni mattina mi siedo e apro il libro della fantasia che a lui che deve ammazzare qualcuno tutti i santi giorni.
Il futuro: quando la rivedremo in libreria?
A dicembre esce il nuovo Professionista LEGIONE STRANIERA e poi dovrebbe esserci un saggio sul Cinema Bellico. E sto preparando per Dbooks.it due bei volumi. Uno è una storia delle arti del combattimento in Oriente e in Occidente e l’altro un grande romanzo di avventura pura: Kalimantan.
E infine, la letteratura, con una domanda “di rito” per noi di Thrillernord. Sicuramente, come professionista del settore, conosce il cosiddetto “thriller nordico”, ma concludiamo con una domanda “da lettore”: ha un autore preferito?
Nel settore nordico sicuramente Jo Nesbo. Lo scoprii grazie a un’amica una decina d’anni fa. Mi consigliò L’uomo di neve, da allora li ho recuperati tutti sino a Sete. Un grande esempio da leggere e studiare.
Grazie per l’intervista!
Grazie a voi
Stefano Di Marino
Mariasilvia Iovine
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