Recensione di Manuela Fontenova
Autore: Diego Lama
Editore: Mondadori
Pagine: 228
Genere: Thriller
Anno Pubblicazione: 2015
“La scienza non c’entra con la polizia. Non c’entrerà mai. Dobbiamo cavarcela da soli”.
Insolito trovare un’affermazione del genere in un romanzo giallo, ma se vi dicessi che a pronunciarla è stato un commissario di polizia nel lontano 1884?
Tutto ha più senso.
Napoli, settembre 1884, la città è funestata da un’epidemia di colera, i contagiati aumentano di ora in ora, l’aria è irrespirabile ed il commissario Veneruso sta indagando su un caso molto difficile ma soprattutto molto delicato.
I corpi di cinque ragazzine sono stati rinvenuti sulla spiaggia delle Tre Corone, la corrente le ha restituite in pessimo stato. Difficile identificarle, anche se servirebbe a poco dato che nessuno ne ha denunciato la scomparsa.
Da dove iniziare dunque?
Non c’è un nome, un indizi, si brancola nel buio.
Il commissario sa che è questione di giorni, forse ore, e ne troveranno altre.
Al commissariato di polizia giudiziaria di Piazza Dante, tutti si arrovellano nel vano tentativo di scovare un’informazione utile, che finalmente arriva da una suora, venuta per la scomparsa di una ragazza dell’orfanotrofio di cui è direttrice.
Uno spiraglio di luce per le indagini che trovano finalmente la giusta direzione: tutte le vittime provenivano dallo stesso orfanotrofio, istituzione annessa ad un convento di clausura.
Ma chi le ha uccise?
Come è stato possibile farle uscire dal convento?
Perché i loro corpi sono completamente deteriorati e mangiati dai topi, se sulla spiaggia di topi non ve ne è traccia?
Forse è proprio tra quelle mura che si nasconde la verità e Veneruso avrà un bel lavoro da fare: realtà chiuse e inaccessibili, secoli di ipocrisie e infamie da contrastare.
Grazie ad un altro caso di morte sospetta, che fornisce uno spunto di riflessione al commissario, verrà fatta luce e giustizia anche stavolta, anche senza nessun ausilio scientifico.
Immaginate come potrebbe essere svolta un’indagine in quel periodo: nessuna precauzione sulla scena del crimine, poliziotti che raccolgono le armi con le mani, tanto le impronte mica si potevano rilevare!
“Ma è esistito anche Sherlock Holmes!” direte voi.
Eh già, rispondo io.
Ma qui siamo a Napoli, mica a Londra!
Qui durante le indagini si mangia una pizza fritta, si pensa che la scienza potrebbe aiutare la polizia “nel paese dei sogni”, si mangia una zuppa di polpo con le blatte che corrono sotto il tavolino.
Veneruso “non era un investigatore raffinato: i casi li risolveva sempre sul posto, parlando con la gente, ascoltando, osservando, stuzzicando, studiandone i movimenti, interpretando gli sguardi, le esitazioni, i turbamenti, la rabbia e smascherando tutte le bugie”.
I suoi mezzi sono questi, la sua arma è il suo “istinto rozzo” grazie al quale riesce sempre a risolvere i casi che gli si presentano.
Credo che risieda qui la forza di questo romanzo: l’autore ha tessuto una trama fitta e intricata, non avendo a disposizione quasi nessuno degli elementi base di un romanzo poliziesco e riuscendo a mantenere comunque la suspance altissima dall’inizio alla fine, senza essere mai prevedibile o banale, anzi lasciando aperte più ipotesi, tanto che per il lettore è impossibile giungere ad una conclusione.
La storia è resa ancora più credibile dalla presenza di fatti realmente accaduti: l’epidemia di colera, la visita del re, la consuetudine della Ruota degli Esposti. Ogni capitolo si apre con la data del nuovo giorno e il numero dei morti per il colera, che in un paio di settimane circa, il tempo di azione del romanzo, raggiunge picchi sconfortanti.
Il personaggio principale, il commissario Veneruso, è una figura misteriosa, mostra il suo lato burbero, scontroso e amareggiato ma in realtà è un uomo con una grande umanità e rispetto per la vita. Un poliziotto che non piega la testa quando gli si chiede di infangare un crimine, che non ha paura di entrare in un convento e mettere “sotto torchio “ una suora e che, probabilmente non ragiona come un uomo della sua epoca, io l’ho trovato molto moderno, considerando i temi trattati nelle indagini.
Lo sfondo è quello di una città provata dalla morte e dalla malattia, ma sempre viva e chiassosa, con “chiavettieri, arriffatori, franfelliccari” che gesticolano tra la folla in mezzo ai venditori, alle donne che camminano portandosi sulla testa vasi di terracotta, ai bambini che corrono, alla vita che in qualche modo non può fermarsi.
Ma se la storia insegna che dalla storia non si impara mai, che la giustizia non è uguale per tutti, che “non tutti gli omicidi avevano lo stesso peso, e non tutti i delitti erano delitti: c’erano quelli dei signori e quelli dei pezzenti”, la morte invece non fa distinzione, manda uno dei suoi tanti emissari, il colera in questo caso, e prende chi c’è, non importa che sia un signore o un pezzente.
Bello questo romanzo di Diego Lama, bello davvero.
Diego Lama
è nato a Napoli e fa l’architetto. E’ autore di libri di architettura e di racconti e vignette pubblicati in riviste e in antologie. Dal 2012 è socio fondatore dell’associazione Made in Earth, onlus che realizza progetti umanitari nei paesi in via di sviluppo. Già pubblicate sul Giallo Mondadori altre indagini del commissario Veneruso: “Le sorelle Corcione”, “L’impiccata” e “La signora Silvana”. Nel 2015 ha vinto il premio Gran Giallo Città di Cattolica con il racconto “Tre cose”. A novembre 2016 è uscito il secondo capitolo della serie di Veneruso “Sceneggiata di morte”.
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