Recensione di Chiara Forlani
Autore: Wladimiro Borchi
Editore: Bibliotheka Edizioni
Genere: Horror
Pagine: 184
Anno di pubblicazione: 2021
Sinossi. Nell’estate tra la terza media e le scuole superiori, un gruppetto eterogeneo di compagne di classe decide, all’insaputa dei genitori, di andare in pellegrinaggio sul luogo in cui, dieci anni prima, si è consumato un feroce delitto: un omicidio suicidio, in cui una ragazza di diciannove anni è stata barbaramente uccisa dal fidanzato coetaneo, prima di togliersi la vita. Si tratta, né più né meno, di una passeggiata sulle colline a margine della città da cui tornare in tempo per la cena. Nel bosco, però, una presenza all’apparenza innocua, un ricordo dolce dell’infanzia, prenderà forme davvero inaspettate, conducendo le ragazzine a smarrire il sentiero del ritorno. La madre divorziata di una di loro, nonostante l’inettitudine dell’ex marito e l’indolenza degli altri genitori, riuscirà a scoprire indizi sulla meta delle fanciulle e deciderà di affrontare il bosco e la notte per tentare di portare in salvo sua figlia e le amiche. Intanto, l’isolamento e la paura faranno emergere conflitti tra le disperse, che da tempo bruciano sotto la cenere, mentre quella stessa entità, all’apparenza salvifica, userà il suo potere per confonderle e condurle alla stessa disperazione delle sue precedenti vittime.
Recensione
Alzi la mano chi da piccolo non si è dato da fare per organizzare spedizioni in luoghi misteriosi. E alzi la mano chi non ha mai provato il sottile piacere di leggere storie di paura, come si faceva in passato nella stalla o davanti al fuoco… Penso che, di fronte a domande del genere, le mani alzate sarebbero ben poche. Fa parte della natura umana il desiderio di avventura, letta, vista in un video o vissuta. Vivere il pericolo, nella finzione o nella realtà, è una pulsione tipica dell’uomo, per mettersi alla prova e raggiungere il filo sottile che separa la vita dalla morte. Per i più giovani può essere un rito di passaggio, il momento decisivo che boccia o promuove che vuole crescere, chi vuole trasformarsi da bambino in adulto.
In questo libro varie storie si intrecciano sullo stesso percorso: quella di un gruppo di ragazzine in cerca di avventura e di un monumento funebre improvvisato, quella di tre giovani che vogliono lo sballo, tra perversione, crudeltà e follia, quella di un uomo che sembra pazzo ma forse non lo è, e infine quella di un bambino dal pigiama a pallini, che appare e scompare.
L’ambientazione è indistinta: c’è un sentiero che sale ripido verso l’alto attraversando il bosco, una chiesetta abbandonata, un vecchio manicomio deserto. Tutto sommato, un luogo che potremmo trovare nei dintorni dei luoghi in cui viviamo. Forse, se ci andassimo di giorno, non ne avremmo paura. Ma qui, in cima alla salita, in passato è successo qualcosa di terribile, e le forze oscure del male permeano ancora ogni sasso o arbusto che si trova sul luogo. Quando scende la notte, i contorni delle cose perdono consistenza, la paura attanaglia le ragazzine e si concretizza in minacce reali.
Gli archetipi che troviamo nella storia sono quelli classici: dal bosco, simbolo di ogni incognita, luogo oscuro da attraversare, che porterà verso la trasformazione e una maggiore consapevolezza, un cambiamento o la crescita, alla paura del buio e di ciò che nasconde, timore che caratterizza l’età bambina ma spesso non abbandona nemmeno gli adulti, al desiderio di trasgredire e di rompere gli schemi, che si spinge al punto da mettere a repentaglio le vite dei personaggi del romanzo, al branco di lupi che attraversa il bosco, come nella più macabra delle fiabe. “Solo il leggero scricchiolio di qualche piccolo legno sotto le zampe e il frusciare delle foglie secche interrompevano l’assoluta assenza di rumori in quella parte del bosco. Ma erano suoni che gli umani non avrebbero mai potuto udire, coperti com’erano dal rumore dei loro versi sguaiati. Umani. Pericolo. Il branco si preparò ad attaccare.”
Vivo nel buio è una storia corale dove non c’è un vero protagonista: le figure che agiscono sulla scena sono tutte comprimarie, tendono la corda della tensione narrativa con vari colpi di scena fino alla conclusione della vicenda, che fin dall’inizio si prospetta macabra.
Leggendo questo romanzo horror, che non risparmia le scene splatter, la riflessione che mi sorge spontanea è che nell’essere umano, nei momenti critici, emergono le pulsioni più vili, finalizzate unicamente alla sopravvivenza, costi quel che costi. Il genere che si distingue per maggiore dignità e coerenza nel romanzo non è l’uomo, ma il lupo.
A cura di Chiara Forlani
Wladimiro Borchi
classe 1973, è un avvocato fiorentino appassionato di teatro e narrativa. Ha scritto testi teatrali, andati in scena in vari teatri della sua città. Nel 2017 vede la luce, per i tipi de La Signoria Editore, il romanzo “Liriche esplicite”, un legal-thriller dalle venature pulp e la nuova edizione accresciuta del suo primo romanzo: “Aurora Conan Boyle e il Grande Segreto di Babbo Natale”, originariamente pubblicato in self-publishing. Nel 2018 JollyRoger Edizioni ne pubblica il seguito: “Alice Conan Boyle e i misteri di Querciamondo”.
Nel 2018 sempre JollyRoger Edizioni ha pubblicato il suo breve romanzo storico “Eravamo fascisti”. Nello stesso anno, il suo racconto “Ludus in fabula” è stato pubblicato in una raccolta edita da Scatole Parlanti. Il suo romanzo dark fantasy “Il respiro dell’Uno”, è arrivato in finale all’edizione 2018 del concorso letterario nazionale “Streghe, Vampiri & Co.” ed è stato pubblicato nel 2019 da JollyRoger Edizioni. “Vivo nel buio” , di genere horror, ha vinto l’edizione 2019 del concorso letterario nazionale “Streghe, Vampiri & Co.”
Nel 2020 il suo racconto Voci nel silenzio si è aggiudicato la medaglia di bronzo alle olimpiadi della scrittura.
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