Recensione di Giusy Giulianini
Autore: Giada Trebeschi
Editore: Oakmond Publishing
Pagine: 199
Genere: Thriller storico
Anno di pubblicazione: 2019
Sinossi. «Eccola è lei, la strega! Arrestatela.»
Eppure, prima di essere imprigionata la strega riesce a nascondere il suo grimorio, il libro della conoscenza e delle ombre, che può essere tramandato solo di madre in figlia, di donna in donna. Il grimorio è lo strumento per perpetuare non soltanto le nozioni ma tutta la libertà che il sapere concede agli esseri umani e deve essere protetto a costo della vita. Così, nei giorni del processo, si produce un’inarrestabile catena di eventi terribili e straordinari che porteranno a più di un sacrificio pur di salvarlo. Il fil rouge del romanzo è rintracciabile nel processo per stregoneria a Bellezza Orsini, avvenuto agli inizi del XVI secolo e racconta non solo la sua storia, ma soprattutto la determinazione e il coraggio di una donna di conoscenza, una medichessa, una levatrice per la quale non c’è niente di più importante del passaggio di questo sapere. La sopravvivenza delle sue conoscenze erboristiche e mediche ha più valore della sua stessa vita e, incalzata dal pregiudizio, dalle superstizioni e dalla Santa Inquisizione sceglierà di incarnare l’archetipo della strega pur di salvare la sua arte. È per completare gli spazi bianchi, riscrivere le parole che il tempo ha cancellato e rivelare l’umanità nascosta dietro agli antichi documenti processuali che nasce L’amante del diavolo. Sullo sfondo, orrori e meraviglie della Roma e Firenze rinascimentali, l’eroismo di un vecchio ebreo, i pregiudizi della gente comune, le atrocità dei metodi di tortura del Sant’Uffizio e il tormento di una struggente e impossibile storia d’amore.
Recensione
Una fanciulla è china su un libro antico, ne cuce le pagine con paziente riverenza, segue con il dito parole e disegni di un sapere così prezioso da valere il sacrificio di una vita.
Si apre così L’amante del diavolo (Oakmond Publishing, 30 aprile 2019) di Giada Trebeschi, sullo sfondo di una Venezia funestata dalla peste venuta dal mare, dispensatore di tesori ma anche di quell’atroce flagello.
Si apre con gusto circolare laddove si era chiuso il precedente romanzo dell’autrice, Il vampiro di Venezia (Oakmond Publishing, 2017: là Diamante, un’etèra padrona del suo corpo e della sua sessualità, detentrice consapevole di una cultura preclusa nel suo secolo al genere femminile; qui Caterina, medichessa ostetrica ed erborista, erede di un sapere antico e attualissimo, così inestimabile da scatenare l’invidia e la persecuzione del potere maschile, e non soltanto.
Caterina, alla luce delle candele che illuminano la stanza isolandola dalle calli tortuose tra cui si aggira il morbo esiziale, sta china sul grimorio ereditato da sua nonna, Bellezza Orsini, conscia di detenere un impareggiabile strumento per la salvezza di tanti, che per la sua antenata invece è stato condanna inesorabile.
Il grimorio – forse dal francese grammaire, grammatica, fondamento degli studi – è il libro di magia delle streghe, anche se per Bellezza e Caterina racchiude conoscenze mediche ed erboristiche piuttosto che liste di angeli e demoni o invocazioni di entità soprannaturali. Bellezza e Caterina lo custodiscono con amorevole rispetto, arricchendo con paziente costanza il sapere che Bellezza ha appreso nel convento dove è cresciuta, ampliato con il frutto dell’esperienza e della pratica quotidiana.
Il loro tempo le bolla come streghe, impossibile ammettere che una donna possieda cultura e maestria, precluse ai più da una società arretrata e maschilista.
Non è forse vero che nel medioevo e per buona parte dell’età moderna imperava sovrana l’idea che la nascita stessa fosse adombrata di qualità magiche?
Come non ritenere dunque che le levatrici, soprattutto una così ardita da praticare per prima un cesareo ricucendo l’utero per tentare di salvare anche la madre oltre al figlio, possedessero poteri speciali, soprannaturali appunto?
Quel loro secolo, il XVI, le condanna e ne fa le vittime di una perquisizione che funesta l’Europa e affastella eresia, magia e credenza nelle streghe per dare sfogo a ignoranza, invidia e superstizione, travolgendo non solo i poteri forti, politica e clero, ma perfino gli stessi beneficiari di quella sapienza invero scientifica.
Bellezza Orsini, a Fiano nel 1527, subisce un processo vergognoso da parte del tribunale di Dio e degli uomini e cade tra le decine di migliaia di vittime condannate dalla Santa Inquisizione. Cade, quel che è peggio, soprattutto per le malevole e bugiarde testimonianze di alcuni compaesani che il suo sapere ha sottratto alla morte, terrificati da ciò che la loro superstiziosa ignoranza rifiuta di accettare. Cade, Bellezza, ma salva il grimorio che arriva intatto e potente nelle mani della nipote, degna custode e prosecutrice della sua dottrina.
Giada Trebeschi, di nuovo, ci regala potenti figure femminili – Bellezza, la figlia adottiva Aglaia, la nipote Caterina – che vanno ad arricchire una galleria di donne indomite, nerbo della sua scrittura: accanto a Letizia Cantarini, la coraggiosa archeologa de La Dama Rossa (Mondadori, 2014) che si scontra con l’oscura cecità del Ventennio; a Diamante nel Vampiro di Venezia (Oakmond Publishing, 2017), cortigiana d’inusuale bellezza ed eleganza, la cui impareggiabile cultura le vale libertà e consapevolezza, appannaggio fin là esclusivo del genere maschile; ad Anna Negri de L’autista di Dio (Oakmond Publishing, 2019), erede dell’aristocrazia industriale di un’Italia settentrionale stretta nel Ventennio, che rinuncia ai privilegi della sua condizione per vivere con fiera indipendenza un amore che sa farsi salvezza di molti.
Bellezza Orsini, insieme alla figlia adottiva Aglaia e alla nipote Caterina, si erge fiera sullo sfondo di un’epoca buia quante altre mai, del tutto credibile nei caratteri con cui l’autrice la disegna colmando le lacune lasciate dalle cronache dell’epoca. Ben più della sua straordinaria bellezza, intatta ancora nella maturità in cui la coglie la morte, a sedurre il lettore è la fierezza per il suo stesso sapere e la piena cognizione della responsabilità di tramandarlo. É una martire, Bellezza, di un potere oscurantistico come mai prima di allora che condanna a colpi di Malleus Maleficarum, ma non una martire inconsapevole. La sua indipendenza viene trasmessa a Caterina, l’erede designata, e ad Aglaia, che grazie a quella virtù sa farsi strada tra gli intrighi e la lussuria della corte papale mentre una folla di formiche lotta invece per la sopravvivenza, tra le vie di una Roma contesa tra fasto e miseria.
Una ressa meschina di personaggi maschili si staglia in coerente sintonia con le cronache dell’epoca, ignobile non di potere ma di animo, mentre le generose figure dei figli di Bellezza, Michele e Davide, e dell’Ebreo, compagno dei suoi ultimi anni, si distinguono per la loro capacità di amare e di mettersi al servizio di una virtù femminile che non comprendono ma che riconoscono unica e dunque da proteggere a costo della vita.
Giada Trebeschi compone un altro affresco trascinante nel quale l’inappuntabile ricerca storica non è mai disgiunta dall’empatia e la perizia nel suscitare potenti suggestioni deriva dal suo stesso sdegno per un’epopea di cieca condanna della condizione femminile.
Il linguaggio, lo osservo ancora una volta, è privo di grevi arcaismi ma sostiene con vivace autorevolezza il climax passionale che scandisce l’intero romanzo.
Una notazione particolare voglio riservarla allo sguardo d’artista con cui Giada Trebeschi colora la sua scrittura: la presenza di Giuliano da Sangallo nel cantiere romano di San Pietro, la statura eroica di Michele simile all’Apollo del Belvedere, la sua corsa disperata per la campagna sullo sfondo di una tempesta che vibra dei colori del Giorgione, l’abbraccio di Aglaia Caterina e Michele al processo di Bellezza, stretti in una disperazione non diversa da quella delle tre Marie e di Giovanni nella Crocefissione di Lorenzo Lotto, regalano la vita al racconto e ai suoi protagonisti. Senza dimenticare l’emblematico ritratto femminile scelto per la copertina, Il peccato di Franz von Stuck, che interpreta in chiave simbolista la colpa di Eva, la prima ammaliatrice della storia umana.
Non interessa imbrigliare in un genere l’ultima opera di Giada Trebeschi, che sia romanzo storico, racconto d’indagine, thriller poco importa. Quel che rileva è la sua costante capacità di proiettare il lettore in epoche differenti, di coinvolgerlo in contrasti accesi e in drammi che hanno forgiato la storia, di spingerlo a diventare lui stesso ricercatore d’archivio. Per saperne di più, per prolungare la magia del racconto.
Giada Trebeschi
Giada Trebeschi è storica di professione, scrittrice, direttrice editoriale, saggista, drammaturga, attrice e interprete. Tra le tante sue opere, figurano tre gialli storici: La dama Rossa, Il Vampiro di Venezia e L’autista di Dio, per i quali ha ricevuto premi prestigiosi. L’amante del diavolo è il suo romanzo più recente.
Qualche nota in più:
Luoghi: Civitavecchia, Filacciano, Fiano, Roma, Venezia
Quadri: Franz von Stuck, Il peccato
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