Omicidio al Monte Fuji
Autore: Shizuko Natsuki
Traduzione: Laura Testaverde
Editore: Mondadori
Genere: Giallo
Pagine: 324
Anno di pubblicazione: 2022
Sinossi. Ichijō Harumi ha venticinque anni e sogna di fare la drammaturga; per mantenersi, dà lezioni private di inglese a Mako, giovane ereditiera della potente famiglia Watsuji, magnati dell’industria farmaceutica giapponese. Invitata a trascorrere con loro le festività del Nuovo Anno per aiutare Mako a terminare la sua tesi, Harumi diventa testimone di un fatto sconvolgente: la sua allieva sostiene di aver ucciso Yohe, il capofamiglia. Il vecchio patriarca, impenitente seduttore, avrebbe cercato di violentare la nipote e, nel tentativo di difendersi, la ragazza lo avrebbe pugnalato a morte con un coltello da frutta. Subito i Watsuji decidono di insabbiare la verità per proteggere Mako e soprattutto l’onore della famiglia; Harumi è suo malgrado coinvolta nelle loro macchinazioni. Il caso è affidato ai detective Nakazato Ukyō e Tsurumi Saburō, per i quali gli interrogativi si infittiscono ogni giorno, senza che si profili nessuna risposta. A mano a mano che le indagini della polizia procedono, però, Harumi si rende conto che le cose non stanno esattamente come i Watsuji vogliono farle apparire, e si trova davanti un tremendo dilemma.
Recensione di Salvatore Argiolas
“Omicidio al Monte Fuji” di Shizuko Natsuki in apparenza è una “Inverted detective story”, particolare procedimento narrativo che mostra sin dall’avvio il delitto e poi sviluppa l’inchiesta degli investigatori mentre il lettore conosce già le modalità del crimine.
Il primo scrittore a utilizzare questa particolare procedura fu Richard Austin Freeman, grande autore dell’epoca d’oro del giallo e creatore dell’investigatore scienziato dottor Thorndyke, che affermò di esser stato il primo a concepire questo sottogenere:
“Nel 1912, nella raccolta di racconti “The Singing Bone” ideai, come esperimento, un’indagine story capovolta “an inverted detective story”, in due parti. La prima parte è una minuziosa e dettagliata descrizione del delitto partendo dagli antefatti, dai motivi e dalle circostanze sottese. Il lettore vede il delitto, conosce tutto del colpevole ed è in possesso di tutti i fatti e sembra che non ci sia nient’altro da dire. Ma penso che il lettore venga tanto colpito dal crimine che possa anche tralasciare qualche prova così che la seconda parte in cui avviene l’indagine sull’omicidio può parere qualcosa di inedito.”
Nel tempo furono in tanti a averlo come modello, come per esempio Roy Vickers ma l’esempio più noto è quello degli episodi televisivi del Tenente Colombo.
Colombo, per intuizione, per un particolare stato di “grazia”, per un suo personale fiuto per la menzogna, capisce subito chi è il colpevole ma non ha prove per cui bracca lo scellerato dandogli però l’illusione di condurre il gioco mentre è sempre l’astuto tenente a predisporre il percorso su cui porrà la trappola decisiva.
Tra i migliori romanzi di questo sottogenere è da citare assolutamente “Il sospettato X” di un altro giapponese, Keigo Higashino, che affascina per la perfetta funzionalità di tutti i meccanismi narrativi.
E’ la stessa Natsuki a fare un preciso riferimento all’inizio del libro, quasi a voler giocare con la trama:
“Pareva di leggere il prologo di uno di quei romanzi polizieschi con la struttura al contrario, in cui gli elementi essenziali del delitto sono sotto gli occhi di tutti fin dall’inizio. Restava un dubbio: perché?”
Quando, durante una cena di famiglia che doveva celebrare le vacanze per il nuovo anno nelle suggestive vicinanze del monte Fuji, la giovane Mako irrompe nella sala da pranzo sanguinante e in preda all’ansia, dicendo di aver pugnalato il nonno, tutto il parentado si mobilita per cercare di trovare una via di fuga, sia per salvare Mako sia per evitare che l’anziano presidente della Watsuji farmaceutici sia fatto passare per un pervertito in quanto la nipote asserisce di averlo pugnalato per evitare di essere violentata.
Tutti i presenti si attivano per organizzare un modo per sviare la polizia facendole credere che l’assassinio sia da addebitare ad un ladro penetrato nella villa per rubare e per far ciò creano false piste e un’articolata manipolazione del cadavere per far credere che l’omicidio sia avvenuto qualche ora dopo il reale accoltellamento.
Qualcosa però non funziona in quanto i poliziotti, da qualche labile ma indicativo indizio come una tracce sulla neve che si intersecano in maniera illogica oppure una riga di farina su un dito di un testimone, capiscono che qualcosa non quadra e decidono di compiere accurate perquisizioni e approfonditi interrogatori spingendosi sino a Tokyo, per avere un quadro quanto mai chiaro del contesto familiare in cui è nata la tragedia.
Tra gli investigatori spicca Nakazato, “quarant’anni, ispettore da meno di tre, con la conformazione fisica che ricordava un lottatore di sumo, grosso sopra e minuto sotto ma nella cui testa, grossa in modo sproporzionata rispetto al corpo, i pensieri turbinavano ad una velocità impressionante.”
Ed è proprio lui ad unire diverse intuizioni che finiranno per diventare una teoria investigativa molto interessante destinata a diventare una solida incriminazione.
Quando sembra che l’indagine sia chiusa e tutte le prove raccolte portino alla certezza che la colpevole sia Mako, che del resto confessa il reato, grazie all’insegnante di inglese della ragazza la trama presenta un susseguirsi di colpi di scena tanto inaspettati quanto avvincenti che hanno alla base un disegno criminale veramente diabolico mentre il Monte Fuji assiste silenzioso e maestoso alla tragedia di W.
Soprannominata la “Agatha Christie giapponese” Shizuko Natsuki in un’intervista del 1987 rifiutò questo onore perché“molti dei suoi libri fotografavano un’era molto diversa e i suoi romanzi non considerano per niente i problemi sociali diversamente dai miei libri. Al giorno d’oggi i mystery devono riflettere i problemi umani in modo che i lettori possano sentirsi coinvolti e così se si pensa che io assomigli ad Agatha Christie, oltre al fatto superficiale che siamo scrittrici di gialli, devo aver sbagliato qualcosa.”
In effetti se c’è un nome da accostare alla narrativa di Shizuko Natsuki penso sia più adatto quello di Ellery Queen e sono molti gli indizi lasciati in modo palese dalla scrittrice in questo libro, a partire dalla dedica “Dedicato al signor Ellery Queen e alla signora Rose”, al titolo giapponese “W no Higeki “La tragedia di W”, un trasparente omaggio alla quadrilogia di Ellery Queen imperniata sull’attore Drury Lane, i cui primi tre libri si intitolano “La tragedia di X”. La tragedia di Y” e “La tragedia di Z”, citazione ripresa anche nel libro: “Nel campo della matematica la w è la quarta incognita”. (…) pare che sia convenzione che quando x,y e z non bastano, si possano usare la u, la v o la W, a scelta.” ma è soprattutto la trama, ricca di sorprese e curve narrative, che ricorda i migliori romanzi di Queen come “Dieci incredibili giorni” o “Bentornato, Ellery”.
Ma l’ambizione della Natsuki non si limitava a riprodurre in Giappone un giallo complesso e valido come quelli più famosi in Occidente ma era anche proiettata verso la critica sociale di un ambiente borghese arido e ipocrita.
In “Omicidio al Monte Fuji” tutta la famiglia Watsuji è messa sotto accusa per i conflitti interni nati dall’avarizia, dagli eccessi sessuali e dall’arroganza di classe, e tenta di sviare le indagini per proteggere un loro membro e l’onore della vittima mentre l’unico personaggio positivo è la giovane insegnante che fa ripetizioni di inglese.
“Era bastata una sola notte d’indagini perché venissero a galla rapporti subdoli, intrecciati nel sospetto e nella diffidenza.”
Un personaggio del libro dice “Mi sa che i poliziotti giapponesi, in generale, sono proprio bravi” e parafrasandolo possiamo anche azzardarci a dichiarare che se i giallisti giapponesi, in generale, sono proprio bravi, Shizuko Natsuki merita davvero una menzione particolare per come utilizza i generi canonici, integrandoli e gestendo trame di assoluto valore.
Dopo “Tempesta d’autunno” e “L’abbandono”, “Omicidio al Monte Fuji” è il terzo romanzo della Natsuki che leggo e devo ammettere che sono tutti estremamente validi e intriganti.
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Shizuko Natsuki
(Tokyo 1938- Fukuoka 2016), considerata l’”Agatha Christie giapponese”, ha pubblicato circa cento romanzi polieschi, di cui una decina hanno avuto adattamenti televisivi di successo. Con “Daisan no onna” (1978) tradotto in Francia come “La promesse de l’ombre” nel 1989, ha vinto il Prix du roman d’aventures. “Omicidio al Monte Fuji” (1982) è la sua opera più celebre, da cui sono state tratte diverse trasposizioni cinematografiche.