Recensione di Marina Morassut
Autore: Teresa Ciabatti
Editore: Mondadori
Pagine: 218
Genere: Narrativa
Anno di pubblicazione: 2017
Sinossi. “Mi chiamo Teresa Ciabatti, ho quattro anni, e sono la figlia, la gioia, l’orgoglio, l’amore del Professore.” Il Professore – un inchino in segno di gratitudine e rispetto – è Lorenzo Ciabatti, primario dell’ospedale di Orbetello. Lo è diventato presto, dopo un tirocinio in America, rinunciando a incarichi più prestigiosi, perché è pieno di talento ma modesto, un benefattore, qualcuno dice, un santo. Tutti lo amano, tutti lo temono, e Teresa è la sua figlia adorata. È lei la bambina speciale che fa il bagno nella smisurata piscina della villa al Pozzarello, che costruisce un castello d’oro per le sue Barbie coi 23 lingotti trovati in uno dei cassetti del padre. Teresa: l’unica a cui il Professore consente di indossare l’anello con lo zaffiro da cui non si separa mai. L’anello dell’Università Americana, dice lui. L’anello del potere, bisbigliano alcuni – medici, infermieri e gente del paese: il Professore è un uomo potente. Teresa che dall’infanzia scivola nell’adolescenza, e si rende conto che la benevolenza che il mondo le riserva è un effetto collaterale del servilismo nei confronti del padre. La bambina bella e coccolata è diventata una ragazzina fiera e arrogante, indisponente e disarmante. Ingrassa, piange, è irascibile, manipolatrice, è totalmente impreparata alla vita. Chi è Lorenzo Ciabatti? Il medico benefattore che ama i poveri o un uomo calcolatore, violento? Un potente che forse ha avuto un ruolo in alcuni degli eventi più bui della storia recente? Ormai adulta, Teresa decide di scoprirlo, e si ritrova immersa nel liquido amniotico dolce e velenoso che la sua infanzia è stata: domande mai fatte, risposte evasive. Tutto, nei racconti famigliari, è riadattato, trasformato. E questa stessa contrarietà della verità a mostrare un solo volto Teresa la ritrova quando si mette a scrivere, ossessivamente prova a capire, ad aggrapparsi a un bandolo e risalire alle risposte. Esagerazione, mitomania, oppure semplici constatazioni? Con una scrittura densa, nervosa, lacerante, che affonda nella materia incandescente del vissuto e la restituisce con autenticità illuminandone gli aspetti più ambigui, Teresa Ciabatti ricostruisce la storia di una famiglia e, con essa, le vicende di un’intera epoca. Un’autofiction sincera, feroce, perturbante, che nasce dall’urgenza di fare i conti con un’infanzia felice bruscamente interrotta.
RECENSIONE:
“Mi chiamo Teresa Ciabatti, ho quarantaquattro anni e non trovo pace. Voglio scoprire perché sono questo tipo di adulto, deve esserci un’origine, ricordo, collego. Deve essere successo qualcosa. Qualcuno mi ha fatto del male. Ricordo, collego, … “
Come si fa, arrivati a quarant’anni, a scrivere un memoir e renderlo interessante, tanto che le persone si sentano così incuriosite da voler sbirciare nella vita di un’altra persona?
Talmente interessante da rientrare nella lista dei finalisti del Premio Strega 2017?
Lo sa bene Teresa Ciabatti che ha scritto un’opera, non si sa quanto biografia reale e quanto opera di finzione, che ha portato i lettori ad amare oppure ad odiare intensamente la sua creatura. In realtà, ad amare ed al contempo odiare questi suoi ricordi, perché così particolari, inconsueti ed al di fuori di una vita normale, che destabilizzano e rendono difficile un’accettazione serena da parte del lettore, che non può che cavalcare l’onda dei suoi scritti, lasciandosi sballottare ora da una parte ora dall’altra, ora capendo e giustificando le emozioni che ci vengono narrate, ora rifiutando certi particolari autobiografici, tanto intensi, megalomani ed insensati sono.
In attesa di una chiusura definitiva, che non arriverà mai.
Entriamo nell’impero – immaginario? – di Orbetello, regno del Professore, il padre di Teresa, stimato medico e primario del paese, uomo forse colluso con la mafia…
Teresa ci racconta tutto o quasi tutto quanto si ricorda o sa del padre e della famiglia paterna. Così come ci racconta della madre e della famiglia di provenienza. Madre che da classico stereotipo, ma reale situazione dell’Italia di quei decenni (dagli anni Sessanta in poi), abbandona la carriera per seguire il marito, la casa ed i figli.
Capitoli brevi ed urgenti, che fanno il verso alla sintassi usata. Soggetto, verbo, predicato.
Non mancano citazioni di incontri del padre con personaggi famosi dell’epoca: Rachel Welch, Marilyn, così come il Professor Veronesi, Licio Gelli ed altri personaggi fumosi e/o negativi dell’Italia degli anni d’oro, ma al contempo uno dei periodi storici più oscuri della ns storia, qui sempre e solo accennata, mai data per certa.
Ma già qui Teresa ci informa che alcune date con collimano: ed allora, finzione o realtà?
Non lo sapremo mai naturalmente, perché alcuni dei protagonisti sono morti.
Ed allora il lettore insegue questa donna su un altro piano: la figlia più amata, appunto, dagli anni di gioiosa, lussuosa e spensierata fanciullezza, fino al suo essere ragazza istericamente fragile, con un mondo – il SUO fantastico mondo – che cambia troppo rapidamente per lei. Fino ad incontrare, al termine del romanzo, la donna che è diventata: perché dopo aver rimestato nel passato in cerca – forse – di colpevoli per esorcizzare le idiosincrasie attuali, tra personaggi pubblici e privati, tra sentimenti disattesi e finanche traditi, inganni e considerazioni amare, non resta che prendere atto di ciò che si è diventati nel corso degli anni.
E l’autrice lo fa con una sorta di violenta consapevolezza: “Mi chiamo Teresa Ciabatti. E sono una donna incompiuta.”
Teresa Ciabatti
nata e cresciuta a Orbetello, vive a Roma. I suoi romanzi sono: Adelmo, torna da me (Einaudi Stile libero), I giorni felici (Mondadori), Il mio paradiso è deserto (Rizzoli), Tuttissanti (Il Saggiatore), La più amata (Mondadori). Collabora con “Il Corriere della Sera” e con “la Lettura”.
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