Recensione di Loreta Minutilli
Autore: Laura Lindstedt
Traduttrice: Irene Sorrentino
Casa editrice: Elliot
Genere: Narrativa
Pagine: 416
Anno di pubblicazione: 2016
Quando leggo le recensioni e le quarte di copertina dei libri e poi ne affronto in prima persona le pagine, tendo sempre a rimanere delusa.
Insomma, cosa vuol dire che un libro evoca una certa atmosfera? Il verbo evocare stimola una precisa serie di immagini nella mia mente e non è certo detto che tra le pagine del volume io possa ritrovarne di simili; così accade per tutta una sfilza di parole dal suono esotico e dal significato incerto.
Con Oneiron, acclamato lavoro di Laura Lindstedt vincitore del Finlandia Prize 2016, non c’è stata traccia di questa delusione: l’autrice ha l’abilità di creare frasi, costrutti e scene che descrivono alla perfezione ciò che succede quando si evoca qualcosa o quando si usano altre parole astratte e intangibili.
Oneiron si propone come un’opera straniante, invadente e fuori dagli schemi.
Immagina, sei quasi cieca, recita la prima riga.
Quattro parole che sembrano dire: questo libro non è un gioco. Sei chiamata in causa, subito e con tutta l’attenzione possibile attraverso un’intricata serie di passaggi di cui si fatica a vedere il fondo, ti ritrovi scaraventata in un posto di atroce lucentezza, un bianco denso e sconfinato in cui altre sei donne ti attendono per iniziare a raccontare la storia: non sarei mai riuscita a descrivere quel che il verbo scaraventare vuol dire meglio di come ha fatto Laura Lindstedt con l’incipit di Oneiron.
Nel limbo di luce bianca in cui il tempo si è fermato ci sono sette donne di età, nazionalità ed estrazione sociale diverse: l’ebrea americana Shlomith, Ulrike la Salisburghese, l’olandese Wlbgis, la senegalese Maimuna, la francese Nina, la brasiliana Rosa Imaculada e la polacca Polina. Insieme litigano, raccontano, cercano di trovare il senso della loro presenza nel limbo e di ricostruire gli istanti immediatamente precedenti al loro arrivo. Pensano di essere morte e non vogliono crederci; alcune di loro hanno già in sé lo spettro della malattia e altre sembrano sprizzare vita. Inizia così un viaggio tortuoso e profondo da una parte all’altra del mondo attraverso diverse forme narrative: il racconto, l’elenco, l’articolo di giornale, il testo di una conferenza. Alcune delle donne, come Shlomith, Maimuna e Rosa Imaculada, hanno vite avventurose e sorprendenti e attraverso i loro personaggi Laura Lindstedt racconta storie che costituirebbero anche da sole dei quadri coinvolgenti e interessanti; le altre hanno esistenze ordinarie, eppure ognuna di loro è necessaria, unica e infelice a modo suo e le loro storie continueranno ad intrecciarsi a vicenda in un crescendo di tensione fino al momento della catarsi finale.
A stupire più di ogni altra cosa è la monumentale ricchezza di dettagli dell’opera: la narrazione infatti spazia con elasticità e apparentemente senza fatica da un tema all’altro e solo leggendo i ringraziamenti a fine libro è possibile avere un’idea della quantità di tempo e ricerca che è costata all’autrice la stesura di questo romanzo.
Personalmente, ho apprezzato moltissimo le pagine dedicate a Shlomith, l’artista performativa che ha messo tutto il suo corpo a servizio dell’arte e della cultura e che è dimagrita a livelli patologici per dimostrare le connessioni tra ebraismo e anoressia. La sua storia offre uno spaccato insolito e deciso della società degli ebrei ortodossi e genera sentimenti contrastanti: non sarei nella realtà una fan di un’artista estrema come Shlomith, ma l’immagine di lei che trapela dalle pagine è troppo viva, palpitante e decisa perché si possa evitare di amarla.
La parte della storia dedicata a Shlomith è quella più consistente, ma tutte le protagoniste hanno il loro momento per brillare e gli scenari della loro vita, dalla Salisburgo di Ulrike infestata di immagini di Mozart al Senegal di Maimuna dove una ragazza che vuole sottrarsi ad un matrimonio combinato è costretta a mettere in gioco tutto ciò che ha, sono ricostruiti minuziosamente con una prosa ricca e dettagliata.
Alla lingua di Laura Lindstedt è dedicata una lunga e interessante prefazione. Il linguaggio di Oneiron è variegato, si passa in pochi paragrafi da una precisione chirurgica nelle descrizioni ad un lessico volgare apparentemente ingiustificato e qua e là non è raro incontrare parole inventate sul momento (Nina Moltoincinta è un esempio tra tanti). In un paio di occasioni le parole sfuggono allo schema severo delle righe e si espandono disordinatamente in tutta la pagina.
Sotto un tocco più maldestro, l’insieme di questi elementi avrebbe potuto facilmente assumere una forma disordinata e pretenziosa: Laura Lindstedt invece li combina insieme con estrema naturalezza e anche nei momenti in cui le scelte narrative diventano più assurde e bislacche si ha la sensazione che questo sia l’unico e solo modo in cui le cose potevano essere raccontate e che l’autrice sia riuscita a centrare in pieno ogni necessità stilistica e lessicale, evitando di cadere nella trappola del mero esercizio di stile.
Come il limbo bianco in cui sono imprigionate le sette protagoniste, Oneiron è un libro accogliente e rassicurante e si tende a rimandare il più possibile il momento di leggerne l’ultima riga: le donne sono così umane e vere che non si può fare a meno di scegliere fra di loro le preferite, indignarsi e commuoversi insieme a loro e sperare fino alla fine nel lieto fine. Ma qual è poi questo lieto fine? L’interrogativo rimane in sospeso fino alla fine e l’unica certezza che si ha prima di salutare Maimuna, Nina, Wlbgis, Rosa Imaculada, Ulrike, Polina e Shlomith è che qualsiasi momento terribile e angosciante può essere condito di dolcezza se non lo si affronta da soli, che la solidarietà è un sentimento che va oltre la simpatia, la gentilezza e i capricci del caso.
L’aggraziato finale di Oneiron lascia il lettore con un mesto sorriso sulle labbra e una inspiegabile e impellente necessità di trovare qualcuno, chiunque da abbracciare a lungo.
Laura Lindstedt
è nata in Finlandia nel 1976 e ha esordito come scrittrice nel 2007 con il romanzo Scissors, che le è valso la nomination al Finlandia Prize. Oneiron è il suo secondo romanzo ed è stato pubblicato in Finlandia nel 2015, dove ha vinto il Finlandia Prize, il Toisinkoinen Prize e il Varjo – Finlandia Prize nello stesso anno. Il suo discorso alla cerimonia di premiazione del Finlandia Prize ha destato particolare scalpore perché la scrittrice ha denunciato con dure parole il governo finlandese di star creando una società sempre più classista.