Recensione di
Claudia Mameli
Autore: Selene Luise
Editore: Montedit
Collana: I salici
Pagine: 174
Genere: Narrativa/Noir
Anno di pubblicazione: 2015
Figlia di una donna magistrato e di un padre del quale non ricorda nulla, quando Laura riceve l’inaspettata eredità da parte di una zia paterna tutto si aspetterebbe tranne di doversi prendere cura di quello che pare essere il figlio segreto della defunta parente.
Il ragazzo mostra da subito seri problemi di salute, cosicché la giovane ereditiera, dividendosi tra la preparazione della tesi di laurea e la vita in villa, scopre il complicato mondo dell’epilessia e dei danni provocati sulla psiche del ragazzo a causa delle violenze subite nel corso degli anni.
La paura di confrontarsi con la propria madre, una donna dal carattere forte rispetto alla quale, in un certo senso, Laura si è sempre sentita inferiore, portano la protagonista ad affrontare di petto il mondo degli adulti, un mondo ambiguo che la metterà in serio pericolo; a maggior ragione, dopo aver ripreso da un giorno all’altro una parvenza di rapporto con quello stesso padre del quale sua madre non le ha mai voluto parlare.
Le difficoltà della malattia di Candido, sommate all’inesperienza dovuta alla giovane età di Laura, creeranno un susseguirsi di eventi per lei difficili da gestire, ma che costituiranno le basi per la formazione della donna che sarà.
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Selene Luise racconta d’istinto la storia di due anime spaurite. Da una parte c’è Laura, che vorrebbe fare tanto ma non ha il coraggio di opporsi apertamente all’autorevolezza di sua madre; dall’altra c’è un ragazzo che non conosce nulla del mondo, ma che spinto dalla positività della sua salvatrice proverà a rimettersi in piedi per iniziare a camminare con le proprie gambe.
La nicchia descritta dall’autrice appare quindi come un elemento simbolico che riporta al desiderio di fuggire da una vita che non ci appartiene.
I temi presi in considerazione sono diversi, tra i quali spiccano le malattie neurologiche e il ruolo degli assistenti sociali, anche se non ci si sofferma in lunghe e dettagliate spiegazioni, data la complessità degli argomenti.
Appoggiandosi all’immagine del rifiuto di una madre verso il figlio “diverso”, si potrebbe trarre quindi spunto per riflettere sul bigottismo dovuto all’ignoranza umana nei confronti di alcune patologie. Per quanto riguarda la forma narrativa, il racconto fugge in maniera frenetica, dando a volte l’impressione di voler trovare al più presto una via d’uscita alle tante incognite che deve affrontare.
Molto interessanti, infine, sono i riferimenti letterari che vanno a reggere l’intero romanzo, creando un buon presupposto per i seguenti lavori.
“Vent’anni. Un numero. Un’unità di misura. Due parole. Il tutto per designare una tappa della vita di un essere umano. Chi deve arrivarci la ignora, preso dal godersi l’infanzia e l’adolescenza. Chi li ha superati li rimpiange, così come si rimpiange tutto ciò che è passato e mai più tornerà. Me la ricordo bene, quell’età. È tutt’altro che una passeggiata.”
“Se ne stava rannicchiato contro la parete come un cucciolo spaventato, coprendosi la testa con la braccia. Accanto a lui, c’era una ciotola con dentro dell’acqua e una coperta sbrindellata. La nicchia non aveva finestre e sul pavimento lo sporco aveva formato uno strato spesso quanto una tavoletta di cioccolato. L’ustionato lentamente si tolse le mani dalla testa e si scostò i capelli, così ne vidi il volto. Scavato, sporco e deformato da uno sguardo da fantasma”
“I libri sono cuori che pulsano, voci di epoche vicine e lontane, dolce nutrimento di mente e cuore. Se li sai ascoltare ti parlano. Anche se chiusi e abbandonati in un angolo sono capaci di far sentire la loro voce. Cedere al loro richiamo è il più grande regalo che un essere umano possa fare a sé stesso”
“La stanza non era troppo diversa da una camera di ospedale. Le pareti bianche e spoglie, un letto a una piazza con vicino un rozzo comodino bianco, un tavolo e una sedia bianchi e , infine, una rozza poltroncina anch’essa bianca. Un limbo tra il mondo reale e l’altro, dove venivano parcheggiati quegli esseri che la società ripudiava”
INTERVISTA
1) Ciao Selene. Benvenuta tra le righe di questa rubrica letteraria. Per cominciare, puoi parlarci di questo tuo primo esperimento letterario? com’è nato e quali difficoltà hai affrontato nel scriverlo?
– Ciao a tutti. Grazie a voi per avermi accolta. Allora, non è facile parlare della genesi de IL TOCCO DEL ROVO. Lo scrissi all’età di ventuno anni e nacque quasi per caso in un periodo non molto bello della mia vita. Un giorno, mentre facevo una pausa dallo studio, riflettevo su varie cose, quando all’improvviso mi si affacciò alla mente l’immagine di un ragazzo incatenato in una nicchia. Quell’immagine mi rimase impressa, accompagnata da una serie di domande: chi è? Perché si trova lì? Così annotai l’idea su un pezzo di carta. L’idea divenne scaletta. La scaletta divenne testo. A quel punto mi dissi “ma sì, proviamoci”. Superato il blocco iniziale, mi lasciai guidare dalla storia, seguendo i personaggi nelle loro avventure. Pagina dopo pagina, mi resi conto che quella storia era diventata il mio sfogo, il mio grido, il mio modo di dire “io esisto!” e ciò mi è stato di grande aiuto in quel periodo buio. Nella scrittura ho trovato un rifugio e un’arma contro le sfide della vita. La più grossa difficoltà, paradossalmente, l’ho affronta all’atto di cominciare a scrivere la prima bozza. Morivo dalla voglia di dar corpo a questo racconto, ma allo stesso tempo mi tratteneva uno strano timore. Il timore di scrivere una stupidaggine, di arenarmi, di non riuscire a finirlo, ma poi mi sono detta “tu scrivi, lasciati guidare dalla mente. Tanto non lo leggerà nessuno.” E ha funzionato. Mi sono sbloccata e il TOCCO DEL ROVO ha visto la luce. Da allora mi ripeto sempre questa frase, quando scrivo, e il risultato è garantito.
2) Laura è appassionata di letteratura ma sceglie un indirizzo di studio completamente diverso dalle sue aspirazioni. È un’immagine che vedi spesso allo specchio? Hai già pensato ad un nuovo romanzo?
– Laura e io ci assomigliamo e allo stesso tempo siamo molto diverse. Anche io, come lei, ho dovuto scegliere un percorso diverso dalle mie aspirazioni di diciottenne, preoccupata per il mio futuro lavorativo. Quest’immagine la vedo spesso allo specchio e anche nel mondo che mi circonda. In questi tempi difficili, seguire le proprie passioni, specie, in ambito artistico sta diventando sempre di più una sfida e allora si ripiega su qualcosa che magari non piace, ma offre maggiori sbocchi sul mondo del lavoro. Per quel che riguarda la mia esperienza, sono stata fortunata, poiché ho scoperto che il mio indirizzo di studio mi piace, in esso ho scoperto altre passioni come la criminologia e inoltre non mi impedisce di dedicarmi alla letteratura. Infatti ho già scritto altri due romanzi. Uno è affidato ad un’agenzia letteraria, l’altro necessita ancora di correzioni. Dopo di che ne scriverò altri. Le idee non mi mancano.
3) Al di là della trama gialla, nel tuo libro affronti una tematica importante a livello umano: la violenza psicofisica e l’epilessia. Perché questa scelta, e a quali mezzi ti sei affidata per poterne parlare? Esperienze personali o ricerche?
– La violenza psicofisica è una tematica che mi tocca moltissimo. Non riesco a sopportare le ingiustizie, specie se a subirle sono i deboli. Nel mio coprotagonista estremamente fragile ho voluto provare a rappresentare il mondo crudele e spietato nel quale viviamo, la società che non fa sconti a nessuno; nella protagonista, la sete di giustizia che raramente viene soddisfatta, la lotta impari di chi cerca di rendere il mondo un posto migliore. Quanto all’epilessia, c’è lo zampino di uno dei miei autori preferiti : Dostoevskij. Da uno dei suoi romanzi ho tratto ispirazione per il personaggio di Candido. Per poterne parlare mi sono affidata principalmente a delle ricerche fatte per conto mio, spinta dalla mia grande curiosità.
4) Cosa ne pensi dell’editoria italiana?
– Penso che l’editoria italiana sia un mondo molto complicato, in cui se si vuole emergere bisogna farsi strada con le unghie e con i denti. Per un esordiente praticamente sconosciuto, come lo sono io, ci vuole una forte dose di disciplina, tempo e pazienza per arrivare ai lettori, ai quali, per come la vedo io, spetta l’ultima parola nel determinare il successo o meno di uno scrittore. Certo, non è facile. A volte sembra che i risultati non arriveranno mai. Ma non bisogna mai arrendersi. Scrivere è il mestiere più bello del mondo. Ti mette in contatto con il tuo io più profondo, ti fa capire tante cose di te stesso e del mondo, è terapeutico e salvifico. Quando si scrive, comunque vada è sempre una piccola soddisfazione.
5) Prima di salutarti, un’ultima domanda: hai da poco letto un thriller nordico?
– Ultimamente ho letto GLI EREDI di WULF DORN, anche se è più un horror che un thriller, ma nei miei progetti di lettrice mi aspettano parecchi thriller nordici.
Recensione e intervista a cura di Claudia Mameli