Recensione di Daniel De Lost
Autore: James Baldwin
Editore: Fandango libri
Traduzione: Alessandro Clericuzio
Genere: Letteratura afroamericana/Letteratura queer
Pagine: 224
Anno di pubblicazione: 2017
Sinossi. David, un giovane newyorkese in fuga da se stesso, è approdato a Parigi nel tentativo di affrancarsi dalla propria educazione, e dalla vita da ragazzo perbene che sembra essergli stata cucita addosso. Mentre la sua fidanzata, Hella, è in Spagna per riflettere sul futuro della loro storia, in un bar David conosce Giovanni, impertinente e luminoso, e ne rimane irrimediabilmente attratto. E dal loro incontro, dal primo momento in cui entra nella sua stanza, piccola e disordinata, saprà di essere perduto, che né la vergogna né la paura riusciranno a riportarlo a casa. Diviso tra Hella che incarna il desiderio di normalità, il sogno di una tranquilla vita americana, e Giovanni che invece è forza, cuore e istinto, David attraversa le strade di Parigi, vede i colori e le stagioni passare, sente passioni e bisogni taciuti riemergere e chiedere il conto. La difesa della propria identità implica sempre una lotta dolorosa, e così è anche per David, solo che la sua debolezza e la sua indecisione faranno soffrire tutti coloro che lo amano e che lui stesso ama. Come ha dichiarato lo stesso Baldwin in un’intervista del 1984: “La stanza di Giovanni parla di quello che succede se hai paura di amare”. “La stanza di Giovanni è un romanzo di intensità unica e di una bellezza eccezionale, ipnotico, intimo, straziante.” Jhumpa Lahiri
Recensione
Per ironia della sorte, i romanzi brevi e maneggevoli, apparentemente scarni, semplici, nascondono al loro interno ordigni dotati di potentissimi meccanismi a orologeria, in grado di sprigionare – una volta sganciati nelle trincee del panorama letterario – sconquassamenti dello stato emotivo del lettore, spaccature nette nel terreno già accidentato del canone.
Quando uscì per la prima volta, nel 1956, La stanza di Giovanni, proprio in quelle trincee mise tutti sull’attenti, facendo riverberare quel “colpo di fucile nel silenzio della campagna” di montaliana memoria. Scritto da un tale James Arthur Baldwin – più conosciuto con solo il primo dei due nomi – afroamericano, omosessuale, cresciuto tra Harlem e il Greenwich Village, luoghi della “grande mela” scenario, all’epoca e soprattutto nei due decenni successivi, di segregazione, ghettizzazione e, inevitabilmente, rivolte etniche e innalzamento di voci da parte delle minoranze. Il suo romanzo più rappresentativo segnò una profonda rottura in uno dei maggiori tabù culturali di sempre: la trattazione disinibita dei sentieri tortuosi e complessi quali sono i sentimenti omoerotici.
Proprio nella sua brevità, La stanza di Giovanni è un’esperienza, un viaggio non solo fisico, ma anche e soprattutto esistenziale, la cui trama agrodolce nasconde un ricco e profondo tessuto di simboli. Il giovane David, protagonista morale e io narrante, ci accompagna dal suo abbandono della natia terra americana fino all’approdo a Parigi; una ville lumière porto sicuro, in quegli anni, per molti espatriati stelle e strisce in cerca di identità, in fuga da ogni forma di convenzione sociale e morale. Un David che appunto in prima persona – tramite l’audacia di Baldwin – mette a nudo le sue turbe, i suoi, seppur spesso falsati, sentimenti, l’attrazione manifesta per un “genere” maschile che desidera e ripugna, specie quando questo possa mettere in discussione la sua mascolinità; quella stessa mascolinità che per le convenzioni sociali è un biglietto da visita placcato in oro per sopravvivere, per farne parte senza paraventi; un David che, per quanto si sottragga, è chiamato ad accendere l’interruttore della sua tormentata sessualità.
David, perfetto flâneur narrante, trascina il lettore per le strade, i vicoli, i locali e gli alberghi di Parigi e dei suoi sobborghi, del tutto disorientato, concedendosi incontri occasionali con “rappresentanti del suo stesso genere” che però non fanno che fomentare l’autocommiserazione per la sua condizione di queerness, quella “stranezza” ancora troppo taciuta ed elusa in società, da combattere a ogni costo, proprio perché ritenuta combattibile.
In questo intricato percorso, David è sballottato da due forze esterne, entrambe preponderanti: Giovanni, barista di origini italiane e secondo protagonista morale del romanzo, la cui stanza fisica e metaforica dà il titolo all’opera, ed Hella, la “fidanzata” di David, la quale decide di evadere in Spagna, per concedersi del tempo per ponderare la farsesca proposta di matrimonio di quest’ultimo.
Giovanni, apparentemente uno dei tanti incontri casuali parigini, si rivelerà invece un incontro essenziale, catartico, in grado di impattare per la prima volta sulle tante e solide barriere innalzate dalla cocciutaggine di David; Giovanni è il terremoto, l’istinto, il “cuore rivelatore”, pronto a tutto pur di non rinnegare se stesso, pur di far risplendere la sua personalità alla luce del sole, pur di sguinzagliare quella belva latente che tanto è convinto di poter poi domare: l’amore puro e incondizionato di David; un amore che David, per via di quella cocciutaggine, non potrà mai garantirgli se non in quella stanza squallida e angusta, in cui David si lascia sopraffare dagli abominevoli sentimenti che lo spingono verso il bello e coraggioso italiano.
La stanza è forse, citando Prospero, lo spazio e il tempo tenuti insieme da un sogno, il breve sogno in cui la loro passione proibita si consuma; ma è anche lo spazio della repressione, di tutte quelle “stranezze” sue, di Giovanni e di tutti coloro che vivono nella stessa condizione, che probabilmente non riuscirà mai ad accettare o, seppure, solo quando sarà troppo tardi. Una condizione che, con ferma convinzione, David crede porti alla solitudine più nera. È lo spazio in cui rinchiudere l’immenso senso di colpa, per non aver accolto Giovanni prima che la terribile sorte compisse il suo atto scellerato nei confronti dell’amante respinto; prima che David si accorgesse che forse per “due come loro” è perfettamente possibile amarsi come “normali individui.”
Hella resterà solo e soltanto un invitante e comodo orpello; la relazione sicura, atta alla procreazione, la costruzione di una famiglia, la compagna ordinaria, di “genere opposto”, come vogliono natura e società; Hella è l’emblema della “perfetta mogliettina”; emblema esasperato da David in uno dei dialoghi più intensi con Giovanni, verso il finale; un dialogo che strizza parecchio l’occhio al più aberrante sessismo, con la figura femminile relegata al mero universo domestico, schiacciata da quella ossessivamente ricercata mascolinità che quindi detiene e garantisce il potere e che David teme disperatamente che gli venga strappata via. Troppo tardi, David si renderà conto di tutto il male provocato dalle sue insicurezze e vigliaccherie.
Baldwin illustra con grande maestria i turbamenti derivanti dalla difficile accettazione della propria sessualità, giocandosi la carta della narrazione in prima persona, intimista, profondamente immersiva, disseminata di flussi di coscienza e descrizioni raffinate della Parigi vissuta attraverso il “vagabondaggio” di David.
Una lettura imperdibile: toccante, provocante e straziante; uno dei grandi punti di riferimento della letteratura afroamericana, ma in primis dell’astro, allora nascente, ma ormai sempre più ascendente, della queer fiction.
James Arthur Baldwin
James Arthur Baldwin (1924-1987), scrittore afroamericano nato ad Harlem, attivista del movimento dei diritti civili negli anni cinquanta e sessanta, ha narrato la condizione dei neri d’America e si è battuto per l’integrazione razziale. Ha trattato il tema dell’omosessualità suscitando polemiche anche all’interno della comunità nera. Dal 1948 in poi ha trascorso la sua esistenza tra la Francia del Sud e New York. Ha scritto romanzi, opere teatrali e saggi, tra cui: Gridalo forte (1953), Mio padre doveva essere bellissimo(1955), La camera di Giovanni (1956), Un altro mondo (1961), La prossima volta, il fuoco (1963), Blues per l’uomo bianco (1964), Stamattina, stasera, troppo presto (1965), L’angolo dell’amen (1968), Sulla mia testa (1979), Il prezzo del biglietto (1985).
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