Intervista a Valerio Varesi




A tu per tu con l’autore

A cura di Salvatore Argiolas 


 

 

Ciao Valerio ti ringrazio per aver accettato di rispondere a qualche domanda in occasione dell’uscita del tuo ultimo romanzo, “Reo confesso”.

 

Il commissario Soneri è uno dei più amati e longevi detective italiani e con “Reo confesso” sono ben sedici i romanzi che lo vedono protagonista. Qual è segreto del suo successo?

“Credo che consista nel fatto di intraprendere sempre storie che, pur avendo un’ambientazione simile, trattano temi differenti. Com’è ormai noto, io uso il romanzo a indagine per sondare mondi e problemi ogni volta nuovi, dunque anche il commissario assume atteggiamenti non ripetitivi. Un lettore può cominciare a leggere le inchieste di Soneri anche dalla fine della serie. Fatto salvo che la scrittura e il personaggio cambiano di pari passo con l’autore, ogni libro è a se stante e differente rispetto agli altri”.

 

 

Soneri fa venire immediatamente venire in mente Parma. Sarebbe stato possibile ambientare i tuoi romanzi in un’altra città o Soneri e Parma sono legati indissolubilmente?

“Non credo sia possibile decontestualizzare il personaggio. Forse lo si potrebbe fare se la città fosse simile, com’è avvenuto per la serie tv ambientata a Ferrara. Ma poi Ferrara non ha gli Appennini e Soneri è legato ai suoi monti aspri e selvatici. Al massimo potrebbe trascorrere qualche giorno in trasferta per un’inchiesta che lo richiederebbe, ma poi tornerebbe sempre in preda alla nostalgia”.

 

 

Il commissario Soneri non crede molto alle prove materiali ma è molto attento all’impronta psicologica dei casi come avviene nei romanzi del commissario Maigret. Trovi azzardato questo paragone?

“No, per niente anche se Simenon è un mostro sacro della letteratura. Il paragone mi lusinga e mi schiaccia al tempo stesso. Sono stati i francesi sul Figaro a definirmi ‘il Simenon italiano’ esagerando un po’. Però è vero che Soneri è un commissario induttivo che non può prescindere dall’interpretazione psicologica dei protagonisti di una scena di delitto e dal contesto sociale in cui quest’ultimo avviene. Nelle inchieste conta molto l’intuizione psicologica e l’immedesimazione in nell’ambiente”.

 

 

La nebbia che pervade Parma nei tuoi romanzi è anche una metafora per rendere manifesta la difficoltà di comprendere in pieno i moventi e le cause dei crimini?

“La nebbia è molte cose. É la rappresentazione del mistero che è racchiuso in ogni delitto, ma è anche la proiezione dell’interiorità di Soneri, uomo sempre dubbioso e perennemente in bilico esistenziale. Da ultimo è anche qualcosa di maieutico perché, quando non vedi, devi sempre immaginare e intuire. Fors’anche creare. Non è un caso che i popoli rivieraschi sono dei grandi visionari da Guareschi a Zavattini, da Soldati a Pederiali per non parlare del Folengo e dell’Ariosto. Vedono tutti cose che gli altri non vedono”.

 

 

Franco Soneri è un cane sciolto, uno che ragiona con la sua testa e che non è succube dei superiori. Riuscirà mai a fare carriera o è destinato a rimanere sempre con lo stesso grado?

“Non farà mai carriera tipo diventare questore o prefetto. Chi la pensa con la propria testa e vive della sua intelligenza randagia non avrà mai spazio dentro gli apparati pubblici in questo Paese governato da congreghe e dal clientelismo politico. Se la pubblica amministrazione è ridotta a un macchinone inceppato, è perché si promuovono nei posti chiave, e non solo in quelli, gli incapaci legati alle consorterie. Figuriamoci poi dentro le prefetture e le questure. Ovviamente non generalizzo, ma in gran parte è così”.

 

 

Da “Invisibili”, a “Reo confesso” ho notato un incupimento del carattere del commissario che è sempre più malinconico e pensa agli anni che passano. Ciò è dovuto alla stanchezza di un mestiere che logora tantissimo o al fatto che non è più in sintonia con il mondo contemporaneo?

“Più che malinconico è incazzato. Il mondo è evoluto in una direzione che è esattamente contraria a quella che lui avrebbe voluto. L’attualità è la contraddizione dei suoi progetti giovanili e dunque non ci si ritrova. Inoltre, col passare degli anni, prende sempre più coscienza che l’umanità è irredimibile e che il male, malgrado il progresso materiale, non è in ritirata. Anzi, il mondo dominato dal capitalismo finanziario tira fuori il peggio dall’uomo”.

 

 

Hai mai pensato di far incontrare Soneri con altri investigatori famosi come per esempio Sarti Antonio, il questurino ideato da Loriano Macchiavelli o Grazia Negro creatura di Carlo Lucarelli?

“Sinceramente no. Sarti Antonio appartiene a un’altra epoca e Grazia Negro mi pare troppo distante dal tipo di indagini che fa Soneri. C’è però un commissario tutto italiano a cui vorrei che assomigliasse: don Ciccio Ingravallo di Gadda. Lo adoro”.

 

 

Il commissario Soneri è stato uno dei primi detective italiani ad avere una serie televisiva dedicata. A me è piaciuta molto e spero sempre in nuovi episodi. A te è piaciuta? E sai se la Rai ha in mente di produrre altri episodi?

“Tutto sommato sono stato fortunato. Barbareschi nei panni di Soneri è stato bravissimo e l’ambientazione ferrarese è ben riuscita, molto simile a quella parmigiana per clima e sintonia padana. Le storie sono state parecchio annacquate, ma la televisione, con l’ossessione del politicamente corretto, ormai non lascia passare nulla che sia minimamente inquietante. Sinceramente non so perché non si facciano altre serie. La Rai manda in onda le 14 puntate ormai da anni su Rai premium o Rai 4 ma non si decide a produrre altro”.

 

 

Qual è la funzione del noir nella società attuale? É quella di “impedire alle persone di dimenticare l’orrore che regna” come scrisse Derek Raymond?

“La funzione del noir è sociale, a mio parere. Il romanzo di questo tipo deve denunciare ciò che non va nel mondo di oggi. A partire da un delitto deve scoprire non solo e non tanto l’assassino, per me compito non preminente, quanto capire perché è avvenuto il delitto stesso. Da questo punto di vista, il noir è uno strumento di scandaglio sociale. Oltre a ciò, ha una funzione di supplenza. Ciò che è rimasto misterioso in quanto si è voluto che così fosse come, per fare un esempio, le stragi della strategia della tensione, può essere mostrato mediante una metafora narrativa. È la famosa affermazione di Pasolini: ‘Io so quel che è successo, non posso dimostrarlo ma mostrarlo sì attraverso un racconto mimetico dei fatti”.

Valerio Varesi


 

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