Intervista alla traduttrice CHIARA BELTRAMI




A tu per tu con la traduttrice

 

Chiara Beltrami è nata e vive a Milano. Ha studiato Scienze politiche e lavora come traduttrice freelance dal 2000. Traduce dall’inglese e, tra gli altri autori con cui ha lavorato troviamo Scott Nicholson, Mia Sheridan, M.R.C. Kasasian. Ha lavorato per Delos Digital, Triskell Edizioni, Newton Compton Editori.
Mia Sheridan è una brave autrice di rosa; lei e tante altre autrici di quel settore, sono diventate, ultimamente, il suo “pane quotidiano”.
In ambito noir/thriller/horror/storico, che è quello che predilige, sia da lettrice, sia da traduttrice, ha tradotto “Morte con carne”, in originale “Muerte con Carne” di Shane McKenzie.
E’uscito a febbraio 2017 per Independent Legions Publishing, una casa editrice specializzata nel settore, che edita sia in lingua italiana sia in originale.

 


Salve Chiara, è davvero un piacere poterla intervistare! Man mano che conosciamo i traduttori, ci rendiamo conto, infatti, di quanti mondi vivono e … possono raccontarci!


Partiamo da una domanda classica… come è diventata traduttrice? Quando ha capito che questa poteva essere la sua strada? È ciò che voleva fare da grande?

Credo di essere sempre stata traduttrice “visceralmente”. Ho frequentato una scuola per il turismo, prima della laurea. Saper tradurre faceva parte delle attitudini richieste a un bravo operatore del settore (detto tra noi, traducevo e predisponevo programmi di viaggio, dall’italiano all’inglese, cosa che di prassi non si fa in ambito professionale). In seguito ho parallelamente lavorato full time e studiato scienze politiche, che nel corso degli anni ho rivalutato molto come facoltà per la buona preparazione che offre dando un quadro d’insieme abbastanza esaustivo della realtà in cui viviamo. La strada di traduttrice in senso stretto l’ho intrapresa parecchi anni dopo. Prima come traduttrice tecnica (in ambito soprattutto turistico e pubblicitario) e poi come traduttrice editoriale sfruttando la passione che ho da sempre per la scrittura. Da grande avrei voluto fare il medico, sono sincera, però sono felice di essere riuscita a coniugare l’amore per la scrittura/lettura con lo studio delle lingue che amo follemente (vorrei tanto studiare l’islandese, una lingua che è cambiata pochissimo dallo sbarco dei primi esploratori).

 

È difficile essere un traduttore dall’inglese in Italia, oggi? O si riesce a trovare un po’ di soddisfazione? Lei traduce sia per editori indipendenti che per case editrici più blasonate. ‘Dove’ si sente più a suo agio?

È difficile essere un traduttore. Da qualsiasi lingua. È troppo spesso vista come un “hobby” e non una professione vera. Eppure, nel corso della vita, quanti libri prendiamo in mano che non saremmo in grado di leggere senza l’opera paziente di un traduttore? Non parlo solo di narrativa o di saggistica, ma anche dei più “abbordabili” (da una fetta più ampia di pubblico, intendo!) manuali di cucina, piuttosto che di bricolage, giardinaggio o simili. Andrebbe “rivalutata/scoperta” come professione, e apprezzata come tale. La soddisfazione c’è sempre però. Quando si mette il punto alla fine di una traduzione è come lasciare andare un figlio per il mondo. Lo si segue sempre (spulcio costantemente Amazon, per quello!) con un sorriso. Mi sento a mio agio sempre quando riesco a lavorare bene e con fiducia reciproca da una parte e dall’altra. Non importa la dimensione di una casa editrice, anche se quelle più blasonate arricchiscono il CV, inutile negarlo. Ciò che conta è il lavoro costante di rifinitura di un testo in tandem traduttore/revisore/CE. L’importante è “sfornare” un buon prodotto. Il più curato possibile. Il lettore ha diritto di avere per le mani un testo il più fedele possibile all’originale. Non importa il genere, quello che conta è un testo gradevole e piacevole da leggere.

 

Ha lavorato molto in coppia: come si organizza un lavoro di traduzione in due?
Questa è una domanda che andrebbe posta al PM di una CE. Lavoro spesso in tandem, e una volta eravamo anche in tre, ma non ho avuto alcun contatto coi colleghi.

 

Se non sbaglio, ha scritto anche un racconto… si tratta di un episodio isolato o ha una passione per la scrittura?
Ho scritto parecchi racconti e sono, credo, tutti o quasi rinvenibili in rete. Sono stati pubblicati da riviste letterarie, quando ancora il digitale non esisteva, e poi anche su riviste online. Ho sempre amato scrivere. Ma prima ancora amo leggere. Non si scrive senza l’esperienza di chi è venuto prima di noi. Tutti gli autori che ho letto mi hanno dato qualcosa che mi ha ispirato, una volta che il foglio bianco in passato, o la pagina di Windows oggi, erano davanti a me. Spero di riuscire a scrivere ancora in futuro!

 

Ha dei traduttori di riferimento, un mentore, qualche fonte di ispirazione per il suo lavoro?
Leggendo molto, e tanti stranieri, giocoforza mi sono trovata ad apprezzare il lavoro di tanti colleghi che hanno intrapreso questa strada prima di me. Dovendone citare uno, però, non posso non fare il nome di Gian Paolo Gasperi (sono certa che chi ama “Star Wars” sa di chi sto parlando!), che conosco personalmente e col quale ho un rapporto di reciproca stima. È stato ed è il mio “mito” come traduttore. Quello che mi ha fatto desiderare di “buttarmi” nell’impresa di traduttore editoriale. “La biblioteca dei morti” e “Il libro delle anime” di Glenn Cooper, tradotti da lui, li conservo ancora oggi

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Ha tradotto molti libri di Scott Nicholson, importante autore di genere horror… le piace il genere, o… è capitato? In generale, in quali generi si ritrova di più?
Il genere horror è tra i miei preferiti. Sapevo che Scott Nicholson cercava traduttori per far conoscere i suoi romanzi anche oltreoceano e mi sono proposta direttamente all’autore. Da lì è nata una collaborazione proficua che ha consentito a entrambi di farsi conoscere. Amo soprattutto i thriller e i romanzi storici. Le trame intricate con agganci storici verificabili. Concreti. Un bel thriller medievale o rinascimentale magari?

 

Qual è il suo rapporto con i libri, al di là del lavoro di traduzione? Cosa legge? Conosce il mondo ‘nordico’?
Quando “stacco” con la traduzione, amo moltissimo leggere. Non ho la responsabilità del dover rendere il testo in un bell’italiano e posso finalmente rilassarmi. Leggo thriller, non ho autori preferiti, mi lascio guidare dall’istinto, ma soprattutto, negli ultimi anni, romanzi storici di autori italiani (Danila Comastri Montanari, Alfredo Colitto, Alessandro Barbero). Il mondo “nordico”, Stieg Larsson a parte, lo conosco poco. Però l’ultimo romanzo che ho letto è dello svedese Lars Bill Lundholm.

 

E, invece, il suo rapporto con i social? (Le faccio questa domanda perché è una delle poche traduttrici che ha una pagina facebook…)
Ho un account su Facebook e uno su Twitter, ma uso il primo per chiacchierare e il secondo… quasi mai. Più che altro per curiosare. Non sono troppo informatizzata, se non per quello che devo essere, per via del lavoro.

 

Una curiosità: quando traduce, lavora con il formato digitale o con quello cartaceo? Ha bisogno di silenzio o lavora, che ne so, in cucina con la famiglia intorno, il cane sulle ginocchia… 
Lavoro ancora con leggìo e fogli a fianco del pc. Sono molto vecchio stile. Prima o poi dovrò pensare a un altro video a lato del pc principale. Se non altro per leggere meglio, sono miope! Lavoro quasi sempre in silenzio. Il leggero sottofondo musicale me lo godo in fase di revisione della traduzione. O quando mia figlia lavora da casa anche lei e mi bombarda con l’heavy metal!

 

A cosa sta lavorando? Ha qualche chicca per noi di thrillernod?
Qualche bel thriller che lei ha letto in lingua originale e che vorrebbe consigliarci?

Sto traducendo un “rosa” che affonda decisamente nella cultura e nella vita americana. Profumi, colori, sapori. A breve forse lavorerò su un altro horror. Spero di poter continuare a occuparmi di traduzione, magari con una svolta decisa verso i thriller e i romanzi storici. O anche con generi più di stretta attualità, come la politica e l’economia. Il primo amore non si scorda mai, no? Come thriller in lingua originale, be’, che dire, un classico. Magari un po’ datato, considerato che è del ’66, ma è imperdibile: In Cold Blood di Truman Capote.

Chiara Beltrami

A cura di Maria Sole Bramanti