Quello che rimane




Quello che rimane (Desperate characters)

Recensione di Marina Morassut


Autore: Paula Fox

Editore: Fazi

Traduttore: A. Cogolo

Pagine: 191

Genere: Narrativa / Suspense

Anno di pubblicazione: prima edizione 2003 – Ulteriore pubblicazione: 2018

 

 
 
 
 
 
 
 

SINOSSI: New York, fine anni Sessanta. Otto e Sophie Bentwood sono una tranquilla coppia di mezza età della borghesia americana. Un pomeriggio, mentre sono nel salotto di casa, fa l’ingresso nella loro vita un gatto randagio al quale Sophie, contro il parere del marito, dà del latte. Da questa scena iniziale, e dalla apparentemente trascurabile ferita inferta dal gatto a Sophie, si dipana quella che pagina dopo pagina, minuto dopo minuto, diventerà per i Bentwood una sorta di piccola e misteriosa tragedia che metterà in discussione il senso stesso del loro matrimonio e dell’intera loro vita.

 

 

RECENSIONE. Ci troviamo al cospetto di un’autrice che viene universalmente riconosciuta come Cantrice della New York del XX secolo e della borghesia colta di Manhattan, come degli orizzonti caraibici in cui è cresciuta. Paragonata ad autori statunitensi del calibro di Updike, Roth e Bellow, ciò nonostante Paula Fox ha conosciuto un periodo di oblio (dette alle stampe il suo ultimo romanzo nel 1990), ma fortunatamente è stata riscoperta dalla Fazi Editore.

Con una magnifica introduzione di Jonathan Franzen in entrambe le edizioni della Fazi Editore, l’autrice ci narra di una New York che forse non è più così, ma che i cinefili facilmente identificheranno nei film di Woody Allen.

Siamo alla fine degli anni sessanta del secolo scorso, agli albori di tutto quello che per la nostra generazione rientra oramai nella normalità, questo di sicuro nella New York ricca economicamente e culturalmente ed in generale negli Stati Uniti. Una coppia di mezza età (entrambi quarantenni e quindi la reale mezza età, non quella che oramai è traslata ai 50 anni!), un rapporto oramai stantio dopo vent’anni di matrimonio senza figli, una coppia culturalmente appartenente alla buona borghesia urbana newyorkese, pur abitando a Brooklyn, e la loro casa singola, ricca di oggetti di antiquariato raccolti nell’arco di anni e con tanto di bel giardino, da un lato confina con un mondo che è sicuramente diverso, ricco di rifiuti, vandalismi e odio di classe, appartenente alla classe nera disagiata, che fa capolino ogni tanto e li infastidisce per quanto avviene sotto ai loro occhi, nonostante la distanza relativamente sicura da tale strada confinante con il loro terreno.

Una vita oramai fatta di routine e di piccoli piaceri che soldi, educazione e cultura possono procurare. L’avvio sembra essere un elemento di poco peso: nella loro vita così tranquilla all’improvviso subentra una variabile inaspettata ma che introduce pathos e suspense e che da qui fa partire una frattura – tutta vissuta nell’arco di un fine settimana o poco più – nella quale tutti i rancori, l’odio, l’amore, il fastidio e il volersi bene e le cose non dette prendono il sopravvento. La variabile è rappresentata da un gatto randagio, a cui la Sig.ra Bentwood, con parere contrario del marito, dà del latte. Inaspettatamente l’animale selvatico la morde.

A nulla valgono le sollecitazioni del marito che la vorrebbe portare subito in ospedale, temendo che il gatto possa avere la rabbia e volendo, ragionevolmente, evitare alla moglie una morte orribile. Subito entrambi considerano che da decenni non ci sono stati casi di rabbia e pertanto non ci dovrebbero essere problemi.

Ma la mano morsa inaspettatamente si gonfia e dal taglio fuoriesce il pus, facendo temere il peggio. Metafora intuibile la raffinata sicurezza del benessere contro l’ansia della vita randagia, povera. Al contempo troppo semplicistica la similitudine della loro strada di ville singole, tranquille, agiate, ed il gatto che arriva dal fondo del giardino, che confina con la parte ancora randagia, selvaggia della popolazione meno abbiente…

Ma c’è un altro fattore che scatena la rabbia e le angosce dal lato maschile di questa coppia oramai rodata. Il Sig. Otto Bentwood, avvocato, dopo decenni di sodalizio lavorativo con il Sig. Charlie Russel, in teoria di comune accordo, decide di dividere lo studio … salvo poi scoprire che il socio aveva lavorato in sordina per cercare di portargli via in modo vile il più ampio numero possibile di clienti. D’altro canto accusato a sua volta da Russel di non prendere in considerazione clienti di una certa fascia sociale – e qui l’autrice ci pone davanti alle nuove istanze che vengono avanti in quel periodo storico.

In entrambi i casi, sia per quanto riguarda il problema della donna con il gatto randagio che per quanto riguarda il problema del marito, l’autrice ci fa intuire con una prosa secca e concisa i diversi problemi che una coppia bene si trova a vivere nella New York della fine degli anni sessanta.

L’emarginazione e la differenza sociale tra loro e la popolazione nera meno abbiente, la problematica della moglie “casalinga” che passa molto tempo da sola (anche se in realtà qui la Sig.ra Bentwood fa la traduttrice), il terrore del dolore prima ancora di sapere se davvero giungerà, la poca dimestichezza a parlare dei problemi, sottacendoli e pensando che possano risolversi da soli o piuttosto che si possano incasellare nella propria vita senza la paura che ad un certo punto scoppino.

E qui subitaneo il pensiero dello sviluppo vertiginoso della funzione dello psicologo, cui tanti cittadini americani ad un certo punto, forse proprio a partire dagli anni immediatamente successivi al 1970 fecero largo uso. Le stesse frequentazioni sociali di questa coppia, con serate nelle quali c’è una commistione di persone di mezza età e giovani, dove macroscopiche sono le differenza di queste due generazioni negli anni sessanta, molto più che ai nostri giorni: in una parola, guardate uno dei film di qualche tempo fa di Woody Allen e vi ritroverete dentro la storia.

Non si può in ultima analisi non volere bene alla complessa figura della protagonista, la Sig.ra Sophie Bentwood, pur restandone distaccati: alla sua liberalità, alla sua delusione verso se stessa, alla sua vulnerabilità di colta donna occidentale, agli albori di una vita come la conosciamo noi adesso, dandola per scontata e senza pensare che le donne che ci hanno preceduto non hanno avuto degli esempi vicini da poter seguire. D’altro canto è vero anche che Paula Fox ha scritto un romanzo in cui rende giustizia a entrambi i lati del matrimonio, senza propendere per uno dei due mondi.

Il titolo originale pensato dall’autrice, Desperate characters, si sposa bene al romanzo, perché riflette proprio ciò che sono i due coniugi; e direi che non c’è nemmeno necessità di traduzione, perché questa concisa definizione si adatta alla perfezione a questa coppia newyorkese.

Così come la traduzione italiana del titolo, diventato “Quello che resta”, è inarrivabile e secca fotografia in bianco e nero di questa coppia che alla fine della vicenda che inizia e si conclude nell’arco di pochi giorni, è costretta a fare il punto della situazione e prendere delle decisioni.

In ultima analisi, sono proprio la disperazione e la lotta istintiva contro l’ideale di perfezione forse i protagonisti assoluti del romanzo, più ancora dei coniugi Bentwood: e li lasceremo proprio nelle ultime pagine con questa amara compagnia, abbracciati così forte da non potersi nemmeno muovere…

 

 

 

Paula Fox


(New York, 22 aprile 1923 – Brooklyn, 1º marzo 2017),scrittrice statunitense autrice di romanzi per adulti e per ragazzi e di due libri di memorie. Il suo romanzo The Slave Dancer (1973) ha ricevuto la Newbery Medal nel 1974; e nel 1978, ha vinto il premio Hans Christian Andersen. Più recentemente, A Portrait of Ivan le ha fruttato il premio Deutscher Jugendliteraturpreis nel 2008. Paula Fox è la nonna biologica della rock star Courtney Love.