Intervista a Luca Ongaro




A tu per tu con l’autore


Giovedì 27 marzo ho avuto il piacere di assistere alla presentazione del libro di Luca Ongaro, dal titolo “Una brutta strada”, edito iDobloni Enigmi. 

Nella casa editrice, al Covo de iDobloni, in via Scutari a Milano, Gabriele Cantella, giornalista e scrittore, ha intervistato l’autore. Insieme ci hanno condotto fino ad Asmara, in Eritrea, dove questo giallo dai profondi temi sociali si svolge, tra realtà e fantasia, integrazione e razzismo, morte e vita. Quanto può essere brutta una strada? Oltre che pericolosa, impervia, può davvero condurre ad una fine drammatica e terribile? A voi scoprirlo…

Una brutta strada” è una storia ucronica, che in realtà non è accaduta ma che sarebbe potuta accadere se alcuni eventi fossero andati in maniera differente rispetto a quanto successo storicamente. Hai deciso di raccontare una storia di fantasia i cui luoghi citati, però, sono stati visitati e vissuti da te in prima persona. Come è nata l’idea di fare riferimento a posti reali, ma con eventi che non si sono esplicitati nella maniera in cui li racconti?”

“Questa storia nasce dalla curiosità che mi è sorta vivendo in quei luoghi, che per un italiano in visita possono risultare sorprendenti. Asmara, ad esempio è una città che potremmo definire “italiana” a tutti gli effetti, partendo dall’architettura, proseguendo con il cibo, fino alla mentalità della popolazione locale. Era il ‘94 quando, trovandomi proprio in quella città, mi resi conto di quanto poco sapessi dell’influenza italiana in certe zone dell’Africa. Mosso da una certa curiosità, decisi di approfondire le mie conoscenze sulle colonie italiane e mi imbattei nella battaglia di Adua, 1° marzo 1896, che mi sento di definire un azzardo dei generali dell’epoca, poiché, in seguito a numerosi errori, si arrivò ad una catastrofe, che sfociò in una disfatta atroce. Le sconfitte della Seconda Guerra Mondiale e la seguente caduta del Fascismo cambiarono la storia dell’Italia, portando alla fine delle colonie. Da qui, la volontà di immaginare una storia alternativa”

Questa storia è un giallo, ma possiamo anche considerarlo un pretesto per recarci in quei luoghi, dei quali, soprattutto da un punto di vista scolastico, non vi è mai un vasto approfondimento. Con queste pagine ci hai dato modo di conoscere questo tipo di società coloniale e in che modo gli italiani avrebbero potuto gestirla.

Si. Giustamente in questo romanzo si ritrovano italiani buoni e cattivi. Il Commissario Campani è nato in Eritrea, parla il tigrino, il suo braccio destro è tigrino, i suoi amici sono coppie miste, appartiene a una borghesia illuminata e progressista. Vi è anche, però, un’Italia coloniale, retriva, razzista, che ha un proprio sistema di privilegi al quale non vuole rinunciare e potere, che afferma attraverso la sopraffazione, oltre al conflitto interno esistente tra questi due tipi di società. La mia visione storica ucronica ha creato uno scenario in cui gli italiani negli anni ’60 hanno ancora le loro colonie, l’Italia non ha perso la battaglia di Adua, il Paese è rimasto neutrale durante la Grande Guerra e Giacomo Matteotti è stato capo del governo per molti anni. In fin dei conti ciò che mi interessava era immaginare come si sarebbe configurata la nostra società in una circostanza storica completamente diversa: sarebbe andata davvero così? Questo non lo sapremo mai…

Quanta Eritrea di quel tempo ritroviamo nel libro, rispetto a quella che hai visto e percepito tu?

Diciamo che ci sono tre assi di narrazione in questo libro: quello storico, completamente inventato; quello ambientale riportato tale e quale con paesaggi, cibi, natura, atmosfere; quello sociale, nel quale ipotizzo come sarebbe stata questa società se storicamente le cose fossero andate diversamente…Quindi, per rispondere alla tua domanda, c’è molta attinenza con la realtà per quanto riguarda l’aspetto ambientale”.

Un altro di questi temi che si dipana insieme alla trama gialla è quello dei matrimoni precoci che è presente nei contesti africani di allora, ma che si protrae ancora oggi.

Si. Non è tanto un’eredità culturale o una forma di discriminazione nei confronti delle donne, ma più che altro, in un contesto contadino in cui si vive di autosussistenza, non girano soldi, non c’è disponibilità finanziaria, la femmina è una bocca in più da sfamare, non lavora nei campi, non può contribuire in nessun modo al bilancio familiare. Da qui la necessità imprescindibile del matrimonio precoce, con tutto ciò che ne consegue, ad esempio immani danni fisici oltre che psicologici. Io e mia moglie, nel 2011, abbiamo fondato un’associazione nel nord dell’Etiopia, in Tigrai, che ci permette di contribuire con degli amici etiopi a combattere questo fenomeno, in alcuni luoghi ancora presente. Col tempo, purtroppo, siamo venuti a conoscenza di racconti, storie, situazioni reali capaci di colpire nel profondo, lasciare interdetti.I temi affrontati mi toccano particolarmente, ragion per cui sono molto affezionato a questo romanzo.”

Per quanto invece concerne Fyiori, la ragazza scomparsa, ha indubbiamente un carattere peculiare…

“Si, un personaggio singolare: meticcia, figlia di un italiano e di un’eritrea e come tale ha avuto problemi sia con gli uni che con gli altri, poiché non la si ritiene appartenente né ad una cultura, né all’altra. Insicura, quindi, con delle profonde contraddizioni che la porteranno poi sulla tanto famigerata “brutta strada” narrata nel libro.”

Mi ha anche molto colpito, in senso positivo, il personaggio dell’ispettore Araya…

“Si, è il braccio destro di Campani, il quale non desiste dal portarlo sempre con sé. Possiamo dire che fa da contraltare a Campani, portatore delle ragioni del suo popolo ma abbastanza intelligente da capire che non tutti gli italiani sono sfruttatori o carnefici.”

Soffermandoci, invece, sulla figura del generale Baraldi, padre di Fyiori: si sentirà sollevato nel momento in cui verrà a conoscenza della verità sulle sorti della figlia, poiché finalmente potrà mettersi il cuore in pace ma, al contempo, tormentato dal rimorso di non essere stato in grado di aver fatto abbastanza.

Nonostante non si possa negare che abbia fatto tanto per tenerla al sicuro. Una circostanza che rispecchia indubbiamente un qualsiasi rapporto tra genitori e figli: la sofferenza, il mettersi in discussione, il constatare quanto poco, a volte, li si conosca davvero. Diciamo che è un tipo di reazione che rappresenta qualsiasi genitore in questo frangente e che non potrebbe essere altrimenti, a prescindere dal tempo e dal luogo.”

Per quanto concerne te come scrittore: quando cominci a scrivere una storia, un giallo nel tuo caso, c’è uno storyboard, una scaletta che poi sviluppi, oppure è a getto continuo?

Ti racconto com’è andata. Il primo romanzo ha avuto una gestazione di otto anni, mi è venuta quest’idea girando le necropoli e rimuginandoci e documentandomi, avendo chiari in testa personaggi e trama, ho ritenuto fosse il caso di scriverla. Nonostante non avessi mai pensato di fare lo scrittore, in un mese era compiuta. Stampate 50 copie e regalate agli amici, sull’onda del loro entusiasmo mi sono sentito spronato a scriverne un altro che, al contrario del primo, ha richiesto molto più tempo e non poca fatica. Quindi, vista l’esperienza precedente, nello scrivere questo volume mi sono preparato una scaletta, i personaggi, le date precise poiché un giallo richiede questo tipo di procedura ben precisa e non è sufficiente seguire il flusso di impressioni o sensazioni.

C’è stato uno studio preparatorio, in quanto si tratta di un poliziotto, in un’epoca diversa, lontana e, soprattutto, in un contesto ucronico? Come ti approcci a questo tipo di gerarchia o regolamentazione?

Mi sono approcciato in maniera molto semplice, poiché ho fatto riferimento principalmente a tre figure: Campani che è il Commissario, il Questore e poi il Magistrato e ci muoviamo all’interno delle dinamiche che intercorrono tra questi personaggi. Diciamo quindi, che mi sono documentato il minimo poiché non era il mio interesse principale.

Sei uno scrittore organizzato o disorganizzato? Nel senso: scrivi in momenti precisi, un numero di pagine al giorno…?

No, assolutamente, rientro piuttosto nella categoria dello scrittore “cialtrone”: scrivo quando mi viene in mente qualcosa, quando ne ho voglia, senza nessuna prassi, non sono minimamente da prendere ad esempio!!

Parlando di tratti autobiografici: Luca, per caso la moglie di Campani sei tu???

C’è un espediente nella narrazione che ha a che fare con il terreno, e questa incongruenza la rileverà la moglie di Campani, Emma: è una ricercatrice esperta in acque e suoli dell’Istituto Agricolo Coloniale che ha sede a Firenze, distaccamento Macalle’. Io ho lavorato per trentacinque anni alla sede dell’Istituto Agricolo Coloniale di Firenze che esiste davvero. Perciò, sì, la moglie di Campani sono io!! Emma incarna, indubbiamente, una bella figura femminile, emancipata, di cultura, che per lavoro è costretta a pendolare ma che, pur potendo rimanere a casa, vuole continuare a lavorare. Indubbiamente una realtà come se ne possono incontrare tante, molto attuale.

Per quanto riguarda Campani, commissario arguto e dedito al lavoro invece, c’è qualche aspetto autobiografico?

Si, in Campani ci sono due aspetti autobiografici: il primo è che all’ora di pranzo, immancabilmente, deve mangiare, ragion per cui si porta sempre dei panini per non rischiare di rimanere senza cibo; il secondo è che è tifoso della Fiorentina, andando quindi incontro ad una delusione dietro l’altra. Ci tengo a precisare che le partite citate combaciano davvero con le date di riferimento e i rispettivi risultati, poiché con la Fiorentina non si scherza!!

Il mio consiglio, prima di lasciarvi è, nel caso in cui non aveste ancora letto “Una brutta strada” di Luca Ongaro, di farlo assolutamente, poiché è un giallo scritto molto bene, coinvolgente, capace di amalgamare sapientemente una trama ben strutturata, una narrazione ucronica e temi importanti sui quali l’autore sarà in grado di far riflettere il lettore. Il mio grazie va al Covo de iDobloni per l’ospitalità ed immancabilmente a Luca Ongaro e Gabriele Cantella per l’intervista avvincente ed esaustiva.

A presto

Sabrina Russo

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