Sete




Recensione di Francesca Mogavero


Autore: Amélie Nothomb

Editore: Voland

Traduzione: Isabella Mattazzi

Pagine: 128

Genere: Narrativa

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. Dopo il processo e il giudizio di Pilato, Gesù trascorre la sua ultima notte in cella, profondamente afflitto dalle incredibili testimonianze dei suoi miracolati. Nello spazio-tempo creato dalla inesauribile penna di Amélie Nothomb prende vita questo romanzo in prima persona in cui la figura più universalmente nota al mondo occidentale, ma anche la più oscura, racconta di sé sulla soglia della propria morte. Ne viene fuori una preghiera urlata come un tributo alla vita, come un inno alla fragilità dell’umano, alla gioia del corpo, all’abbandono dei sensi, alla paura, alla sofferenza, alla compassione, a quella strana cosa che si chiama amore.

Recensione

Morire a trentatré anni e saperlo da sempre non è mai una bella sensazione. Nemmeno nel primo secolo dopo (o durante, in questo caso?) Cristo, quando l’esistenza doveva essere ancora più precaria di oggi.

Sapere di morire crocifissi, poi, dev’essere ancora peggio.

Ecco, facciamo un gioco e, forse per la prima volta, proviamo a metterci nei panni di una delle figure più conosciute, pregate, scongiurate e tirate in ballo del mondo occidentale e non solo: Gesù.

È quasi ironico domandarsi cosa abbia provato nella sua ultima questo personaggio così potente, al quale tutti chiedono e non dicono mai grazie davvero, anzi, ma rivolgono rimproveri perché, si sa, un bambino miracolosamente guarito è più vivace di prima, servire un vino eccellente dopo uno appena passabile” è da maleducati ed essere riportati in vita comporta portarsi dietro una puzza di putredine che offende le narici. Sarebbe come chiedere a Dio “come stai?”, domanda superflua, dal momento che il Creatore “sta” e basta, da sempre e per sempre, motore immobile nella sua perfezione e che pertanto, nell’ottica dei comuni mortali, afflitti da piaghe e da una perpetua Apocalisse imminente, non ha diritto a una brutta giornata.

Da Cristo ci aspetteremmo una dolce rassegnazione che sconfina nella volontà di sacrificio, il pio raccoglimento tipico di chi è già con la mente e l’anima altrove, la pace dopo un momento di sconforto, la tentazione del diavolo e la consolazione di un angelo.

E invece no. Gesù – attraverso la mano invisibile ma sempre poderosa e ironica di Amélie Nothomb– scrive il suo personale Vangelo, senza fronzoli né indoramenti di pillola, e ci mostra quello che è: un’incarnazione alla lettera, un corpo, un uomo. Dotato di sensi, di passioni, inclinazioni e difetti, di una percezione fuori dal comune – Quando mi sdraio per dormire, questo semplice abbandono mi procura un piacere tanto profondo che devo impedirmi di gemere. Se non mi controllassi, mangiare la più umile zuppa o bere acqua, magari neanche fresca, mi strapperebbe sospiri di voluttà. Mi è già successo di piangere di piacere, respirando l’aria del mattino”.

È un uomo giovane, magro – anche lui ha dovuto confrontarsi con una madre, pur dolcissima e buona oltre ogni limite, che lo vede perennemente sciupato – che conosce il disprezzo, l’amore, perfino il male (“Per poterlo identificare negli altri, è indispensabile che io ne sia provvisto”): ed è questo a renderlo più vicino a noi, un “noi” che abbraccia lettori, fedeli, agnostici e atei, chiunque si avvicini a questo libro, e straordinario.

Come è riuscita una persona – perché di questo si tratta, pur con tutte le eccezioni ed eccezionalità del suo caso specifico – a portare un simile fardello, dalla consapevolezza di una morte prematura e terribile, il peso dei miracoli, fino alla croce, ai chiodi e alla lunga agonia?

Come ha potuto sceglierlo, accettarlo?

E se ci fosse un malinteso in tutto questo, un errore destinato a essere ricopiato più e più volte come il refuso di un amanuense, a essere ripetuto anno dopo anno, secolo dopo secolo?

Gesù ritorna mentalmente sui suoi passi – e tra le braccia di Maddalena, nelle passeggiate con i discepoli, alle nozze di Cana – si fa filosofo e severo giudice di se stesso, confessore, amico, in una lunga chiacchierata che travalica la notte in cella, continua nella salita al Golgota, nelle cadute, nel momento della morte e di ciò che ci sarà dopo… un dialogo con se stesso che non si esaurisce e non stanca mai, così come la sete è inestinguibileLa fine della fame si chiama sazietà. La fine della stanchezza si chiama riposo. La fine della sofferenza si chiama conforto. La fine della sete non ha nome. La lingua, nella sua saggezza, ha capito che non è possibile creare il contrario di sete. Ci si può dissetare, ma la parola dissetamento non esiste.

Una sete che, se spingiamo un poco oltre il limite, guardando le gocce sul bicchiere d’acqua con desiderio crescente, si tramuta in inesplicabile miele, in amore sconfinato… forse nel segreto stesso dell’esistenza.

A cura di Francesca Mogavero

 

Amélie Nothomb


Amélie Nothomb, nata nel 1967 a Kobe, Giappone, trascorre l’infanzia e la giovinezza in vari paesi dell’Asia e dell’America, seguendo il padre diplomatico nei suoi cambiamenti di sede. A 21 anni torna in Giappone e lavora per un anno in una grande impresa giapponese, con esiti disastrosi e ironicamente raccontati in Stupore e tremoriRientrata in Francia, propone un suo manoscritto a una solida e storica casa editrice, Albin Michel. Igiene dell’assassino esce il 1° settembre del ’92 e conquista subito molti lettori. Da allora pubblica un libro l’anno, scalando a ogni nuova uscita le classifiche di vendita. Ha ottenuto numerosissimi premi letterari tra cui il Grand Prix du roman de l’Académie Française e il Prix Internet du Livre per Stupore e tremori, il Prix de Flore per Né di Eva né di Adamo ‒ da cui nel 2015 è stato tratto il film Il fascino indiscreto dell’amore di Stefan Liberski ‒ e due volte il Prix du JuryJean Giono per Le Catilinarie e Causa di forza maggioreOggi vive tra Parigi e Bruxelles.

 

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