Recensione di Alberto Minnella
Autore: Richard Ford
Editore: Feltrinelli
Traduttore: Riccardo Duranti
Pagine: 200
Genere: Noir
Anno di pubblicazione: 2014
SINOSSI
Il protagonista di questo “thriller esistenziale” è Harry Quinn, un reduce del Vietnam che vaga da una parte all’altra degli Stati Uniti, cambiando continuamente lavoro, nel vano tentativo di reinserirsi nella realtà. Irrequieto, solitario, involontariamente cinico, come un eroe hemingwaiano.
La vicenda si svolge a Oaxaca, una cittadina del Messico piena di turisti, emarginati, funzionari corrotti, trafficanti di droga e forze della repressione.
Quinn si reca là per cercare di liberare dal carcere Sonny, fratello della sua ex ragazza, coinvolto in un’intricata storia di droga. Rapidamente l’atmosfera si fa pesante e, nonostante il protagonista faccia di tutto per non farsi coinvolgere nei guai, attorno a lui cominciano a comparire dei cadaveri.
RECENSIONE
«Dov’è che si va?» chiede Harry Quinn. Ecco, dov’è che si va quando si legge un noir? Harry Quinn non ce lo dice, ci prova, ma si guarda bene dall’aprire bocca. Dove va, del resto, non lo sa nemmeno lui e questo è un bene; è un bene per i lettori che aprono d’impeto la morbida copertina di questo denso romanzo e non hanno idea che, dopo il crack che fa la colla industriale quando si stacca appena da una minuscola parte della rilegatura, Richard Ford farà di tutto per trascinarli negli abissi della mente di Harry Quinn.
«Quinn sentiva di aver bisogno di un colpo di fortuna. Rae sarebbe arrivata da Città del Messico nel pomeriggio e, se piazzavano bene i soldi, Sonny sarebbe uscito dalla prisiòn tre giorni dopo e si sarebbe tolto dalle scatole.»
Le pagine scorrono, ma si ha sempre la sensazione che ci si è dimenticati qualcosa nel corso della lettura, che alcuni particolari ci siano cascati di mano durante il viaggio e che sia necessario tornare indietro a recuperarli.
Quinn è inquieto, annoda quello che vede ai fili della sua esistenza. Osserva il mondo riflesso su uno specchio deformato: la realtà è amara e della sua proiezione in un futuro decente sembra esserci soltanto una sottilissima traccia.
L’estrema fortuna è romanzo che mette alla prova il lettore; bisogna munirsi di pazienza, rilassare i muscoli e lasciarsi andare, come quando si ascolta del buon swing: gli strumenti sembrano sonnecchiare all’infinito, spersi in un torpore interminabile, ma quando meno te lo aspetti il pianista uscirà dalla partitura e inizierà a storpiare ogni singolo accordo. Il romanzo è stato definito come un thriller psicologico, ma sarebbe più corretto definirlo un vero e proprio noir: non è un giallo, non è un thriller, non è narrativa e non è un romanzo rosa. Un noir è tutto questo messo insieme e quando la penna è davvero di classe è persino qualcosa di più.
Richard Ford
(Jackson, 16 febbraio 1944). É uno scrittore statunitense. Nei suoi romanzi la matrice minimalista si mitiga e si evolve in due opposte direzioni: da un lato, le accensioni liriche di Rock Springs (1987) o di Incendi (Wildlife, 1990); dall’altro, il tentativo di edificare un’epica della middle class americana con Sportswriter (The Sportswriter, 1986), e i suoi seguiti, Il giorno dell’Indipendenza (Independence Day, 1995) e Lo stato delle cose (The Lay of the Land, 2006). Sportswriter è stato inserito dal Time nella lista dei 100 migliori romanzi scritti in lingua inglese dal 1923 al 2005. Per il suo seguito, Independence Day, Ford ha vinto sia il Premio PEN/Faulkner per la narrativa sia il Premio Pulitzer per la narrativa (il primo a vincere entrambi i premi). Dall’autunno 2012, insegna letteratura e scrittura alla Columbia University School of the Arts.