NINA SULL’ ARGINE




Speciale di Fiorella Carta



Autrice: Veronica Galletta

Genere: Narrativa

Pagine: 219

Editore: Minimum fax

Anno: 2022

Sinossi. Caterina è al suo primo incarico importante: ingegnere responsabile dei lavori per la costruzione dell’argine di Spina, piccolo insediamento dell’alta pianura padana. Giovane, in un ambiente di soli uomini, si confronta con difficoltà di ogni sorta: ostacoli tecnici, proteste degli ambientalisti, responsabilità per la sicurezza degli operai. Giorno dopo giorno, tutto diventa cantiere: la sua vita sentimentale, il rapporto con la Sicilia terra d’origine, il suo ruolo all’interno dell’ufficio. A volte si sente svanire nella nebbia, come se anche il tempo diventasse scivoloso e non si potesse opporre nulla alla forza del fiume in piena. Alla ricerca di un posto dove stare, la prima ad avere bisogno di un argine è lei stessa. È tentata di abbandonare, dorme poco e male. Ma, piano piano, l’anonima umanità che la circonda – geometri, assessori, gruisti, vedove di operai – acquista un volto. Così l’argine viene realizzato, in un movimento continuo di stagioni e paesaggi, fino al giorno del collaudo, quando Caterina, dopo una notte in cui fa i conti con tutti i suoi fantasmi, si congeda da quel mondo. Con una lingua modellata sull’esperienza, Veronica Galletta ha scritto un apologo sulla vulnerabilità che si inserisce in un’ampia tradizione di letteratura sul lavoro, declinandola in maniera personale.

Recensione

Fra le altre cose Gianluca Lioni dice:

La Galletta con una lingua asciutta, scarna, che pure si accende di tecnicismi, ci restituisce in filigrana temi diversi: il senso di solitudine, l’alienazione sul lavoro, la lotta con la natura nel tentativo di addomesticarla, l’impossibilità di raggiungere la perfezione. “

 Veronica Galletta racconta la sua protagonista, ma racconta anche un lavoro, un progetto e sebbene all’inizio il linguaggio tecnico di cui parla Antoni risulti ostico per i non addetti ai lavori, con lo scorrere delle parole cristalline dell’autrice, si resta affascinati da questo mondo. 

Incaricata responsabile dei lavori per la costruzione dell’argine di Spina, Caterina, per alcuni Nina, per altri non più, ci racconta l’avanzamento del lavoro, il pregiudizio degli addetti davanti a un ingegnere donna, la precarietà degli operai e le morti sul lavoro. 

E attraverso questo progetto che diventa realtà con lo scorrere dei giorni, Nina racconta di sé, della sua vita privata, senza mai allontanarsi da quell’argine, rendendolo metafora. 

“Certi giorni le sembra di vivere in due parti, due mondi che non si toccano e non comunicano se non attraverso lei… Dalla parte della realtà e dalla parte del sogno, così passa tutta la giornata in cantiere… “

 Un cantiere che imparerà ad amare, in cui troverà ristoro e conforto in una presenza che la ascolta mentre mostra le sue insicurezze. Non tollera imperfezioni, ma imparerà a capirle e inserirle in una vita che ne è pregna, in un argine che rimarrà comunque solido. 

Affascinata dalla scrittura della Galletta, pura ignorante in materia, mi sono ritrovata a guardare i lavori conclusi come se ci capissi qualcosa, come se fossi presente. Perché ci sentiamo tutti un cantiere che avanza, con giorni in cui le fondazioni sembrano troppo fragili e la vita può inondarci senza trovarci pronti ad affrontarla. 

Costruire un argine è una cosa complessa. Bisogna calibrare bene la quantità di terra fin dall’inizio, evitare le corde molli, prevenire i dilavamenti. Perché se si forma una breccia, puoi anche riparare, ma qualcosa rimane. Perché non basta ridipingere la casa e spostare tutti i mobili… Una traccia rimane. L’argine lo sa. La memoria rimane”

 È un detto comune che l’acqua ritrova la sua strada, per quanto le artificiosità dell’uomo tentino di ostacolarla, tumularla. Così non possiamo cercare di affossare il nostro stato di inadeguatezza, prima o poi dobbiamo cercare di capire qual è il nostro posto.. 

quale è il luogo che per lei si chiama casa. “

INTERVISTA  

 

Salve Veronica, innanzitutto la ringrazio per la sua disponibilità a questa intervista e visto che è legata al nostro speciale dedicato al Premio Strega le chiedo, in primis, che sensazione le trasmette vedere Caterina fra i 12 finalisti. 

Una bella sensazione, di orgoglio per lei e per la storia che porta, e quindi non solo per la vicenda di Caterina, che di questa storia è la protagonista principale, ma anche per tutti gli altri, per i personaggi del romanzo che altrimenti non avrebbero avuto un riflettore acceso su di loro, operai geometri assessori vedove ambientalisti, a cui Caterina ci dà accesso. Lei apre la porta, e noi tutti entriamo, a scoprire le loro storie.

Lei, come la protagonista di Nina sull’argine, è ingegnere civile, la sua professione traspare ovviamente in questo libro. Cosa l’ha spinta a compiere il salto dal suo lavoro a quello attuale di scrittrice e quali sono i punti in comune fra i due mestieri? Glielo chiedo perché, sebbene ricco di tecnicismi, nel romanzo, il lavoro di Nina, ha dalla sua una certa poesia, qualcosa di romantico, oltre che creativo. 

Ci sono diverse considerazioni da fare. La prima è che non ho compiuto un salto da un lavoro a un altro, ma ho compiuto un salto nel vuoto. Quando ho deciso di smettere, e di dimettermi, già scrivevo da diversi anni, ma ancora non avevo un’idea di pubblicazione, né che futuro avrebbero avuto le cose che scrivevo, se sarebbero state lette da qualcuno, se avrebbero avuto un seppur minimo riscontro. Semplicemente, ho capito che non potevo più andare avanti, che non c’erano più quei puntelli che mi permettevano di svolgere un lavoro come quello dei cantieri e degli appalti. E ho deciso di smettere. Detto questo, credo che i punti di contatto fra l’ingegneria e la scrittura siano diversi, o, per meglio dire, sono diverse le cose che ho salvato e mi sono portata dietro dalla mia formazione, alla quale ho dedicato, fra studio e lavoro, quasi trent’anni. La prima cosa che mi porto dietro è la capacità di osservazione, l’occhio che ti si affina sopralluogo dopo sopralluogo, e che riguarda il paesaggio i manufatti i colori le stagioni, e inevitabilmente anche gli uomini. La seconda è una certa progettualità, una visione ampia di quello che scrivo e che desidero scrivere, anche velleitaria a volte, ma che comunque ti dà energia, insieme a un’organizzazione minuta del materiale in cartelle, liste, elenchi. Un’altra cosa ancora è la sicurezza sulla capacità di lavorare. Un progetto, una costruzione, che sia un’opera idraulica o un romanzo, è frutto di un lavoro costante, giorno dopo giorno, e io, anche quando mi dispero alle prese con una revisione o una stesura della quale non trovo il filo, so che è solo questione di tempo. Macino ore, macino pensieri, macino battute, e prima o poi arrivo a un risultato. Buono o cattivo, questa è un’altra storia ancora. Nel romanzo, in particolare, visto che si parla di un cantiere per la realizzazione di un’opera fluviale, ho lavorato per mostrare l’ingegneria idraulica, quanto sia complessa, ma anche poetica, sfuggente, affascinante, e piena di ricadute metaforiche.

Nina si ritrova in cantiere in mezzo a un ambiente maschile, inizialmente ostico e quasi supponente ammorbidisce i toni quando si rende conto della professionalità dell’ingegnere, a prescindere dal suo sesso. Scrivo questo mentre la Cristoforetti è sullo spazio e, durante una delle sue interviste, invece di chiederle qualcosa della sua impresa, si pensava a dove avrebbe potuto lasciare i figli, dimenticandosi che esistono anche i padri. Quanto cammino occorre ancora affinché si scremi dalla società questo pensiero sulla donna? 

È una domanda difficile, alla quale non so sinceramente cosa rispondere. Il futuro mi è ignoto, sia nel micro che nel macro. Posso dire che un passo è educare i propri figli, non solo i figli maschi, come uno potrebbe pensare di primo acchito, ma tutti i figli. Educare i figli e sorvegliare se stessi, perché il pensiero della discriminazione è una cosa sottile, che lavora sottotraccia, e che ci salta addosso e ci colonizza quando non ce ne accorgiamo. Quando siamo stanchi, spaventati, in difficoltà.

Leggendo la sua biografia ho scoperto che, per il periodo della sua infanzia, siamo state conterranee. Divisa fra due isole insomma per poi stabilirsi in Toscana. Cosa ha lasciato fra Sicilia e Sardegna? 

Le due isole sono per me molto diverse, per gli anni in cui ci ho vissuto, sia i miei personali che quelli della storia con la esse maiuscola, come si dice. La Sardegna è l’infanzia, un periodo in cui la storia mia e della mia famiglia, insieme alla storia del paese, era un storia di forte movimento ma anche di speranza. Per questo ho un ricordo molto trasparente di quegli anni, dolce e cristallizzato. La Sicilia è l’adolescenza e la vita adulta, gli anni dell’illusione e della disillusione, fino alla rabbia. Forse proprio per questo, paradossalmente, la Sicilia è il vero posto da cui mi sento di provenire.

 

Se può, ci sveli qualcosa dei prossimi progetti, a me piacerebbe ritrovare Caterina non glielo nascondo, ma oltre ai romanzi, ha in mente qualcosa per il Teatro?

Sui prossimi progetti c’è sempre un po’ di riservatezza, quella necessaria a far sì che Caterina e il mondo che racconta abbia il giusto spazio. Per quanto riguarda il teatro, non è una cosa a cui penso attivamente, anche perché ci vuole un certo tipo di sensibilità per la parola vista nello spazio che non mi pare di possedere. Però in effetti ho un progetto, in bozza da tanti anni, a cui non mi metto mai fino in fondo perché non mi sembra di essere abbastanza brava. Una storia corale, di mare. Magari chissà, prima o poi lo finisco.

Veronica Galletta


è nata a Siracusa e vive a Livorno. Ha un dottorato in ingegneria idraulica, un marito e un figlio. Ha scritto diversi racconti pubblicati su riviste online («Colla», «L’inquieto», «Abbiamo le prove»). Con il monologo Sutta al giardino ha vinto nel 2013 il premio per monologhi teatrali PerVoceSola del Teatro della Tosse di Genova. Nel 2017, con Pelleossa, è stata finalista alla III edizione del Premio Neri Pozza. Le isole di Norman, finalista della XXVIII edizione del Premio Calvino, è in libreria da aprile 2020 per le edizioni ItaloSvevo e si aggiudica il Premio Campiello Opera Prima. A settembre 2021 esce per minimum fax il suo secondo romanzo, Nina sull’argine.

 

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