Le esiliate
di Christina Baker Kline
Harper Collins Italia 2022
Roberta Zuppet (Traduttore )
narrativa storica pag.384
Sinossi. Londra, 1840. Evangeline è un’ingenua ragazza che fa la governante presso una ricca famiglia di città. Sedotta dal rampollo di casa, rimane incinta. Per liberarsi del problema, la padrona la taccia di furto e la fa arrestare. Dopo mesi nella fetida, sovraffollata prigione di Newgate, Evangeline viene condannata a imbarcarsi per la Terra di Van Diemen, una colonia penale in Australia. Benché incerta di quello che la aspetta Evangeline sa una cosa: il bambino che sta aspettando nascerà prima del suo arrivo in quella terra lontana. Durante il viaggio su una nave di schiavi, la Medea, Evangeline stringe amicizia con Hazel, una ragazzina che è stata condannata a sette anni di esilio per aver rubato un cucchiaio d’argento. Hazel è molto più astuta di lei, ed essendo un’esperta ostetrica ed erborista, offre aiuto e rimedi casalinghi alle prigioniere e ai marinai in cambio di favori. Benché l’Australia sia stata la patria del popolo aborigeno per più di 50.000 anni, il Governo inglese considera la colonia un luogo non civilizzato e i nativi come un fastidioso inconveniente. Quando la Medea attracca, la loro terra è stata occupata dai bianchi e molti dei nativi sono stati forzatamente spostati altrove. Fra questi c’è Mathinna, la figlia orfana del capo della tribù Lowreenne, che è stata adottata dal nuovo governatore della Terra di Van Diemen.
Le esiliate
A cura di Chiara Forlani
Recensione di Chiara Forlani
Tutti abbiamo sentito dire che l’Australia è nata come colonia di galeotti, e nella nostra mente ci siamo figurati brutti ceffi deformi, storpi e crudeli, con un ghigno perenne sulla faccia che distorce i loro i lineamenti. I galeotti che ci presenta l’autrice, invece, sono persone come noi, solo più sfortunate: giovani ingenue convinte da un amore a perdere la loro illibatezza oppure la piccola figlia di un re locale ucciso dei conquistatori. È proprio dall’incontro di queste sfortune che nasce la storia avvincente narrata nel libro.
È una lettura che mi ha spinta a studiare, e così ho scoperto che la Terra di Van Diemen, che è citata spesso nel libro, ambientato verso il 1840, altro non è che la Tasmania, nella sua prima denominazione. Fino agli ultimi anni del Settecento non si sapeva che la Tasmania fosse un’isola, vista la difficoltà della sua circumnavigazione. Ed è storicamente accertato che dal 1830 al 1853 questo territorio d’oltremare ha costituito la più importante colonia penale inglese in Australia. Usando velieri malconci che solcavano le acque per viaggi atroci che duravano mesi e mesi, veniva mandato qui il quaranta per cento di tutti i detenuti spediti via dalle terre inglesi. La storia ci dice ancora che chi vi scontava la propria pena lavorava per i coloni o prestava duramente la propria opera nel settore pubblico. È proprio questo il mondo che questo libro ci fa esplorare.
Un gruppo di donne accusate a vario titolo, giustamente o ingiustamente, di essersi macchiate di colpe gravi, come il furto o il tentato omicidio, viene imbarcato su un veliero portato da marinai rozzi e violenti e qui si allea, allo scopo di difendersi dai soprusi. Posso dire senza tema di smentita che si tratta di un romanzo profondamente femminista, nel senso che le figure maschili durante tutta la narrazione fanno una figura piuttosto meschina, se si esclude quella del dottor Dunne, mentre molte di quelle femminili, soprattutto le detenute, spiccano per forza d’animo e coraggio, mentre creano tra loro legami indissolubili di solidarietà che potrebbero essere di esempio per molti di noi.
Altro tema che sono stata spinta ad approfondire grazie alla lettura del romanzo è quello riguardante gli aborigeni della Tasmania, una popolazione di colore che fu realmente decimata dai virus portati in loco dai colonizzatori inglesi. Già nel 1830 la maggior parte di loro era stata uccisa dalle malattie portate dagli europei, mentre molti di quelli che erano sopravvissuti perirono a causa di guerre e combattimenti che li videro protagonisti loro malgrado. I coloni cercarono di “addomesticare” alcuni di loro, trasmettendo la cultura e le tradizioni occidentali, e questo è il secondo nucleo di interesse del libro: appare evidente fin dalle prime pagine che le due storie che vengono portate avanti in modo parallelo troveranno un punto d’incontro, e questo sarà rappresentato dall’aiuto che due diverse culture, quella aborigena e quella inglese, potranno darsi in un luogo estraneo ad entrambe le protagoniste femminili. Ecco un breve stralcio, che ci fa capire lo strazio dell’esilio: “Non sarebbe mai stata una di loro, nemmeno se l’avesse voluto. Non sarebbe mai stata a casa sua in quel posto.”
Non intendo svelare niente della trama del libro, perché è piena di colpi di scena che spiazzano il lettore e lo fanno palpitare insieme alle eroine, delle quali condividono gioie e sventure. La lettura è scorrevole, ben documentata e mai superficiale ed è davvero difficile staccarsi dalle pagine.
É un romanzo che arricchisce chi lo legge, sia culturalmente sia emotivamente.
Concludo con una citazione significativa tratta dal libro: “Muoviti verso il dolore. Consideralo… una lanterna che guida il tuo cammino.”
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Christina Baker Kline
autrice bestseller del New York Times, ha scritto otto romanzi tra cui Le cose che non so di te e Un frammento di mondo, ed è pubblicata in quaranta paesi. Tra gli altri ha ricevuto il New England Prize for Fiction, il Maine Literary Award, e il Barnes & Noble Discover Award. I suoi articoli sono apparsi su New York Times e NYT Book Review, The Washington Post, The Boston Globe, The San Francisco Chronicle, LitHub, Psychology Today, e Slate.
A cura di Chiara Forlani