Romana Petri
Editore: Mondadori
Genere: Narrativa
Pagine: 276
Anno edizione: 2025

Sinossi. Una ragazza americana di solidi principi, innamorata del padre, occhi blu scuro e lampi di tanto pensiero che li attraversano. Una ragazza che, quando esce di casa, si incanta davanti alle galline. Una ragazza che ha e non smette mai di avere Cristo come sublime interlocutore, e non è semplice il suo Dio. Quando arriva alla scrittura la riconosce dono divino. Quella ragazza è Flannery O’Connor, una delle più grandi autrici del Novecento. Entra nell’immaginazione di Romana Petri con i suoi umili e i suoi balordi, i suoi peccatori, la sua solitudine, lo splendore dei suoi pavoni e l’amore mai avuto. Pietosa sino all’empietà, intrisa d’una ironia che lascia stupefatti gli interlocutori, Mary Flan ritrova il padre nella stessa malattia, il Lupus, ma la combatte a colpi di incandescenti parole e senza mai lamentarsi. Si allontana dalla sua Georgia quando la chiamata della letteratura diventa forte come una investitura, una missione, ma questo sogno di libertà sarà infranto dalla malattia e dovrà tornare al ranch materno, da quella Regina che non capiva il suo genio ma l’ha assistita fino alla fine. Aveva un destino da signorina ben educata del Sud, e invece la ragazza di Savannah è diventata una scrittrice impavida (che a malapena si reggeva in piedi con le stampelle), ossessionata dalla frase perfetta e dal cibo come compensazione a una vita sentimentale negata, perché nessun uomo era disposto ad amare una storpia pur così vicina al Cielo. Romana Petri la tallona, la spia, ce la rovescia intera davanti e noi la assumiamo come un farmaco che ci salva, che ci impedisce nonostante tutto di avere paura.
Recensione
di
Francesca Mogavero
Di un’autrice si possono conoscere la biografia – le tappe che l’hanno resa ciò che è: gli studi, gli incontri, le conferenze, i premi –, l’epistolario e naturalmente le opere – trentadue racconti, due romanzi, un centinaio di recensioni e prosa varia, nel caso della nostra Mary Flan – nelle quali la si cerca tra le righe (e spesso non la si trova, oppure vi si rintraccia un riflesso distorto, fuso con altre persone, altre esperienze, altri posti). E già tutto questo, di per sé, nutre l’appetito di chi legge.
Assistere all’intreccio di questi scritti, al loro processo creativo, e alla trasformazione della narratrice in eroina narrata è però qualcosa di straordinario.
Con La ragazza di Savannah, Romana Petri entra in un paio di occhi blu scuro e da lì discende fino al cuore (che degli occhi è “la radice”), come Alice nella tana del Bianconiglio: il suo è un precipitare fatale e incantevole, imprevedibile – lo si può affermare con una certa sicurezza – nonostante la solidissima ricerca storico-letteraria.
Perché, con le storie di cui si conosce il capo, gran parte dello svolgimento e la coda, accade così: il personaggio reale, trasformato in figura di carta (ma non meno spessa, non meno rotonda), reclama la penna e la voce, entra nelle dita di chi sta componendo un testo nuovo e svela particolari inediti, porta la trama verso orizzonti sconosciuti, ora si pavoneggia, ora si ritrae dalla lente di ingrandimento, ora si lascia dissezionare, ora impugna il coltello dalla parte del manico.
Specialmente se il personaggio in questione è a sua volta una scrittrice. Specialmente se stiamo parlando di Flannery O’Connor, guerriera della fede e della letteratura – ma sempre a modo suo.
Una bambina che combatte contro l’angelo custode e adora il papà (palesemente ricambiata), una studentessa che si affaccia al mondo e inventa le proprie preghiere perché quelle “ufficiali non la soddisfacevano quasi mai. «Le recito» diceva spesso.
«Ma non le sento.»”, una giovane donna colpita dalla malattia, ma mai doma, mai rassegnata, “una grande fabbricatrice di rabbia”, perché tutto è rabbia, anche l’amore, ed è solo la violenza, usata a fin di bene o per compiere al male, a rivelare la vera personalità dell’essere umano nel momento più estremo, quando occorrerà fare una scelta.
Ed è ciò che fa Mary Flan: sceglie un giorno dopo l’altro, una pagina, anzi, una parola dopo l’altra, consapevole del poco tempo a disposizione e del proprio talento, costruito sulle letture, il dialogo con Dio, la riscrittura e l’osservazione degli uccelli. Quando è il caso, la nostra fa la ruota, ma è anche capace di beccare con ostinazione, cercando l’ultimo chicco di grano, l’ultima briciola di grazia là dove sembrava esserci soltanto sozzura, nulla e degrado, e portandola alla luce.
Privata dell’amore, circondata da lettere e dall’affetto materno – un abbraccio (spesso negato, per mantenere il controllo) che ora soffoca, ora assiste e protegge con ferocia –, O’Connor coltiva il suo stile e lo condivide, se poi qualcuno non sarà capace di comprenderlo, peggio per lui; sulle sue stampelle scintillanti resta in equilibrio perfetto tra realismo e immagine, aggrappandosi a uno sguardo acuto (perché appunto sboccia nel cuore) e all’ironia più caustica.
E noi? Noi, attraverso un meccanismo di distanza e avvicinamento, realizzato attraverso un sapiente gioco di alternanza dei tempi verbali, diventiamo confidenti di Mary Flan, ascoltatori, vorremmo curarla, allontanarla da un finale già noto e pubblicato… Restiamo ammirati e trasognati. Come polli che zampettano all’indietro, solo per attirare la sua attenzione.
Acquista su Amazon.it:
Romana Petri
vive a Roma. Tra le sue opere, Ovunque io sia (2008), Ti spiego (2010), Le serenate del Ciclone (2015, premio Super Mondello e Mondello Giovani), Il mio cane del Klondike (2017), Pranzi di famiglia (2019, premio The Bridge), Figlio del lupo (2020, premio Comisso e premio speciale Anna Maria Ortese-Rapallo), Cuore di furia (2020), La rappresentazione (2021), Mostruosa maternità (2022), Rubare la notte (2023, nella cinquina finalista del premio Strega) e Tutto su di noi (2024). Traduttrice e critico, collabora con “Io Donna” e il “Corriere della Sera”. I suoi romanzi sono tradotti in Inghilterra, Stati Uniti, Francia, Spagna, Serbia, Olanda, Germania e Portogallo (dove ha lungamente vissuto).
A cura di Francesca Mogavero