Nina la poliziotta dilettante
Recensione di Francesca Mogavero
Autore: Carolina Invernizio
Editore: Rina edizioni
Pagine: 400
Genere: Giallo
Anno di pubblicazione: 2020
Prefazione di Alessia Gazzola
Postfazione di Silvio Raffo
Sinossi. Una notte di settembre il conte Carlo Sveglia, fidanzato della bella operaia Nina, viene assassinato appena uscito da casa della giovane. I primi sospetti della polizia ricadono sulla ragazza e sull’amico Martino Vigna. Dopo un lungo interrogatorio e un mese di carcerazione, i due vengono rilasciati in fase istruttoria per mancanza di prove. Libera, Nina decide di cercare da sola l’assassino del fidanzato e architetta un piano che inizia con la messa in scena del proprio suicido per assumere una falsa identità. Entra in casa della contessa Sveglia, zia del povero Carlo su cui Nina ha dei sospetti, nelle vesti del cameriere Nanì. Procedendo con l’indagine e assumendo il ruolo di vera detective, Nina incontrerà molti personaggi, ognuno dei quali coinvolto nella torbida vicenda, sino ad arrivare alla scoperta del colpevole. Suspense, colpi di scena, mistero e delitto fanno di questo libro, uscito per la prima volta nel 1909, il giallo perfetto e attestano Carolina Invernizio progenitrice della tradizione giallistica italiana, che passerà dal feuilleton, e dal gotico, al vero e proprio genere poliziesco, compiendo un’operazione potenzialmente innovativa sia dal punto di vista della struttura del racconto sia da quello della narrativa femminile. «La difficoltà più grave sta nel prologo, che deve colpire subito il lettore, trascinarne l’interesse in modo che non gli riesca di lasciare il romanzo, finché non abbia veduto la fine», scriveva la Invernizio ed è attraverso questa sua incredibile capacità di attirare l’interesse del lettore che l’autrice ci introduce nel complesso intreccio di questa avvincente detective story. Come disse Umberto Eco, Carolina Invernizio, al pari di tante altre sue colleghe, non scrisse solo da donna di donne per le donne, ma con i suoi romanzi fa emergere il personaggio femminile, stabilendo così il passaggio dal superuomo del feuilleton alla superdonna, dotata di determinazione, energia e intraprendenza – per sorellanza con le protagoniste settecentesche – affidandole la conduzione e scioglimento dell’enigma.
Recensione
Delitto, morte apparente, bambini scambiati, ricatti, seduzioni, travestimenti, agnizioni, perdono, espiazione: nella ricetta di Nina la poliziotta dilettante di Carolina Invernizio non manca proprio nulla, per non parlare di sentimenti che si accendono repentini per poi durare per sempre, orizzonti sconfinati di malvagità, di tenerezza e di invidia, sete di rivalsa e di pentimento.
Tra tutti gli ingredienti – dosati con il rigore e l’esperienza della “romanzatrice” consumata, capace di scrivere anche due storie contemporaneamente – emerge prepotente un elemento particolare, come una spezia esotica in un menù della tradizione: Nina, operaia emancipata, indipendente e bellissima, che non esita a indossare l’abito – anzi, gli abiti – della poliziotta per scoprire l’assassino del suo amato conte Carlo. Un desiderio di giustizia e di pace purissimo, che non si abbassa a una vendetta sommaria, ma mira a una ricostruzione completa, obiettiva e provata dei fatti e delle ragioni, anche là dove la ragione, appunto, pare mancare: chi poteva desiderare la morte di un giovane baciato da ogni fortuna, a un passo dal coronare il suo sogno d’amore? Che sia stata proprio quella “fortuna” – troppa, magari immeritata – il motore dell’azione?
Nina, di buon cuore, ma serenamente consapevole delle proprie doti, della bellezza e della grande forza che la contraddistinguono, indaga con pazienza, controllando le reazioni istintive e le emozioni nascenti: è “fatta per ispirare una vera e ardente passione”, per ospitare intense sensazioni, eppure sa far emergere la freddezza tipica del detective, analizzando ogni nuova informazione con lucidità, lasciandosi toccare, ma non travolgere, dalla situazione.
Ed ecco che continua la nostra metafora culinaria: la trama è cotta e servita alla giusta temperatura, racchiudendo al suo interno scene “calde”, in cui sangue e turpitudini scorrono a fiumi, e momenti di gelida (ma non meno trepida sotto la pelle) attesa.
La Invernizio fu, e forse lo è ancora, attaccata dai critici (tutti uomini, sarà un caso?), accusata di trattare temi scabrosi o di possedere una penna infelice, scadente.
Forse sarebbe più corretto dire che la nostra Carolina mancò e manca di uno stile proprio, di un suo sapore, se vogliamo continuare questo gioco. Un giudizio spietato? Al contrario.
L’autrice prende in prestito topoi ed espressioni che esistono da sempre – l’eroina è buona e “bella come un angelo”, il giovane defunto è biondo e sorridente – fa man bassa di altra letteratura, di testimonianze reali, di aulicismi e di immagini degne della più malfamata osteria, ed è proprio questo armonico pastiche a funzionare: vicende e personaggi si mostrano con la chiarezza della cronaca, la trama sobbolle costante, e costante è l’attenzione di chi legge.
Di una firma, di una voce, di uno stile, dicevamo, non c’è alcun bisogno: Carolina Invernizio non racconta, ma lascia raccontare, come se tra pagine e pubblico ci fosse un accordo segreto che lei ignora – ironico che, proprio lei, tessitrice di intrighi narrativi, ne sia all’oscuro! – come se i capitoli, forti della memoria del romanzo di appendice e già protesi verso nuovi generi, nuove forme, non chiedessero nient’altro che essere letti… per il solo gusto dell’evasione, della sorpresa e di sapere come andrà a finire.
A cura di Francesca Mogavero
Carolina Invernizio
Carolina Invernizio nasce a Voghera il 28 marzo 1851; il padre, funzionario statale, nel 1865 viene trasferito con la famiglia a Firenze, nuova capitale d’Italia. Carolina esordì come scrittrice pubblicando il suo primo racconto sul giornale della scuola, per cui rischia l’espulsione poiché considerato “di perdizione”. Nel 1877 è l’anno in cui sarà pubblicato il suo primo romanzo Rina o L’angelo delle Alpi edito da Salani, iniziando una collaborazione che durerà per tutta la vita. La maggior parte dei suoi libri – circa centotrenta – sono stati pubblicati a puntate su testate come «La Gazzetta di Torino» e «L’Opinione nazionale»; molti dei suoi contributi, firmati spesso con pseudonimi, si leggono su varie riviste. La Invernizio in poco tempo produttrice di best seller, tradotti in tutto il mondo, a cui Salani dedica una collana apposita “I romanzi di Carolina Invernizio”. Nel 1881 si sposa, ma continua a mantenere la sua attività di scrittrice pubblicando un titolo all’anno. Lavorava la mattina dalle 7 alle 12, scrivendo anche due romanzi contemporaneamente. Una delle sorelle teneva la contabilità dei defunti. Per impostare lo schema narrativo si serviva di fatti di cronaca, a cui si ispirava, e per la topografia della città usava le guide. I suoi autori preferiti erano Leopardi, Manzoni, Scott, Hugo, Verga. Conosceva molto bene il romanzo storico italiano di Grossi, D’Azeglio, Guerazzi e i romanzieri d’appendice italiani e stranieri (Mastriani, Dickens, Hugo, Balzac, Sue, Dumas, Ponson du Terrail). La Invernizio è figlia del romanzo d’appendice, del feuilleton, ma l’aspetto interessante che caratterizza la sua produzione e il successo consiste nell’approccio dell’autrice, rispetto al poliziesco classico alla Poe, verso un terreno assai diverso e contaminando con trovate d’ogni genere l’impianto logico, essenziale e intellettualistico del detective novel vero e proprio. Gli elementi emotivi del mistero, del delitto, del terrore che nel giallo vengono sfruttati per riempire lo schema logico e animare un’atmosfera, risultano qui inseriti in una struttura macchinosa in cui la costruzione dell’intreccio – cara ai lettori del romanzo d’appendice – sconfina dai tracciati dell’indagine poliziesca sulle vie sanguinose e terrificanti del romanzo d’avventura. In alcuni romanzi che pure impiegano elementi del giallo investigativo (delitto, ricerca del colpevole, cronaca giudiziaria) sono contigui al feuilleton e scardinano lo schema di detection per favorire una conclusione positiva e di lieto fine. Tuttavia, in un articolo uscito nel 1932 su «La Gazzetta del popolo» Zanzi aveva definito la Invernizio “progenitrice del giallo italiano”, e aveva ragione: il passaggio dal feuilleton storico a quello poliziesco sarà alle origini stesse del poliziesco moderno. Il feuilleton francese eserciterà un’influenza tra il romanzo gotico settecentesco e la moderna narrativa gialla che trovano nella Invernizio un preciso corrispondente italiano, attingendo dal romanzo nero e ispirandosi al clima sperimentale e criminologico della stagione positivistica. Cronaca nera e resoconti giudiziari per favorire un pubblico sempre più attratto dagli scandali e dai delitti più celebri e clamorosi – come l’omicidio della contessa Lara. La costruzione dell’intreccio, tutto giocato sulla suspense ed elementi di crime story per attrarre e coinvolgere il lettore a seguire la vicenda, si arricchisce con l’inserimento di un personaggio nuovo “la detective dilettante”, figura chiave nella letteratura poliziesca, che la Invernizio sperimenta già in I ladri dell’onore (1894) e che si imporrà con Nina la poliziotta dilettante (1909) stabilendo ufficialmente l’approdo della Invernizio al romanzo giallo vero e proprio, imponendosi come uno dei prototipi della detective story italiana. La commistione di giallo, feuilleton e accenni del rosa – che Carolina per prima sperimenta in Italia – sarà destinato a sopravvivere alla definitiva scomparsa del romanzo d’appendice e a confluire nel filone poliziesco-avventuroso a partire dagli anni ’30 del Novecento. Carolina Invernizio muore di polmonite a Cuneo nel 1916. È sepolta nel Cimitero monumentale a Torino.