SCUOLA
DI SOLITUDINE
Un viaggio
nella memoria e nel dolore
Crocifisso Dentello
DETTAGLI:
Editore: La Nave di Teseo
Genere: Autobiografia/Romanzo
Pagine: 160
Anno edizione: 2024
Sinossi. Al termine di una presentazione letteraria, l’autore-protagonista viene avvicinato da un uomo che si rivela essere Walter, un suo compagno di seconda media. L’autore dapprima è insofferente, non vuole rievocare un’amicizia “durata quanto un temporale estivo”, ma ben presto l’incontro diventa l’occasione per tornare indietro nel tempo. Il viaggio nella memoria delinea il ritratto di un bambino e di un adolescente timido e solitario, umiliato da un padre – muratore meridionale sfinito dal lavoro e in perenne difficoltà economica – incapace di accettare la sua diversità, e protetto da una madre troppo apprensiva per lasciargli un autentico spazio di crescita. A scuola l’autore, nell’indifferenza degli insegnanti, è la vittima designata dei bulli della classe, che ne disprezzano l’umiltà delle origini, l’incomprensibile passione per la letteratura e la sostanziale incapacità di essere come gli altri.
Recensione di Davide Piras
“I soli che possono amarmi, sono coloro che soffrono. Se uno davvero soffre sa che nei miei libri può trovarsi.”
Anna Maria Ortese, due anni prima di morire, rilasciò a Goffredo Fofi, per “Linea d’ombra” (1996), una dichiarazione che conteneva questa frase. L’autore Crocifisso Dentello l’ha fatta sua, a tal punto da utilizzarla come esergo. Crocifisso, un destino segnato già in un nome dal significato soteriologico, la ricerca della salvezza, la liberazione da uno strato interiore oppressivo che si nutre di dolore e solitudine.
Dentello questa salvezza la ricerca attraverso una scrittura potente, affilata, che non si fa scudo dei sentimenti universali per compiacere il lettore. Ogni frase è mercurio, con un peso specifico enorme, e bisogna essere pronti a sostenerla, per evitare che l’inganno visivo di un piccolo frammento possa spingerci ad attutire la grevità dell’elemento aprendo un palmo della mano senza infondere al braccio la giusta forza.
Dentello è l’emblema degli scrittori che negli ultimi tempi hanno animato le discussioni nei salotti letterari, alimentando la sempiterna diatriba su quale sia il modo più giusto di fare narrativa: realtà o finzione? Dentello appartiene fuori dubbio al partito della realtà: senza utilizzare filtri ci racconta uno spaccato atroce della sua esistenza.
Ma ci sono tanti modi di produrre autobiografia, “Scuola di solitudine” segue il percorso intrapreso dal compianto Tiziano Terzani che, oltre a una certa letteratura odeporica, ha scritto importanti opere legate all’autobiografia, come “Un altro giro di giostra”, in cui ha saputo raccontarsi nella più pura intimità, senza mai edulcorare il dolore, né il suo rapporto con la malattia, malattia che invece per Dentello risiede nell’anima.
Attraverso lo strumento dell’autobiografia, Dentello e Terzani sono andati alla ricerca di loro stessi, ma lo hanno fatto in maniera diametralmente opposta: il primo nella solitudine, rinchiuso in una bolla ermetica che lo isola dalla crudeltà degli altri; il secondo aprendosi alla gente di un Paese lontano, condividendo con loro la sua esperienza.
Nelle sue opere precedenti, “Finché dura la colpa” e “La vita sconosciuta”, Dentello ha prodotto un robusto tessuto cicatriziale che ha unito le esperienze di vita personale all’apparato della fiction: i nomi dei protagonisti sono inventati e anche le vicende si snodano da una base di verità per poi dipanarsi all’interno di un intreccio che è anche frutto della creatività autoriale.
“Scuola di solitudine” invece ricalca in maniera più precisa “Tuamore”, restando nei binari principali dell’autobiografia senza mai deragliare verso orizzonti inesplorati e sconosciuti. Ma se “Tuamore” era una sorta di testamento sentimentale in cui un figlio cercava di esorcizzare il dolore per la perdita della propria madre Melina – senza peraltro riuscirci, come dichiarato in “Scuola di solitudine” – quest’ultimo romanzo è invece un viaggio nella memoria dell’autore, il quale ripercorre la sua prima adolescenza, quella delle scuole medie, vissuta in solitudine, quasi nel mutismo, tra libri e silenzi, con pochi amici che in realtà non sono amici, eccezion fatta per Mauro, l’unico amico vero, che però è morto dopo essere stato investito da un’automobile. Ed è questo lutto a gettare nel baratro l’autore, abituato ad aprirsi solo con l’amico che non c’è più, disabituato alle parole e agli sguardi degli altri che lo reputano un animale raro a causa dei suoi timori.
Lo scenario è quello della Brianza anni ’90, un non luogo in cui essere poveri è una colpa. I Dentello vivono nella miseria, padre muratore senza istruzione, madre succube del marito e costretta a pulire i cessi dei ricchi per campare, due figli: Crocifisso e una sorella. L’ambientazione è ricostruita con dovizia di particolari, palazzoni, strade di periferia, relazioni adolescenziali che si nutrono delle dinamiche del branco. Siamo di fronte anche a una testimonianza sociale della situazione in cui si trovavano gli immigrati del Sud arrivati al Nord in cerca di fortuna.
Il protagonista prova vera e propria idiosincrasia per la scuola e per chi la popola. Timido all’eccesso, introverso, silenzioso, animato da passioni atipiche e incomprensibili per i coetanei, ad esempio la letteratura, la musica di Mina, i film della Loren, l’autore subisce ogni tipo di angheria dai compagni: ha il terrore dell’aula, una fobia pura per le strade in cui può incontrare uno dei suoi aguzzini.
In questo senso risuonano caustiche le parole dello scrittore Alessandro De Roma nel suo romanzo “La mia maledizione” (Einaudi, 2014):
“Se è vero che per un giovane la scuola può essere la salvezza, è altrettanto vero che può rappresentare la sua più grande distruzione.” Una dichiarazione profetica, che sembra coniata proprio sull’esperienza dell’autore, costretto a stare in un microcosmo disciplinato da regole primitive attraverso le quali i compagni interpretano dei ruoli tipici del romanzo di formazione: tra tutti spicca il personaggio di Galbusera, un bullo sciupafemmine che gode nel perpetrare efferatezze sui più deboli. A tal proposito è significativo questo passaggio scritto dall’autore: “Mi illudevo che a lasciarli fare i miei aguzzini sarebbero prima o poi stancati. Solo più tardi ho compreso che, al contrario, a quell’età balorda, l’estenuante vessazione contro un bersaglio sempre indifeso è un carburante praticamente illimitato.”
Il romanzo si regge anche sul rapporto genitori/figli, sempre sul filo sottile tra l’odio represso per un padre incapace di accettare le peculiarità del proprio figlio e l’amore immenso per una madre troppo protettiva. Ma la circostanza su cui ruota l’intera trama è un terribile segreto nascosto in un libro, non nelle pagine, bensì nell’oggetto stesso, un segreto che se svelato può distruggere per sempre l’autostima di qualsiasi essere umano, fargli odiare forse se stesso, gli altri, le persone amate e che lo amano.
Il prologo racconta di una presentazione di “Tuamore” finita con una chiacchierata al bar con Walter, un vecchio compagno di classe dei tempi andati. L’autore accetta malvolentieri questo incontro, non ha bei ricordi di quell’uomo che da ragazzino sembrava voler conquistare il mondo e che invece non ha realizzato nessuno dei suoi sogni. I rapporti di forza si sono rovesciati: Dentello adesso è uno scrittore di successo, firma copie dei libri, Walter al contrario ha le mani devastate dal suo lavoro di fatica, come lo erano quelle del padre dell’autore. È Walter a un certo punto a essere intimorito dal potere di colui che in passato era stato una vittima designata. Entrambi sono consci della forza del tempo, che tutto può cambiare,
“Perché per ogni età c’è un sogno che muore o uno che viene alla luce”,
come scrisse il poeta britannico Arthur O’Shaughnessy. Walter saluta, il suo sogno è già morto, sa che invece quello di Dentello è appena cominciato, e allora gli dice che il pezzetto di vita trascorso assieme è stato comunque prezioso perché ora Dentello avrà una storia da raccontare.
“Scuola di solitudine” è proprio questa storia, il racconto che Walter lascia in eredità a Dentello. Un libro molto bello, autorevole, scritto con uno stile solido, un linguaggio tagliente, mai banale, elegante nella sua essenzialità. Memorabili alcuni personaggi che rimangono impressi per la loro unicità.
Un romanzo sulla crudeltà umana, sulla forza dei ricordi che riaffiorano, sul dolore patito in silenzio, sulla fragilità dell’adolescenza e sulle aspettative dannose che i genitori riversano sui figli.
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Crocifisso Dentello
autore di “Finché dura la colpa”(Gaffi, 2015/ nuova edizione La Nave di Teseo, 2020), “Tuamore” (La nave di Teseo, 2022) e “La vita sconosciuta” (La nave di Teseo, 2017) e collaboratore del Fatto Quotidiano.