Recensione di Giovanni Ballarin
Autore: Alessandro Varaldo
Editore: Oltre edizioni
Genere: Giallo
Pagine: 374
Anno di pubblicazione: 2019
Sinossi. La gatta persiana, è il terzo romanzo di una lunga sequenza di titoli che l’autore ligure pubblicherà con grande successo tra le due guerre, anch’esso uscito per i “Gialli Mondadori” nel 1933. I personaggi principali della vicenda, oltre al commendator Bonichi e al detective Arrighi, sono sicuramente la gatta persiana, appartenuta alla prima vittima, e l’arma usata per l’omicidio: una “misericordia”. Anche in questo, come in tutti i romanzi di Varaldo, i colpi di scena hanno molto di teatrale, considerando il suo mestiere di commediografo di tale levatura da prendere il posto di Silvio D’Amico nella direzione dell’Accademia d’Arte Drammatica nel 1943.
Recensione
La gatta persiana di Alessandro Varaldo, pubblicato originariamente nel 1933, fa parte di un progetto di recupero e riedizione di alcuni classici della letteratura di suspense portato avanti da Oltre Edizioni per la collana “I Gialli Oltre”.
Con questo romanzo, facciamo un salto nel passato e ritorniamo in una Roma dei primi anni trenta per seguire un inconsueto caso d’omicidio, che viene scoperto grazie alla gatta del titolo. Miagolando, infatti, l’animale, attirerà sulla scena del crimine il detective privato Gino Arrighi, che troverà per caso la vittima, ovvero il “sor” Aronne Caprarola, un noto usuraio della capitale. Trovatosi coinvolto nella vicenda, Arrighi avrà modo di assistere l’incaricato ufficiale dell’indagine, ovvero il questore Ascanio Bonichi, chiamato da Milano a risolvere il mistero.
Varaldo è considerato il “padre” del giallo italiano, poiché, su incarico del Duce, venne scelto da Arnoldo Mondadori come rappresentante degli autori italiani da affiancare ai grandi giallisti stranieri. Così, nel 1931, la collana dei “Gialli” della nota casa editrice ospitò Il sette bello, prima avventura di Ascanio Bonichi, a cui seguì (grazie anche a un grande successo di pubblico) Scarpette rosse, che ha gli stessi protagonisti. La gatta persiana è dunque la terza inchiesta di cui si occupa la coppia di investigatori e per arrivare alla verità, i due dovranno affrontare una vicenda complicata, ricca di colpi di scena e di tantissimi indiziati.
Queste caratteristiche, forse peculiari per chi è abituato ai gialli più “classici” e in un certo senso più “lineari”, sono la cifra stilistica dell’autore e provengono dritte dalla sua formazione e dalla sua esperienza come autore teatrale. Dunque, grazie ai numerosi inquilini del palazzo in cui avviene l’omicidio, abbiamo una vera e propria girandola di personaggi diversi che ruotano attorno alla morte del Caprarola: ciascuno di essi ha caratteristiche ben precise e gioca un ruolo a suo modo importante nella vicenda. L’andamento stesso dei fatti, poi, procede come una vera e propria opera teatrale, in cui vengono sapientemente gestiti suspense, rivolgimenti e imprevisti.
Questo romanzo risulta una lettura assai piacevole, poiché l’autore utilizza uno stile ironico (quando serve) e generalmente molto gradevole, che affianca l’indagine più “seria” a descrizioni e digressioni vivaci e più “leggere” (molto volentieri indugia, per esempio, sul fascino di alcune sue protagoniste). Singolare risulta inoltre l’uso della lingua, che sfrutta l’ambientazione romana per sfoggiare un bellissimo repertorio romanesco pieno di “ammappalo”, “te possino”, “sti burini”, “core” e “sor Ascanio”, a cui fanno da contralto tante citazioni dotte ed espressioni letterarie financo desuete come “susurro” o “capegli”.
L’impressione complessiva perciò è quella di una storia avvincente e movimentata (sia dal punto di vista stilistico, sia dal punto di vista narrativo), in cui Alessandro Varaldo dimostra di essere assai abile nel gestire un’architettura piuttosto articolata di attori e situazioni tenendo al contempo i suoi lettori incollati alla pagina fino allo scioglimento della matassa. In conclusione, trovo che si tratti di un autore da scoprire (anche solo per la curiosità di capire quali sono le radici di quello che potremmo definire “giallo all’italiana”), oppure (per chi lo conosce già) da riscoprire assolutamente.
Alessandro Varaldo
Alessandro Varaldo (Ventimiglia, 25 gennaio 1873 – Roma, 18 febbraio 1953) è stato un giornalista, scrittore e drammaturgo italiano. Esordì nel 1898 con La principessa lontana, cui seguì una sterminata e varia produzione sempre accompagnata dall’attività su importanti giornali quali “la Gazzetta del Popolo” e “Il Caffaro”. Scrisse commedie, tra cui L’altalena (1910), romanzi e novelle come La grande passione (1920), L’ultimo peccato (1920), La troppo bella (1939) ed anche opere biografiche. Fu presidente della Società italiana degli Autori ed Editori dal 1920 al 1928 e direttore dell’Accademia d’arte drammatica di Milano dal 1943, succedendo a Silvio D’Amico. Dopo che, con Il sette bello, era stato il primo autore italiano accolto nella collana “Libri gialli” della Mondadori, Varaldo si specializzò in romanzi gialli; a differenza di Augusto De Angelis egli seppe conciliare il genere tradizionalmente anglosassone del giallo con i valori dell’etica fascista, risultando così particolarmente apprezzato dal regime. Tuttavia, come nota Loris Rambelli, i suoi intrecci finiscono per privilegiare la casualità avventurosa (da cui spesso dipende anche lo scioglimento dell’enigma) a scapito della razionalità che sta alla base della detection classica.
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