L’ultimo figlio




L’ULTIMO FIGLIO


Autore: Philippe Besson

Editore: Guanda

Traduzione: Leila Beauté

Genere: narrativa

Pagine: 176

Anno di pubblicazione: 2022

Sinossi. Oggi per Anne-Marie è l’ultimo giorno della sua vita come l’ha conosciuta finora. Théo, il suo terzo figlio ormai diciottenne, se ne va di casa. In questa giornata in cui apparentemente non succede nulla di speciale – l’ultima colazione insieme, il trasloco, il pranzo al ristorante – Anne-Marie osserva con sensibilità estrema e dolore crescente ogni azione del figlio, ogni passo che lo allontana da lei. Di ritorno con il marito Patrick, un uomo di poche parole, in quella casa così grande e ora così vuota, si lascia andare ai ricordi. L’incidente che l’ha resa orfana appena ventenne, obbligandola ad abbandonare gli studi, il matrimonio, solido ma poco romantico, il lavoro, sicuro ma ripetitivo, e Théo bambino, cresciuto tanto in fretta e ora lontano. Di fronte a questo evento ordinario, che porta con sé la coscienza che nulla sarà più come prima, la pervade un senso di vertigine. Come può una madre reinventare il proprio futuro? Come imparare a vivere di nuovo sola con il marito? Philippe Besson racconta le ventiquattro ore di una donna, una madre, la cui esistenza vacilla davanti alla separazione ineluttabile dall’ultimo dei suoi figli, e ne scandaglia i sentimenti più nascosti e contraddittori, le paure, la fragilità, in una disamina profonda sul senso della vita, della famiglia e della coppia.

Recensione di Laura Salvadori

Premetto che non ho letto niente altro di questo autore e che ho scelto questo romanzo breve “a scatola chiusa”, con il solo ausilio della sinossi. Sapevo che l’autore si soffermava sulla cronaca di una sola giornata. Sapevo che non avrei trovato azione bensì introspezione, studio dei sentimento, ricordi, rancori, paura del futuro.

Eppure la lettura di questo romanzo mi ha in qualche modo scioccata. Oltre al fatto che è un uomo che racconta con dovizia di particolari il sentito di una madre che si stacca per l’ultima definitiva e irrevocabile volta dai suoi figli.

Un uomo che ha pensato di poter interpretare i sentimenti di una madre che taglia l’ultimo cordone ombelicale con i suoi figli, che se ne vanno e dei quali perderà per sempre la vicinanza, il tocco, l’effluvio dei loro odori, così primordiali, così afrodisiaci.

Lo dico fuori dai denti: il sentire di una madre non è neanche lontanamente paragonabile, immaginabile, sovrapponibile a quello di un padre, che per quanto coinvolto, non subisce l’amputazione dell’uscita di un figlio dalla casa patronale. E con questo non voglio dire affatto che approvo le sensazioni trascendenti e assolute di Anne-Marie. Tutt’altro. Le ho trovate eccessive, al limite della sanità mentale.

Chissà se Philippe Besson ha sospettato anche solo per un attimo di stare per avventurarsi in un campo minato. Beh, se questo sospetto ha latitato, mi piacerebbe essere proprio io, personalmente, a rappresentargli la caducità, la fragilità di un simile argomento.

Perché delle due una: o chi legge si riconosce in Anne-Marie (nelle sue paranoie al limite della follia, nei suoi voli pindarici che sfiorano fino a compenetrare l’ossessività) oppure, al contrario, sisente defraudata, incompresa, semplificata, mistificata (e questa sono io!).

Questo non vuol dire che il grigiore, la pesantezza, l’inquietudine di questa ultima giornata con il figlio siano resi magnificamente da Besson, che trasforma una parentesi di poco più di 12 ore in un travaglio senza fine.

Le insicurezze di Anne-Marie nel porsi di fronte al figlio, i segreti che quest’ultimo serba alla madre, la distanza tra il mondo del figlio e quello della madre (una distanza riconducibile all’appartenenza a due diverse generazioni ma anche alla curiosità morbosa che la madre ha nei confronti della vita del figlio, di cui non conosce più tutti gli anfratti e al bisogno del figlio di costruire la propria intimità lontano dalla madre – passaggi, questi, naturali, propri dell’evoluzione che il rapporto madre figlio subisce con il passare del tempo – ), l’assalto dei ricordi di quando il figlio era piccolo e la madre era il suo porto sicuro, il rifiuto irrazionale e capriccioso della madre nei confronti del dispiegarsi e del realizzarsi di diverse e nuove dinamiche del loro rapporto sono gli aspetti che Besson tratteggia in questo romanzo. Che, se da un lato offre una visuale profonda nell’intimo di una madre che sta per lasciare andare il suo ultimo figlio, dall’altro finisce per ridurre la figura materna ad una figura patetica, fragile, del tutto anacronistica.

Una donna che dovrà ridisegnare anche il rapporto con suo marito, un uomo chiuso e poco incline al romanticismo. Come se la dipartita dei figli dovesse togliere significato al matrimonio che adesso rischia di schiantarsi al suolo, privo di quel cuscinetto dolce amaro che sono i figli, così amati da costituire motivo di gioia costante, così pura da offuscare anche un rapporto che annaspa nell’abitudine e nella noia.

Tutto vero, del resto. Ma tutto molto amaro da digerire.

Questa è l’immagine della maternità che dobbiamo fare nostra? La risposta è negativa, naturalmente.

Beh, se Besson intendeva calcare la mano sul legame viscerale di una madre per i suoi figli, ha centrato l’obiettivo. Ma sia anche consapevole di aver sfiorato qualche filo scoperto, che ha provocato scintille alte un metro. Perché Anne- Marie ha qualcosa di spaventoso in sé. Qualcosa che latita in ogni madre. Una nebbia che appare all’improvviso a confondere la via del raziocinio a vantaggio della fragilità, in ogni sua accezione.

 

Acquista su Amazon.it:

Philippe Besson


Philippe Besson è nato nel 1967. Guanda ha pubblicato i romanzi E le altre sere verrai?, Un amico di Marcel Proust, I giorni fragili di Arthur Rimbaud, Un ragazzo italiano, Come finisce un amore, Non mentirmi e Un certo Paul Darrigrand.