Le scienze inesatte – Rachel




Autore: Stefano Bessoni

Pagine: 60

Editore: Logos (2 novembre 2017)

Collana: Illustrati

 

 

Le fiabe nere e la Wunderkammer, la “camera delle meraviglie” dell’illustratore Stefano Bessoni sono parte integrante del progetto delle “scienze inesatte” che l’ha portato finora alla realizzazione di due albi illustrati su quattro già in programma per Logos e un film. Un contenitore, proprio come storicamente la Wunderkammer è uno spazio reale in cui vengono raccolti oggetti che destano stupore del mondo naturale, artificiale, ma anche “mirabilia”, che escono cioè dagli schemi. Un concetto che sconfina nel collezionismo sfrenato, particolare, personale. E che in Bessoni ha portato a illustrazioni che risentono della sua duplice formazione tra l’Accademia di Belle Arti e gli studi scientifici sulle scienze biologiche, ma anche della sua ammirazione per il cinema del regista gallese Peter Greeneway, suo punto di riferimento, e della sua rilettura delle fiabe partendo dalle pulsioni più, appunto, “nere” dell’autore.

Da qui nasce Rachel, la protagonista del suo progetto letterario, la bambina che si scopre spettro, e con lei la sua casa nel paese delle scienze inesatte e chi vi arriva trecento anni dopo di lei, primi fra tutti l’illustratore Giona e la figlia di costruttori di balocchi Rebecca.

All’ultima Bologna Children’s Bookfair Bessoni ha tenuto un masterclass dedicato proprio all’argomento della Wunderkammer e delle fiabe nere nello spazio dell’Illustrator’s Survival Corner curato da Mimaster Illustrazione.

 

Stefano Bessoni, chi è Rachel e com’è il paese delle scienze inesatte?

La storia di Rachel è quella di una bambina che scopre di essere uno spettro e che ha vissuto in una casa del paese delle scienze inesatte, luogo identificato da me tra Normandia e Bretagna. A trecento anni dalla sua morte, nella sua casa – siamo nel periodo della prima guerra mondiale – vanno a vivere Giona e Rebecca che avranno a che fare proprio con lo spettro di Rachel, che era figlia di un anatomista che si dice avesse creato l’omuncolus. Da lì parte la storia che ha a che fare con la Wunderkammer, la falsa scienza, lo spiritismo. Per ora il progetto prevede quattro volumi. Rachel vuole qualcosa da Giona e Rebecca. Mi piace pensare a questo lavoro come a uno work in progress, mi lascia lo stimolo per sperimentare.

 

Da dove parte per creare i suoi lavori?

Lavoro su cose che appaiono assurde, ma partendo da qualcosa di reale, per esempio da enormi rane pescatrici per ricreare una taverna che pare ingoiata da un mostro marino. Rileggo in questo senso anche le fiabe dalle pulsioni più nere dell’autore, più traumatiche, nel loro valore iniziatico e formativo. Nel progetto, Giona è un illustratore che disegna trattati scientifici e raccoglie detriti, Rebecca è figlia di costruttori di balocchi, Rachel raccoglie e disegna animaletti morti che diventano i suoi migliori amici, Lazzaro è lo zoologo apocrifo che crea animali che sono una sorta di diavoli di mare. Poi creo fisicamente i burattini, è un lavoro catartico. Ma parto del reale: è fondamentale, pur poi stravolgendolo, facendolo diventare ciò che voglio.

 

Com’è nata la sua passione per questo tipo di illustrazione che porta poi a realizzazioni stop-motion?

Fin da bambino ho iniziato disegnando e le illustrazioni diventano così qualcosa di vitale che ti permette di esprimerti. Poi ho affrontato studi scientifici mirati alle scienze biologiche, e in seguito l’Accademia delle Belle Arti. Il mio background è dunque non solo di studio della storia dell’arte, della pittura, delle illustrazioni, ma anche un ambito para-scientifico, e uno dei pilastri per me fondanti dell’illustrazione sono proprio le scienze inesatte che hanno dato il via al progetto degli albi illustrati e del film. Il mio modo di intendere l’espressione è interazione a tutto tondo.

 

Che ruolo attribuisce alla storia in sé?

Il primo germe di una storia per me è fatto di un disegno, uno schizzo, un personaggio, uno scarabocchio: credo molto proprio nel concetto di scarabocchio. Mi piace definirmi uno scarabocchiatore più che un illustratore, la bozza è sempre più bella del quadro finito. Enzo Brunori, esponente del Naturalismo Astratto, per quattro anni in Accademia mi faceva raccogliere oggetti naturali per andare a creare a mano libera una scacchiera con i loro colori nella quale i colori analoghi non dovevano toccarsi mai, lavorando con i colori primari per rifare quello dell’oggetto naturale. Mi svelò i segreti del colore armonizzante, che è un concetto importantissimo nella mia poetica della Wunderkammer. Io non credo nella storia in quanto narrazione stereotipata che deve rispondere a forme e modelli omologandosi. La sorpresa è la forma di rottura dei meccanismi a cui va dato spazio. Per me la storia deve essere qualcosa di provocatorio, utilizzo strutture narrative alternative e la scienza è un aiuto. Il progetto delle scienze inesatte è il mio progetto di Wunderkammer, un progetto contenitore in cui metto cose incontrate e che incontro sulla mia strada, una sorta di paese ipotetico con abitanti dediti a scienze strane, anomale. A ciò si unisce l’animazione stop-motion, l’unione tra cinema e illustrazione, cinema con i miei personaggi creati su carta, i miei personaggi grotteschi, con i capoccioni, i mutandoni, burattini a cui dare la vita: questo è un punto d’arrivo in cui diluire i miei concetti.

 

Lei cita Greeneway come suo punto di riferimento: in che cosa il cinema e la Wunderkammer hanno punti in comune?

Peter Greeneway è un regista gallese che ha iniziato come pittore, figlio di ornitologi: mi ha insegnato a “sbordare”, a lasciare andare libera l’espressione senza preconcetti. Credo che il cinema sia una Wunderkammer, la macchina da presa stessa è chiamata camera, cattura dalla realtà è chiude: è un gioco di parole eccezionale.

Stefano Bessoni

 A cura di Sara Magnoli