Recensione di Francesca Mogavero
Autore: Amparo Dávila
Traduzione: Giulia Zavagna
Editore: Safarà Editore
Prefazione di Alberto Chimal
Pagine: 144
Genere: Narrativa/Horror
Anno di pubblicazione: 2020
Sinossi. I racconti di Amparo Dávila, sacerdotessa della scrittura del terrore, sono intrisi di inquietudini spesso suscitate da presenze e rumori sfuggenti, a malapena descrivibili eppure paralizzanti, tali da spingere il lettore a chiedersi se non sia questa la vera sostanza della realtà: un incubo di terribile fascino che solo pochi iniziati hanno il privilegio di vedere alla luce del sole. Come LeonoraCarrington, Edgar Allan Poe e Shirley Jackson, le grandi firme della letteratura a cui è stata paragonata, Amparo Dávila ha visto cosa si cela nelle pieghe tra il sonno e la veglia, tra il sogno e l’incubo, senza trovarvi alcuna differenza: il resoconto lo tenete nelle vostre mani.
Recensione
È il momento che precede il piacere, l’attimo prima di scartare un regalo, il silenzio tra il campanello che suona e la porta che si apre: l’attesa. Quella stessa aspettativa, carica di apprensione, che ci trasmette la musica dei film dell’orrore, quel crescendo che si inserisce in una particolare sequenza e va di pari passo col cuore che sale in gola: ecco, ecco, non sappiamo cosasia, ma sta per succedere.
È su quello “sta per” che si reggono le dodici storie raccolte nel magnifico L’ospite e altri racconti di Amparo Dávila. Nessun preambolo, nessuno scambio di cortesie e cerimonie tra chi narra e chi legge, non ce n’è il tempo, così ci troviamo catapultati in medias res, al centro di una cosa che sta per accadere, ma non ha nome né contorno.
Una pesantezza oscura grava sui protagonisti – spesso giovani donne dall’esistenza precaria – e avvolge noi che ci troviamo dall’altra parte, sprofondati nella calda poltrona di casa, così familiare, o nel pullulare di umori e di vite di un mezzo pubblico, eppure paralizzati, incerti se spingerci oltre, con il rischio di precipitare nell’abisso.
Un’inquietudine priva di forma, di tratti, cattura noi e Marcela, Carmen, Tina: e si sa, ciò che non si conosce a volte fa paura, sebbene in questo caso la faccenda sia ancora più complessa. Aprirsi alla novità, all’imprevisto, all’inatteso è possibile e anzi auspicabile, la curiosità illumina il timore e gli orizzonti si spalancano; ma nei racconti di Amparo Dávila l’inconoscibile resta tale e i confini si restringono via via, relegando i personaggi e i loro demoni (reali o sognati poco importa) in un’area angusta e soffocante, dove non esiste nient’altro e il buio avanza strisciando. Come un allucinante e forzato sonno della ragione che genera mostri.
Cosa turba María? Chi sono Óscar, la donna dagli occhi sporgenti, Moisés e Gaspar?
Creature reali, forse vittime, forse carnefici?
Oppure manifestazioni di un disagio, di un trauma rimosso, di una fobia primitiva che ancora ci fa gelare il sangue?
E soprattutto, cosa sta per succedere davvero?
Lo scopriranno sulla propria pelle (o nei labirinti della mente) solo i protagonisti: noi no, perché la scrittrice si ferma proprio un istante prima. Prima di mostrare una lama, un’azione, un viso, una conclusione netta.
Forse perché la rivelazione sarebbe insostenibile, troppo sconcertante per essere letta e raccontata… O, più probabilmente, perché è quel non sapere la sintesi del terrore, l’incarnazione di un sublime orrore da guardare restando al sicuro al di là del vetro, mentre dita invisibili e artigliate stridono come gesso sulla lavagna.
A cura di Francesca Mogavero
Amparo Dávila
è nata in Messico nel 1928 ed è scomparsa il 18 aprile 2020. Ha pubblicato numerose raccolte di racconti ed è stata insignita della Medalla Bellas Artes nel 2015 e del premio XavierVillaurrutia nel 1977. Negli ultimi anni un rinnovato interesse verso le sue opere l’ha consacrata come una delle più grandi maestre messicane del racconto.
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