Intervista a Piergiorgio Pulixi




A tu per tu con l’autore


Pur avendo letto altri romanzi di Piergiorgio Pulixi, che annovero tra i miei scrittori preferiti, La donna nel pozzo mi ha colpito molto, ho apprezzato moltissimo il modo di investigare di Ermes Calvino e il suo rapporto conflittuale con Lorenzo Roccaforte tanto da augurarmi di ritrovarli presto in un’altra storia come coprotagonisti, anche perché in entrambi mi pare di aver scorto qualcosa dell’autore, parte da questo la mia prima domanda:

Quanto c’è di Piergiorgio in Ermes e Lorenzo? Come hai sviluppato i personaggi del romanzo? Qualcuno di loro si è evoluto in modo inaspettato durante il processo di scrittura?

In realtà di me,  in Ermes e Lorenzo c’è molto poco, nel senso che al di là del lavoro che è simile a quello che noi facciamo, siamo tutti e tre scrittori, però c’è davvero poco per fortuna, mi verrebbe da dire. Sono personaggi molto leggeri, ironici, sarcastici che ho sviluppato in parallelo alla drammaticità della storia, cioè essendo una storia ispirata a un caso di cronaca reale avevo necessità di creare dei personaggi che portassero un po’ di luminosità, un po’ di leggerezza all’interno della storia. Questo per bilanciare in qualche modo l’oscurità del dramma che è molto forte, molto stringente. Li ho utilizzati anche per una chiave di critica di quello che è un certo mondo dell’editoria, quindi un mondo per certi versi cinico, teso sempre al risultato, dove si incontrano personaggi un po’ bizzarri come il loro editore Arturo Panzirolli e in più ho giocato anche molto in qualche modo su tutti gli aneddoti che ho raccolto anche tra le mie colleghe, i miei colleghi, i rapporti con i librari, i rapporti con i lettori, le richieste a volte assurde dei lettori e quindi ho giocato molto, ho cercato di prendermi molto poco sul serio, sia io in primis come persona e come scrittore, ma in generale la nostra categoria. Sicuramente Ermes è il personaggio che inizialmente ha avuto un’evoluzione più veloce, è quello di cui sappiamo forse un pochino di più sul suo passato. È un personaggio molto molto umano con cui si tende un po’ a empatizzare, una sorta di Oliver Twist, di Harry Potter, il classico underdog ragazzo sfortunato che nonostante tutte le sfortune riesce a rimanere se stesso a proteggere questa sua ingenuità, questo suo cuore puro e questo diventa il suo punto di forza. Sicuramente anche Roccaforte poi verso la fine della storia ha una sua evoluzione capiamo perché è diventato la persona che è lo scrittore che e quindi c’è un mistero nel mistero in questa storia ed è proprio il passato di Lorenzo, Roccaforte.

Cosa ti ha spinto a scrivere un giallo ispirato a un fatto di cronaca così tragico come quello di Gisella Orru?

Cosa mi ha spinto a scrivere di questa vicenda, mi hanno spinto in realtà i miei lettori, perché nel corso degli ultimi dieci anni almeno, più volte mi è stato chiesto da tante lettrici e tanti lettori, non soltanto della zona del Sulcis Iglesiente, che è la zona da cui proveniva questa ragazza, ma tanti lettori in generale, mi chiedevano di scrivere di questo caso perché insoddisfatti della verità processuale che era immersa all’epoca. Loro ritenevano e ritengono che i veri colpevoli non siano mai stati nemmeno sfiorati dall’inchiesta di polizia giudiziaria e quindi io vengo un po’ ancora identificato come l’autore proveniente dal collettivo Sabot di Massimo Carlotto che è il mio maestro, quindi diciamo un autore che miscela fiction e realtà e utilizza i noir come dei cavalli di Troia per raccontare delle storie negate, quindi mi hanno percepito in questo modo volevano che io tra virgolette attraverso la fiction proponessi una verità alternativa sui fatti su quella vicenda ed è quello che alla fine ho fatto

Qual è stato il tuo metodo di ricerca e accuratezza nei dettagli legati al caso di cronaca? Quali sono state le tue fonti? Per rendere più autentica la tua narrazione hai consultato degli esperti?

Per prima cosa ho cercato di ricostruire a livello storico cosa era diventata Carbonia  in quegli anni, alla fine degli anni 80 e si avviava verso i primi anni 90 ed era una città  molto depressa a livello economico, una città in crisi per le miniere che avevano chiuso, quindi ci si era trovati davanti una grande precarietà, una grande incertezza e tutto questo si era in qualche modo poi rispecchiato nella moralità della città, nel senso che  era considerata un po’ una Sin City, una città del peccato dove era in corso uno stato di abbandono sociale, tante persone migravano dalla città e se ne andavano, ma in generale si respirava un’aria un po’ torbida. Quindi il primo passo è stato quello di fare questa ricostruzione storica e poi sicuramente cercare le persone che hanno vissuto quegli anni, compagni di scuola di Gisella, quindi della vittima, cercare di capire cos’è significato essere un adolescente in quegli anni prima e dopo quella vicenda, perché almeno due generazioni hanno visto la loro giovinezza stravolta dopo questo omicidio che ha sicuramente scombussolato tutti gli equilibri in città. E poi sì, qualche esperto chiaramente mi è servito, un cronista di nera che all’epoca si era occupato del caso, qualche avvocato penalista per capire anche a livello processuale cosa era esattamente successo, perché erano state utilizzate alcune prove e altre no, perché alcune prove che sono sparite all’epoca potevano essere sparite, quale fosse la razza di tutti questi misteri attorno a questo delitto. Quindi mi sono un po’ mosso come mi muovo solitamente nei miei romanzi polizieschi.

Puoi raccontarci un momento particolare mentre scrivevi questo romanzo? Quali le sfide che ti hanno indicato la direzione della storia?

Un momento sicuramente molto particolare è questo, io non avevo mai scritto un romanzo così, ecco, ispirato a un caso di cronaca ben preciso come questo, quindi avvertivo una  profonda responsabilità, sapevo che dovevo trovare abbastanza delicatezza nel mio tratto  per descrivere senza diventare morboso, senza scadere nel macabro la vita della vittima  e lo dovevo fare con grande rispetto per la vittima e per le vittime secondarie, quindi  i parenti che rimangono, le persone che restano dopo questo omicidio e per farlo dovevo assolutamente  ricordarmi che stavo tra virgolette giocando con la vita di persone reali, sebbene poi  io abbia cambiato tutti i nomi e abbia trasfigurato la vicenda in forma letteraria e quindi cosa  facevo ogni giorno quando mi mettevo a scrivere avevo la foto di Gisella Orru, quindi della vittima davanti a me, scrivevo e ogni tanto mi fermavo a guardare la foto proprio per avvertire  quel senso di responsabilità, quel senso di urgenza e anche per rinfocolare un po’ il  senso di ingiustizia che si prova quando si va a leggere di questa vita strappata in maniera  così brutale, una vita peraltro giovanissima, perché Giselle all’epoca aveva 16 anni, era  una bellissima ragazza che si apprestava a diventare una donna, una giovane donna, quindi guardare la foto mi dava quell’urgenza, quella spinta e anche quella rabbia forse che a volte  è necessaria quando scrivi storie di questo genere.

Quale messaggio speri abbiano colto i tuoi lettori dopo aver letto il tuo romanzo? Hai in programma di lavorare ancora con Ermes e Lorenzo? 

Forse il messaggio più importante che spero che i miei lettori abbiano colto è che la violenza di genere e i femminicidi non sono un fenomeno sociale che ci riguarda soltanto  in quest’epoca contemporanea, ma hanno sempre fatto parte della nostra storia e della nostra società.  Era un modo di raccontare del delitto di Giselle Orru, che ha molte similarità con alcuni  delitti che accadono oggi, era un modo anche per far ragionare i miei lettori su quanto  il nostro paese sia un paese che sembra odiare le donne, che ha al proprio interno una cultura  piuttosto misogina, molto maschiocentrica, che vede molto spesso la donna soltanto come  un oggetto, quindi c’è una mercificazione del corpo della donna e in generale dello status di donna che a me sinceramente fa molto ribrezzo, quindi la dinamica del racconto  crime inerente al femminicidio e alla violenza di genere negli ultimi anni ha fatto parte preponderante della mia produzione e qui è accaduto lo stesso, parlo di un delitto che è avvenuto 35 anni fa, ma sembra uscito dalle pagine di cronaca di questi nostri cupi e drammatici giorni, quindi vorrei che i lettori riflettessero su questo, su quanto ancora abbiamo tanto da fare per estirpare questo germe di follia dalla nostra cultura. 

Sicuramente Ermes e Lorenzo torneranno molto presto, ci sono ancora tante cose che devo raccontare  su di loro, sul loro passato e anche sul loro futuro, ma soprattutto hanno stretto questo  patto diabolico col loro editore e prima di liberarsene devono sfornare ancora un bel po’ di romanzi.

A cura di Cinzia Passaro

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