La bambina di Auschwitz
Tova Friedman & Malcolm Brabant
Newton Compton 2023
Andrea Russo (Traduttore)
Memoir, Storia d’Europa pag.288
Sinossi. La storia vera di Tova, una tra i pochissimi ebrei a essere uscita viva da una camera a gas Tova Friedman è una delle più giovani sopravvissute ad Auschwitz. A soli quattro anni scampò alle esecuzioni di massa nel ghetto della città polacca in cui viveva insieme alla sua famiglia. A sei anni fu fatta salire su uno dei treni diretti verso l’inferno in terra e deportata nel campo di concentramento nazista di Auschwitz-Birkenau. Nonostante la giovane età, in quel luogo fu testimone di terribili atrocità e si trovò, come pochissimi altri hanno avuto la possibilità di testimoniare, dentro una camera a gas. In questo libro Tova Friedman racconta finalmente la sua storia.
Recensione di Davide Piras
La bambina di Auschwitz è una di quelle opere destinate a rimanere nell’immaginario collettivo: per la lucidità con la quale vengono narrati i fatti dell’Olocausto, per la precisione storica, per l’accurata documentazione, per il dolore e la rabbia che suscita la lettura, ma soprattutto per la crudeltà con cui viene esposta quella verità che ogni essere umano, in particolare europeo, vorrebbe non fosse mai esistita. Se ne prova vergogna per il solo fatto di appartenere alla stessa specie animale di chi commise la barbarie, di chi la avvallò o chiuse gli occhi girandosi dall’altra parte per tutelare il proprio microcosmo.
Tova Friedman ha 84 anni, è nata in Polonia ma possiede anche la cittadinanza americana, il suo cognome di nascita è Grossman. Nella vita si è realizzata divenendo terapista, assistente sociale e accademica. C’era però qualcosa che la erodeva dall’interno, qualcosa di incompiuto: non poteva rischiare di andarsene senza tramandare alle generazioni future il suo pezzetto di memoria. Tova visse nel ghetto di Tomaszόu Mazowieki assieme ad altri 13.000 ebrei. Alla fine della Seconda guerra mondiale sopravvissero solo in 200; appena 5 erano bambini, e Tova faceva parte di quest’ultimi. Assieme al giornalista britannico Malcolm J. Brabant ha così deciso di mettere fine ai tormenti interiori trasportando su carta la sua testimonianza diretta dell’orrore.
La vicenda si snoda su diverse fasi temporali e utilizza la struttura narrativa del flashback per aprire il ventaglio su tutta la situazione dei territori occupati dai nazisti. Il racconto si apre quando Tova ha solo 4 anni e il campo di Birkenau è in fermento per lo sgombero operato dai tedeschi minacciati dai russi che ormai sono quasi sul posto. Tova ritrova sua madre e per scampare alle ultime rappresaglie naziste è costretta a nascondersi sotto un telo, assieme al cadavere di una giovane che riposa nell’infermeria.
Gli autori, da questo punto, cominciano il loro saliscendi temporale, atto all’esposizione della situazione che si viveva in Polonia nei mesi che precedettero l’inizio dello sterminio di massa: dalla creazione dei ghetti alle prime emarginazioni con il blocco dell’elettricità e il montaggio di grossi tendoni per la divisione con i quartieri ariani, passando per lo stipamento anche di 70 persone in un piccolo appartamento, causando epidemie devastanti di tifo per la scarsa igiene, e arrivando ai rastrellamenti e l’internamento nei campi di concentramento e sterminio. La differenza principale tra questo documento e altri memoir che rappresentano delle vere e proprie pietre miliari per la conoscenza e lo studio dell’Olocausto – su tutti le opere di Primo Levi e di Elie Weisel, nonché di Liliana Segre – è proprio la vastità e completezza del quadro storico dell’epoca.
Mentre quasi tutte le opere autobiografiche o di fiction si sono concentrate sull’esperienza personale di un singolo individuo o di ristretti gruppi di protagonisti, Tova Friedman, grazie al suo ballo nel tempo, riesce a dar voce prima alla sua famiglia, poi al ghetto e infine a un popolo intero. Questo libro è anche un’epopea familiare che descrive il rapporto tra Tova e suo padre, un uomo coraggioso che andò contro la famiglia pur di trasferirsi a Danzica e inseguire i suoi sogni, primo tra tutti diventare attore professionista dopo una comparsata nel film “Yidl mitn fidl” al fianco della stella del cinema muto Molly Picon. Ma Tova ci descrive anche l’amore di sua madre per lei, quella madre mai rientrata a casa, e si apre facendo trasparire tutte le mancanze, come quella dei nonni fucilati davanti ai loro occhi. Seguendo le vicende di tutti i suoi parenti, Tova traccia un quadro limpido di tutto ciò che accadde in quegli anni che hanno segnato per sempre la storia del mondo. Lo fa dall’inizio dell’incubo sino alla liberazione. Lo fa con lo sguardo di una bambina di 4 anni che capisce quel che può capire, che intuisce ma non può sapere: come quando leccava i muri per istinto alla ricerca del calcio che mancava al suo organismo; come quando pur congelata dal freddo, per pudore non rubò i guanti di un’altra bambina morta; come quando durante la fuga nel fango, nonostante il rischio di essere ammazzata, desiderò raccogliere una bambola perduta; come quando dormì senza paura accanto a un cadavere; come quando nel campo gli importava solo mangiare e rivedere sua madre. Tova ci spiega che la consapevolezza di ciò che visse arrivò solo negli anni: crescendo, ogni giorno interpretava un episodio e lo fissava nel contesto giusto. È lo scorrere della vita che ci rende padroni della nostra esperienza. Per lei è stato così, e non è mai riuscita a lasciarsi alle spalle nulla di quel che accadde davanti agli occhi ciechi del mondo. Una volta in America arrivò persino a proibire la televisione ai suoi figli per non contaminarli con la visione consumistica statunitense. Non è stato facile vivere sapendo di essere una dei soli cinque bambini del ghetto di Tomaszόu Mazowieki sopravvissuti. Ci si guarda allo specchio e ci si chiede perché, si respira e si sa che nulla è dovuto al merito: tutto è dipeso dal destino, dalla fortuna, nel suo caso dall’amore di sua madre. Eppure, nonostante Tova non abbia mai trovato particolarmente edificante la cultura americana, la sua vita è come una sceneggiatura hollywoodiana, di quelle ad andamento circolare: è nata in Polonia e ha conosciuto l’orrore, si è realizzata, sposata, ha avuto quattro figli, ma il cerchio si è chiuso solo dopo il viaggio dei ricordi avvenuto per il settantacinquesimo anniversario dell’Olocausto.
Tova e altri superstiti sono tornati ad Auschwitz-Birkenau: ha rivisto dove dormiva, ha riconosciuto i luoghi, ha sentito odori familiari e le è parso di udire vecchie voci in quel luogo che imprigiona il dolore di migliaia di uomini. Si è guardata le mani, ha fissato i volti di chi come lei è ancora lì, nonostante tutto. E ha pianto, ha capito che ha saputo perdonare: la fiducia negli altri le ha permesso di avere speranza, quella speranza che ogni persona vessata non deve mai perdere, ché domani è un altro giorno e chissà cosa può portare il mare, come disse Chuck Noland.
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Tova Friedman e Malcolm J. Brabant
Tova Friedman. Nata Grossman. È una scrittrice, terapista, assistente sociale e accademica polacca e americana. È una degli ultimi sopravvissuti all’Olocausto. Fu internata nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.
Malcolm J. Brabant. È uno scrittore e giornalista britannico freelance. Il suo nome d’arte è “King of the stringers”. Ha lavorato per la BBC per più di 20 anni ed è stato anche all’interno dell’UNICEF.