Recensione di Giusy Giulianini
Autore: Giada Trebeschi
Editore: Oakmond Publishing
Genere: Giallo storico
Pagine: 267
Data di pubblicazione: 2020 (aprile)
Sinossi. Nero. Il colore della fuliggine londinese, del mistero, del retroscena di quello che è la grande, imponente e maestosa facciata vittoriana. In questa oscurità continua, in questa Londra di fine Ottocento in cui Jack lo Squartatore può agire indisturbato, si muovono personaggi che si mostrano solo nel momento in cui un accidentale fascio di luce li rivela per poi tornare, come a teatro, a nascondersi di nuovo nel buio più profondo. Nel tentativo di far diradare le tenebre, Scotland Yard chiede in segreto allo scozzese Duncan Primerose d’infiltrarsi nella compagnia che sta mettendo in scena l’Othello poiché si sospetta che l’attore principale, Jack Hutchinson, la stella che tutti adorano, sia proprio il feroce assassino che uccide le prostitute a Whitechapel. Duncan accetta l’incarico e, vestendo i panni di uno dei dieci membri della compagnia, si rende presto conto che ognuno di loro, oltre a odiare profondamente Hutchinson, nasconde segreti inconfessabili. Che Hutchinson sia davvero un mostro? O che siano le voci messe in giro su di lui a farlo credere tale? In una discesa agli inferi ancora più nera di quella de Il vampiro di Venezia l’autrice conduce il lettore in un viaggio claustrofobico che si muove lungo i cunicoli più nascosti e impervi dell’animo umano creando un giallo della camera chiusa il cui fine ultimo non è solo la risoluzione del caso.
Recensione
Due figure evergreen campeggiano sullo sfondo denso di contrasti della Londra vittoriana, ai lati opposti della linea sottile che divide bene e male: Sherlock Holmes e Jack lo Squartatore. E non importa se l’uno è scaturito dall’immaginazione fervida di Arthur Conan Doyle e l’altro invece incarna, nel reale, l’incubo peggiore che mente umana possa concepire. Simboli, lo sono entrambi, di aspetti antitetici eppure conviventi nel loro tempo: Sherlock Holmes è l’affermazione positivista, che celebra il nuovo e assoluto trionfo della ragione; Jack lo Squartatore la vittoria incoercibile dell’istinto sull’intelletto. È la bestia che prevale sull’uomo, il carnefice e la vittima di una società moralista e ipocrita, che cela vizi infami sotto virtuose apparenze.
Vivi più che mai, entrambi nella fascinazione che inducono in autori e lettori, un sortilegio quasi che perdura ai nostri giorni, cui non si sottrae nemmeno Giada Trebeschi nel suo più recente La bestia a due schiene, convincente giallo storico che restituisce intera l’oscurità di quella Londra vittoriana. Dopo illustri colleghi quali Marie Belloc Lowndes, Ellery Queen, Robert Block e più di recente Isabel Allende, anche Trebeschi cede alla suggestione di Jack lo Squartatore, primo e forse più celebre assassino seriale nella storia della scienza criminologica, all’epoca nata da appena un decennio. Un mistero tuttora insoluto quello della sua identità, cui l’autrice regala una possibilità del tutto inedita immaginando che il turpe omicida si celi sotto le attraenti vesti di un primo attore, Jack Hutchinson, idolo delle folle londinesi appassionate di teatro.
È l’8 settembre 1888 a Londra, una settimana appena dal primo omicidio del mostro che nell’East End, a Whitechapel, ha strangolato e orrendamente mutilato una prostituta non più nel fiore degli anni, Mary Ann Nichols, ed è il giorno del secondo omicidio, quello di Annie Chapman, prostituta anch’essa, di età similare.
La polizia brancola nel buio, nessuna provache possa condurre all’assassino, nessuna testimonianza oculare, forse più di un dubbio verso quel primo attore, vagheggiato dal pubblico femminile, inviso ai colleghi, da sempre chiacchierato per presunti atti di violenza e stupro ai danni di giovani alto-borghesi. Scotland Yard, la mitica divisione H, non può permettere che l’East End, dove si concentrano i divertimenti leciti e illeciti dell’aristocrazia, diventi inagibile per la presenza terrorizzante del mostro e chiama a collaborare il nobile scozzese Duncan Primrose che divide nome e nazionalità con il re del Macbeth shakespeariano, il primo dei tanti ammiccamenti che l’autrice indirizza al Bardo.
Primrose è acuto osservatore anche di espressioni involontarie egià in passato è corso in aiuto dell’amico Sir Melville Mcnaghten, a sua volta influente consigliere dello Yard. Al Lord scozzese è chiesto di infiltrarsi nella compagnia di Eliott Beckett – un altro omaggio, questa volta al drammaturgo Thomas Stearns Eliot e a Thomas Becket, arcivescovo di Canterbury, il cui omicidio è al centro del suo Assassinio nella cattedrale –, il capocomico che all’Haymarket Theatre sta selezionando gli attori per il suo allestimento di Othello. La prestanza e la facilità di eloquio dello scozzese rendonoplausibile la sua candidatura, subito appoggiata dai finanziatori della rappresentazione, Lord Charles Manners e Lady Annabel, la moglie. Chioma fiammeggiante e bellezza tentatrice, Annabel è da sempre il grande amore di Duncan, legata a lui, fin dalla comune giovinezza in terra scozzese, da una passione travolgente contro la quale il matrimonio di convenienza di lei nulla ha potuto.
I luoghi di Jack lo Squartatore
Primrose dunque accetta di buon grado l’incarico anche per poterla frequentare più da vicino e si insinua con destrezza e acume investigativo in una compagnia dove tutti hanno segreti da nascondere e animosità malcelate. Le prove del dramma procedono sotto lo sguardo puntiglioso e brillante del capocomico, mentre la fine dell’estate cede il passo a un autunno nebbioso e Londra trema per i nuovi omicidi di Jack lo Squartatore che la stringe in un assedio nefando.
La bestia a due schiene è un ineccepibile giallo storico nel quale Trebeschi si muove con l’attendibilità documentale conferitale da un dottorato in Storia e dieci anni come storico professionista e con la fluente disinvoltura di scrittrice con al suo attivo sette romanzi, e altrettanti successi. La narrazione degli omicidi di Jack lo Squartatore, che si apprezza quale frutto puntuale della consultazione diretta dei documenti investigativi ufficiali, s’intreccia con naturale fluidità alle vicende di fantasia e dà vita a un affresco oscuro e potente dove Londra, il palcoscenico dell’Haymarket Theatre e i membri stessi della compagnia, da rari bagliori di luce finiscono per sprofondare tra ombre sempre più dense.
La bestia a due schiene – ah, Iago, quel “mostro dagli occhi verdi” – è il romanzo dell’oscurità: di una inconfessabile brama di sangue che trova unico sollievo nel buio della ragione; di “una catena pesante e nera come il dolore mai sopito” che sgorga dall’amore negato; di una città nera di fuliggine e di perversioni, che, a dispetto delle conquiste industriali e scientifiche, nasconde un cuore di tenebra, un nucleo pulsante di vizi che nulla nega a chi può pagarlo, assoggettando a un uso osceno perfino le meraviglie tecnologiche come la fotografia.
È soprattutto l’oscurità di uomini in cui prevale la pulsione di morte, direi di un gusto per la morte, non solo nel mostro ma in chi viola donne e bambini per soddisfare i propri istinti, inchi si vergogna dei propri congiunti insani di mente e li rinchiude al Bethlem Hospital, il manicomio degli orrori, in chi li tortura in nome del progresso scientifico, quasi non fossero esseri umani ma cavie sacrificabili, in chi a pagamento espone i deformi e ne fa spettacolo per i palati forti.
La bestia a due schiene, però, è anche un mistero intrigante e un ben oliato congegno deduttivo che obbedisce ai canoni classici del giallo e trascina il lettore verso un brillante finale, che non delude.
I personaggi sono ritratti a forti tinte, membri di una compagnia in cui ognuno dà corpo a un vizio capitale, nessuno escluso, neppure Duncan Primrose: Lady Annabel Manners, riuscita incarnazione di angelo salvifico e diavolo tentatore secondo gli stilemi femminili dei Preraffaeliti richiamati nella sua chioma fulva, la medesima di Elizabeth Siddal che fu musa del caposcuola Dante Gabriel Rossetti; Jack Hutchinson, bello di una bellezza corrotta e volgare, un ammaliante Othello, che quando recita si trasforma e pare che “le parole gli fluiscano dalle labbra come sgorgando dalla sorgente stessa della poesia”; John Worthing, Iago, il suo deuteragonista in scena e nella vita, “dall’aura rara e carismatica”; Angie Westerna, Desdemona, dai nervi fragili e dal profumo di rosa, la cui voce cristallina sembral’avverarsi di un sogno per il capocomico Beckett; Alfred Doug, suo fratello, che presta a Cassio la sua avvenenza “un po’ dandy”. Non perda, il lettore, il piacere di soffermarsi sui nomi scelti da Trebeschi per i suoi personaggi, nessuno casuale, frutto anzi di un richiamo spesso letterario e di un gioco ammiccante proposto a chi legge. Di qualcuno ho già detto, ma rifletta il lettore su quel John che è toccato a Worthing, Jack nell’uso informale, che invece spetta a Hutchinson ed è dello Squartatore. Sarà casuale?
Pagine di autentica bravura sono frequenti nel romanzo, non posso segnalarle tutte, ma di un paio di brani vorrei fare cenno, emblematici entrambi, seppure di diverso colore.
Il primo descrive la seduta spiritica a casa della medium Lowe, non a caso prossima al cimitero maledetto di Highgate, in una Londra scossa da brividi di insopprimibile interesse per l’occultismo, al quale peraltro non si sottrae neppure la regina Vittoria. In un’epoca che rappresenta il trionfo dell’ingegno umano per le scoperte industriali e tecnologiche, la capitale è infatti spaccata in un inconciliabile dualismo di prosperità e bassezze, smaltata di raziocinio e percorsa da fermenti di irrazionalità. La mente e l’anima sono ancora un mistero, Freud getterà le basi della psicanalisi solo nell’ultimo quinquennio del secolo, ma in molti vogliono credere che la vita duri oltre la morte, anzi che sia possibile comunicare con i defunti. Veicolo per questo colloquio ultraterreno sono i medium, quelli davvero esistiti come Allan Kardec, Helena Blavatsky, Maria Hayden, e quelli di fantasia come appunto la Harriet Lowe della Trebeschi, frutto della sua penna ma non per questo meno convincente e d’impatto, visto che “l’impressione che dava era quella di uno spirito già intrappolato sotto il tessuto, un’entità che non aspettava altro d’essere richiamata dall’aldilà per manifestarsi”.
Il secondo brano concerne la fascinazione del teatro e non è solo un passo ma un afflatounitario che pervade tutta la narrazione, il che non sorprende visto che Trebeschi è lei stessainterprete e autrice di pièces teatrali. Il teatro è finzione ed è anche magia, è “il sogno finale”, quell’attimo incantato sospeso “tra il nulla e il silenzio” nel quale l’arte drammatica realizza il suo scopo primario, di “reggere lo specchio della natura”. E a quel “pallido riflesso” del vero lo spettatore crede con tutto se stesso.
C’è tanto teatro ne La bestia a due schiene, quello di Shakespeare soprattutto, e non solo nell’ovvio allestimento di Othello che si prepara all’Haymarket Theatre e che è scheletro portante della storia, ma negli infiniti echi dei versi immortali di Amleto, Giulio Cesare, Macbeth, Misura per misura, rimasti imprigionati nella penna dell’autrice, profonda espertadi poesia elisabettiana. Non pedanti citazioni, ma impressioni indelebili che trasmette al lettore.
E teatrale è anche la costruzione del finale, presunti colpevoli racchiusi nell’ambito ristretto degli attori che mettono in scena la prima di Othello, un finale christiensiano direi, per un doppio motivo che non posso svelare perché sciuperei altrimenti la sorpresa dello scioglimento.
E non era forse Agatha Christie, la grande dame Agatha, la più teatrale degli autori della Golden age?
Non solo per i congegni perfetti, lo svelamento ineccepibile e ricco di coup de théâtre, ma per essere lei stessa un’abile sceneggiatrice dei suoi romanzi.
Giada Trebeschi
Giada Trebeschi è autrice di bestseller storici, thriller, romanzi, racconti brevi, saggi, sceneggiature e pièces teatrali. Due lauree, un dottorato in Storia, ha lavorato all’università come storico di professione per quasi dieci anni. In seguito, ha deciso di dedicarsi principalmente alla scrittura e alla ricerca. Continua i contatti con il mondo accademico ed è invited lecturer in varie Università fra cui Liverpool, Catania e Urbino in cui si occupa principalmente di Storia. È inserita nell’anagrafe degli storici italiani per la Storia Moderna. Parla cinque lingue ed è interprete simultaneo per alcuni noti autori internazionali come Tim Willocks, Petros Markaris, Clemens Mayer, Alex Connor, Daniel Cole, K & K, Wulf Dorn e altri. Ha pubblicato finora sette romanzi, alcuni racconti e due saggi. Ha vissuto a lungo in Svizzera, in Spagna e attualmente vive e lavora in Germania.
QUALCHE NOTA IN PIÙ:
Luoghi: Londra: St Paul’s, Haymarket Theatre, East End, Whitechapel, Cimitero di Highgate, London Hospital, Royal Bethlem Hospital, Battersea Fields
Drammaturghi:William Shakespeare, Thomas Stearns Eliot, Oscar Wilde
Narratori:Robert Louis Stevenson, Sir Walter Scott, Charles Baudelaire, Mary Ann Evans (George Eliot), Charles Dickens, Thomas Hardy, Arthur Conan Doyle, Oscar Wilde, Charlotte Brontë
Poeti:William Shakespeare, Samuel Taylor Coleridge, Charles Baudelaire
Altri libri: Gli Ezzelino. Signori della Guerra (Firenze Libri, 2005); La Dama Rossa, (Mondadori, 2012; con Oakmond Publishing, Il vampiro di Venezia (2017), L’autista di Dio (2018),L’amante del diavolo (2019), Undici passi (2019) e La bestia a due schiene (2020). Sempre con la medesima casa editrice, ha dato alle stampe il racconto La punta di fuoco (in Racconti Oakmond, Vol.1) e i saggi Essere o non essere Shakespeare (2017) e In principio era Caos(2018).
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